Tre opzioni per Syriza

GRECIA: IL CAPPIO SI STRINGE

Di Stathis Kouvelakis su http://www.jacobinmag.com

Senza amici

L’isolamente del governo greco è diventato ancora più percettibile dopo le recenti dichiarazione del Presidente Obama […] per cui il governo dovrebbe muoversi rapidamente sulla strada delle “riforme” e accontentate tutte le richieste dei creditori.

[…] Allo stesso tempo la prospettiva di un aiuto immediato da Mosca come risultato della visita del Primo Ministro greco Alexis Tsipras a Mosca sembra svanita. L’accordo sul gasdotto […] con un anticipo sui profitti futuri di 5 miliardi di euro è stato rimandato a dopo l’incontro di Tsipras con il presidente di Gazprom […]. Può non essere una coincidenza che i russi si siano ritirati dopo che l’UE ha lanciato un’azione legale contro Gazprom con dubbie accuse di “abuso di mercato” e “infrazione delle regole europee sui monopoli”.

Opzioni

A questo punto sembrano essere rimaste solo queste tre opzioni al governo di Syriza

1) Lo “scenario buono”, che ancora quello favorito dal governo, è che l’Europa faccia concessioni e si possa raggiungere presto un compromesso […]

2) Il governo greco si arrende. Questo è ovviamente l’obiettivo dell’Europa. In una recente intervista alla Reuters Tsipras ha chiarito che ci sono “disaccordi politici, non tecnici” su quattro questioni-chiave: leggi sul lavoro, riforma delle pensioni, aumento dell’IVA e privatizzazioni […] fare concessioni su questo equivarrebbe alla resa e al suicidio politico di Syriza.

3) Il governo greco fa default sul debito. In una recente intervista all’Huffington Post, Varouffakis ha detto che se il governo dovesse scegliere tra pagare i creditori e pagare salari e pensioni, darebbe priorità alla seconda opzione. Ma ovviamente questo significa una rottura decisiva e l’uscita dall’eurozona (nell’ipotesi migliore lo scenario della doppia valuta può durare alcuni mesi).
La complicazione qua è che fare default a Maggio significa farlo sui pagamenti al FMI, con enormi complicazioni a livello commerciale (il FMI può imporre sanzioni che renderebbero l’accesso al credito privato quasi impossibile). La Grecia dovrebbe preferibilmente fare default sui prestiti europei, ma questi scadono in estate e sembra quasi impossibile resistere fino ad allora.

Prepararsi allo scontro

Adesso è impossibile prevedere quale tra gli ultimi due scenari, gli unici realistici, prevarrà. I segnali in queste ultime settimane sono sempre più contraddittori: da una parte il tono dominante è quello di fiducia e ottimismo sulla possibilità di raggiungere un “onesto compromesso” che è l’obiettivo di Alexis.

Dall’altra ministri molto vicini a Tsipras, come il ministro degli interni Voutsis e il Ministro del Lavoro Skourletis, hanno dichiarato che “ci piacerebbe restare sulla nave chiamata Europa ma il capitano ci sta spingendo fuoribordo, dobbiamo provare a nuotare”.

Sulla stessa linea il vice ministro delle finanze Tsakalotos che ha dichiarato il 26 marzo che “se non si tiene a mente la possibilità di una rottura, allora ovviamente i creditori imporranno le stesse misure che hanno imposti ai governi precedenti”.

[…]

Lo stato dell’opinione pubblica riflette questa incertezza. L’entusiasmo e lo spirito combattivo delle prime tre settimane ora hanno lasciato il posto a una situzione più complessa: il sostegno alla strategia del governo è ancora alto ma significativamente più basso che nei mesi precedenti. Le strade sono calme.

Le recenti mobilitazioni sembrano ristrette a pochi settori (anarchici e comunità locali contro le miniere d’oro a Skouries, nel nord della Grecia) con effetti contraddittori: l’agitazione degli anarchi ha accelerato il voto in parlamento di una legge che alleggerisce le condizioni delle prigioni e abolisce il regime carcerario “ad alta sicurezza”.

La situazione sembra più confusa a Skouries, con la polizia che contrasta i dimostranti e gli operai della miniera che marciano ad Atena in sostegno della continuazione dell’estrazione, sostenuti dai padroni canadesi e dall’opposizione di destra.

L’elemento principale che alimenta la preoccupazione è comunque il fatto che il terrorismo sulla “grexit” non viene contrastato a livello di opinione pubblica. L’opposizione di destra e i media, sempre più ostili al governo […], associano l’uscita dall’euro all’apocalisse […].

Ma la risposta del governo si limita a dire che questa prospettiva sarà evitata dal “compromesso onesto” […]. Un discorso che non mobilita la base di Syriza e non prepara l’opinione pubblica all’eventuale rottura con l’Europa.

Col Partito Comunista che rimane fermo sull’opposizione settaria, col suo segretario che dichiara che rifiuterà ogni sostegno anche in caso di uscita dall’eurozona […] è responsabilità della sinistra di Syriza proporre l’unico approccio sensato che possa evitare il fallimento: mantenere ferma la linea di scontro con l’UE e preparare il movimento popolare e la società greca in senso largo a una traiettoria radicalmente diversa, in Grecia e a livello internazionale.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta

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Sulla fiducia

I motivi di questa affermazione hanno risuonato molte volte in questo Parlamento. Si è detto giustamente che su una legge elettorale il Governo bene avrebbe fatto se non avesse posto la questione di fiducia, poiché la legge elettorale, dopo la Costituzione della Repubblica, è la più importante e la più delicata ed in essa si esprime più che in ogni altra il regime democratico di una nazione.

Ma oltre a questo noi abbiamo sentito, nel modo e nel momento in cui è stata posta la fiducia, elevarsi dai banchi del Governo il disprezzo per le norme che regolano la vita del Parlamento italiano, il disprezzo per la tradizione di questa Assemblea, il disprezzo per tutte le cose che formano la sostanza della democrazia in un paese civile. Noi ci siamo trovati di fronte, in questo modo, alla distruzione della facoltà legislativa del Parlamento, di quella facoltà legislativa che consente ad ogni deputato di intervenire nella modificazione e nella discussione di una legge, che consente ad ogni deputato di partecipare alla formazione delle leggi.

Questo è senza dubbio il diritto fondamentale di un’assemblea legislativa come la nostra e, quando questo diritto viene violato, come qui è stato violato, noi abbiamo il diritto e il dovere di dubitare della sorte della democrazia nel nostro paese; abbiamo il diritto e il dovere di lottare perché al nostro paese non si apra un periodo troppo triste e duro.

Nilde Iotti sulla fiducia alla legge 148/1953, meglio conosciuta come “legge truffa”.

GUE/NGL: atteggiamento vergognoso dei leader europei sui migranti

Traduzione del comunicato del gruppo del Parlamento Europeo Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL)

La Presidente del GUE/NGL Gabi Zimmer ha risposto all’incontro straordinario di ieri del Consiglio Europeo sulla situazione nel Mediterraneo.

L’europarlamentare tedesca ha detto: “Invece di concentrare i nostri sforzi sul salvataggio dei rifugiati i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea hanno rinforzato la difesa delle frontiere con Frontex e l’operazione Triton. Triplicare gli attuali fondi di 9 milioni di euro al mese è insufficiente se non si espande l’are dove avvengono le operazioni di salvataggio. Solo espandendo l’area il programma italiano Mare Nostrum è stato capace di salvare 150810 persone dall’affogamento con un bilancio di 110 milioni l’anno.

[Zimmer] Ha anche criticato l’idea di combattere i trafficanti di esseri umani con mezzi militari dato che questo non fa altro che peggiorare la situazione dei rifugiati e dei migranti.

L’europarlamentare Zimmer ha continuato: “L’Unione Europea ha bisogno di un programma indipendente per il salvataggio di migranti e rifugiati in pericolo. Questo è l’unico modo per assolvere i nostri doveri morali e non dover quindi piangere lacrime di coccodrillo per gli annegamenti che avvengono ogni qualche settimana. Il Parlamento Europeo dovrebbe bloccare qualunque futuro bilancio dell’Unione Europea che non includa un programma del genere. Persone in fuga dalla povertà, dalla guerra e dalla miseria hanno bisogno di una via legale e sicura verso l’Unione Europea, altrimenti sono lasciati alla mercé dei trafficanti criminali.”

Zimmer ha anche commentato l’annuncio del Primo Ministro britannico David Cameron per cui è pronto a salvare i migranti e scaricarli in Italia ma non a ricollocarli nel Regno Unito. 

“Questo atteggiamento mostra quanto siamo lontani da una soluzione comune in Europea sulle migrazioni,” ha detto. “Inizialmente erano menzionati 5000 luoghi per un primo progetto pilota volontario di ricollocazione nell’Unione Europea, nel testo finale della riunione anche il piccolo numero di 5000 era sparito.”

L’impressione è che se questo incontro si fosse svolto con Orban, Le Pen, Farage e Salvini il risultato sarebbe stato di poco diverso.

Bamboccioni

L’imbroglio dei “bamboccioni”

di Emiliano Brancaccio

Ora, che alcuni individui siano scarsamente propensi ad accettare un lavoro è facile da ammettere: ognuno di noi ha conosciuto almeno un “bamboccione”, in vita sua. Il problema, tuttavia, è capire se tali appellativi riescano a cogliere un comportamento rilevante a livello macroeconomico o se siano dei meri esempi di falsa coscienza, di un’ideologia strumentale e fuorviante.

A tale scopo, è utile considerare il tasso dei posti di lavoro vacanticalcolato periodicamente dall’ISTAT con riferimento alle imprese industriali e di servizi con almeno 10 dipendenti. Questo tasso indica il numero di posti di lavoro disponibili diviso per il totale dei posti di lavoro, occupati e non. Nel 2014, per esempio, il tasso di posti vacanti è rimasto pressoché stabile intorno allo 0,5 percento. Peccando di ottimismo, possiamo assumere che il tasso di posti vacanti calcolato dall’ISTAT possa essere esteso a tutte le occupazioni, incluse le imprese con meno di 10 dipendenti e il settore pubblico. Considerato che nel 2014 l’occupazione in Italia è stata pari a 23 milioni 849 mila unità, e semplificando un po’ il calcolo, possiamo approssimativamente ritenere che i posti vacanti totali in Italia siano stati all’incirca lo 0,5 percento di 23.849.000, cioè 119.245. Consideriamo adesso il totale dei disoccupati italiani: alla fine del 2014 erano 3 milioni 410 mila; tra questi, i giovani disoccupati nella fascia di età tra 15 e 24 anni erano 708 mila. Possiamo quindi affermare che nel 2014 il numero di posti di lavoro vacanti, in Italia, non deve aver superato di molto il 3,5 percento del totale dei disoccupati e il 16,8 percento del totale dei giovani disoccupati.

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È dura essere Charlie

Riassunto: uno che suona in gruppo scrive una battuta su facebook a proposito del naufragio della Triton, il pubblico non la prende bene, Roy Paci cancella il suddetto gruppo dalla scaletta del contro-concertone del Primo Maggio di Taranto. 11150214_10206339777638447_2452868927806507760_n Ma non finisce qui: poi viene fuori che il suddetto musicista sarebbe in realtà impegnato con ONG che lavorano sulla questione degli immigrati e che la battutaccia altro non era altro che un’arguta provocazione contro le politiche europee sull’immigrazione. Segue dibattito sul fatto di essere o non essere Charlie, la libertà d’espressione e l’opportunità di scherzare su fatti tragici.

Ora, il punto non è evidentemente la libertà d’espressione, viviamo in un paese in cui si può tranquillamente gioire della morte per annegamento di centinaia di essere umani. Parafrasando un personaggio famoso, la libertà d’espressione è preziosa ed è del tutto evidente che la stiamo sprecando.

Il punto è che se si vuole essere arguti provocatori bisogna capire dove e quando provocare. Altrimenti, parafrasando un altro compagno di un certo rilievo, non si è più provocatori ma si è apprendisti stregoni che evocano forze che poi non sanno controllare.

Charlie Hebdo è un giornale conosciuto da tutti, bisognava vivere fuori dal mondo per non sapere cos’è, cosa pensano quelli che ci scrivono, in che senso puntano il dito le sue provocazioni. Essere un tizio che suona in un gruppo che non fa politica e che all’improvviso vomita su decine di migliaia di fan di facebook ignare una battuta come “stiamo concimando il mare per la pesca” è leggermente diverso da essere Charlie. pcp Viene da chiedersi se chi ha postato quella battuta (e quelle successive) si sia chiesto a che pubblico arrivava. S’è chiesto se i propri fan avevano la preparazione per capire la battuta? S’è chiesto se l’effetto cascata delle condivisioni non avrebbe portato il post alla vista di tutte quelle persone che per mille motivi (dalla mancanza di abitudine all’ironia al fatto che in giro ci sta gente che i disperati sui barconi li userebbe davvero come concime) non avrebbe colto nulla della strepitosa provocazione?

Risposta arbitraria (ma probabile): no, non s’è posto nessuno di questi problemi.

E allora il problema diventa il gusto per la provocazione senza essere in grado di gestirla, assumere la posa degli alternativi mentre, in realtà, si usano gli stesso meccanismi del circo mediatico post moderno in cui si possono dire idiozie a profusione e poi trincerarsi dietro il “ma non avete capito, è una provocazione!”. Cambia poco che non si tratti di Sgarbi su Canale 5 ma di un cantante su facebook.

E allora può sorgere il legittimo dubbio che ci si auto illuda dicendo che si voleva fare una provocazione, più sorgere il legittimo dubbio che dietro al paravento delle provocazioni ci sia lo sfogo di chi si considera più intelligente e si crogiola nel sarcasmo continuo, fregandosene di non andare a impattare su un pubblico attento come quello di Charlie Hebdo, fregandosene di non aver costruito una base solida su cui costruire delle provocazioni vere.

Chi ha paura del califfo

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Limes 3/2015 – 246 pp – 14 euro (10 elettronico)

 

Particolarmente utile la prima parte dedicata alla Libia, in generale gli interventi seguono la linea dettata già dettata da Caracciolo contro l’invasione di terra e per interventi mirati a livello di intelligence. La sezione libica mantiene comunque un discreto pluralismo (da autori legati a Foreign Policy a quelli di Democracy Now, passando per accademici e giornalisti) e può aprire molte letture critiche.

La seconda parte, dedicata all’ISIS nelle varie aree, è più problematica. C’è tanto mondo cattolico e, soprattutto, ci sono alcune ricostruzioni che appaiono opinabili (es: quella sul Kurdistan) e in ogni caso spesso unilaterali.

Chiude una sezione di approfondimento sul Mali e sull’aftermath dell’intervento francese, quasi un memento mori rispetto alle velleità interventiste di Parigi e sul possibile replay in Libia.

GIOVANI COMUNISTI/E CONTRO EXPO

Ricostruire i Giovani Comunisti/e

Condividiamo sinceramente i contenuti e lo spirito di questo comunicato dei Giovani Comunisti/e Lombardia. Auspichiamo che possa divenire base per una mobilitazione nazionale della nostra organizzazione contro Expo, lo sfruttamento del lavoro, il saccheggio dell’ambiente e il connubio tra Stato e malavita organizzata. Rendiamo disponibili già da ora i nostri mezzi per amplificare la pubblicizzazione e l’informazione e facilitare il coordinamento tra i compagni/e e i territori: comunicateci qui ricostruireigc@libero.it le iniziative “NO EXPO” che intendete organizzare e le pubblicheremo sul sito http://ricostruireigc.wordpress.com.

EXPO: NUTRIRE I PADRONI, ENERGIE PER LO SFRUTTAMENTO

Ci siamo: il 1° maggio verrà inaugurata Expo, l’esposizione universale nella quale 145 Paesi del mondo proporranno, a parole, le loro idee riguardo il futuro dell’alimentazione e dello sviluppo.
La realtà è però ben diversa: enormi padiglioni saranno destinati a gigantesche multinazionali dello sfruttamento dei lavoratori e del territorio come McDonald’s, Coca Cola, Ferrero, Nestlé, ecc.

Al di…

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Frau Merkel, con gli USA non si va da nessuna parte

Il video del discorso di Sahra Wagenknecht (vice presidente del gruppo parlamentare della Linke, esponente della Kommunistische Plattform) al parlamento tedesco, in cui attacca frontalmente Angela Merkel e la politica della NATO in Ucraina, sta avendo un discreto successo. Fa piacere.

Certo, poi rimane da chiedersi com’è possibile che a esaltare oggi il discorso di Wagenknecht siano gli stessi che un paio di mesi attaccavano la stessa Linke accusandola di essere la quinta colonna dell’imperialismo dentro la sinistra e di sostenere le bande naziste. Ma questi son deliri da social network.

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E più interessante provare a notare un paio di cose.
1) Pur mantenendo ferma la linea antimperialista, Wagenknacht non si produce in slogan truculenti. Il discorso è chiaro, non è destinato a una cerchia di iniziati che sa decifrare il gergo antimperialista, è destinato a un pubblico largo.
2) Wagenknacht fa insieme un discorso di principi internazionalisti e di interessi nazionali. Entrambe le cose sono praticamente assenti dal discorso della dirigenza della sinistra radicale italiana. L’internazionalismo è considerata categoria obsoleta (oppure anche chi continua a usarla come categoria di interpretazione preferisce poi uscire pubblicamente con generici discorsi “umanitari” e “per la pace”), l’interesse nazionale è semplicemente sottoposto a damnatio memoriae. Chi prova a dire che le sanzioni alla Russia danneggiano l’agricoltura italiana viene accusato di essere cripto-leghista. Poi ci si stupisce se certe categorie si buttano nelle braccia di Salvini.

Per conclude con un’altra facezia, ovviamente la palma per il commento più stupido al discorso la vince l’Huffington Post.

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Profezie sul crollo della Cina. Un tanto al chilo.

Le profezie sul crollo della Cina vengono via un tanto al chilo, sono appena poco più costose della morte di Fidel Castro. Per una volta, però, a profetizzare non è un’idiota qualunque su Repubblica ma David Shambaugh con l’articolo The Coming Chinese Crack-up. Shambaugh è un rispettatissimo accademico che ha studiato a lungo l’organizzazione del Partito Comunista Cinese, ha al suo attivo monografie che sono usate come testi d’esame in tutto il mondo ed è un consigliere politico che conta a Washington. Insomma, uno che di solito non spara cazzate.

Stupisce quindi che da un mese il mondo stia parlando di un articolo che, per dare il tono, argomento uno dei punti fondamentali, la scollatura tra i membri del Partito e la linea ufficiale, così:
A dicembre sono stato a Pechino per una conferenza alla Scuola Centrale del Partito, il più alto istituto di istruzione dottrinaria del Partito e, ancora una volta, i maggiori ufficiali del paese e gli esperti di politica estera hanno ripetuto gli slogan a memoria. Durante una delle cene sono andato alla libreria del campus, una tappa importante per aggiornarmi su cosa viene insegnato ai quadri. I tomi sugli scaffali spaziavano dalle Opere Scelte di Lenin alle memorie di Condoleeza Rice, il tavolo all’ingresso era pieno di copie del pamphlet di Xi Jinping per la promozione della “linea di massa”, ovvero la connessione del Partito alle masse. Ho chiesto al commesso se stesse vendendo. Ha risposto che non vendeva, li regalano. La dimensione della pila di libri suggerisce che non è esattamente un best seller.

L’argomentazione è, per dirla in altre parole, che ha fatto una domanda a un commesso…

Ma tant’è, Shambaugh non è un pirla e merita una risposta più articolata della mia facile ironia. Riporto un pezzo dell’intervista fatta da Cinaforum a Guido Samarani.

Dall’adattamento al crollo, l’ultima profezia sulla morte del PCC

intervista di Michelangelo Cocco a Guido Samarani su Cinaforum

Professor Samarani, come valuta l’articolo del suo collega Shambaugh?

Si tratta di un’ipotesi che arriva da uno studioso serio, di valore internazionalmente riconosciuto, dunque va considerata con attenzione. Quella sul crollo del PCC è una questione che ricorre, periodicamente, fin dal periodo delle riforme (alla fine degli anni Settanta, ndr) e che soltanto ultimamente si era un po’ spenta. Il tema, a mio avviso, è un altro: se cioè il PCC sia in grado di governare bene questa società in una fase di profonda trasformazione. Al momento infatti non vedo sintomi evidenti, premesse per quello che Shambaugh chiama crackup. Fino a non molto tempo fa, Shambaugh parlava di “atrofia e adattamento”, ma mi pare che in questo suo ultimo contributo abbia cancellato le capacità di adattamento. Io, al contrario, ritengo che il PCC abbia seri problemi, ma anche, ancora, spazi non indifferenti di capacità di adattamento.

 

Cosa può aver spinto Shambaugh a cambiare così nettamente visione?

Non riesco a cogliere – facendo un paragone tra quanto scritto prima e quanto sostenuto nell’articolo apparso sul quotidiano finanziario statunitense – le motivazioni scientifiche di questo cambiamento radicale. L’articolo prende le mosse dalla recente sessione annuale dell’Assemblea Nazionale del Popolo (il Parlamento cinese): Shambaugh sembra mettere “sotto accusa” la modalità di gestire le contraddizioni da parte del presidente Xi Jinping e della nuova generazione. Con la sua campagna anticorruzione – sostiene l’autorevole sinologo – Xi sta esercitando una pressione intollerabile sull’economia e la società. Può anche darsi, ma non mi pare vi siano segnali evidenti di questo “stress intollerabile”. Noi sinologi, Shambaugh compreso, abbiamo sempre sottolineato come la corruzione abbia tradizionalmente rappresentato uno dei mali più pericolosi per il Partito. Quindi ora valutare questo “stress” come un eccesso mi sembra un po’ contraddittorio.

 

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Elezioni locali in Francia, Spagna e Olanda. La sinistra

Segnalo un paio di articoli sulle tornate di elezioni locali dell’ultimo mese e, in particolare, sui risultati delle sinistre.

ELEZIONI IN SPAGNA E IN FRANCIA: NENEISTI E FASCISTI AVANZANO IN EUROPA

 

 

di Selena Di Francescantonio su La Città Futura

Nonostante il ministero dell’Interno francese abbia comunicato in modo semi illeggibile (stando ad un comunicato presente sul sito de l’Humanitè e del PCF) i dati sui punteggi ottenuti dai candidati e dalle liste sostenute dal Front de Gauche e dal Partito Comunista, assieme ai Verdi, risulta che il totale a livello nazionale si aggiri attorno al 9.4%, con un incremento dei consensi rispetto alle precedenti elezioni dipartimentali. Ed anche rispetto alle europee di Maggio 2014 in cui il Front de Gauche si attestò attorno al 6%, il risultato di queste elezioni nazionali risulta comunque incoraggiante, un elemento su cui lavorare anche per i comunisti del PCF al suo interno i quali, d’altro canto, mai come ora hanno l’onere di invertire l’infelice rotta in cui il partito ha navigato dal lontano 1994, anno che vide l’elezione di Robert Hue, il segretario- poi liquidato- a cui si deve lo sradicamento del partito dai luoghi di lavoro, la perdita dei 4/5 dei suoi iscritti e il crollo verticale dei consensi alle elezioni presidenziali del 2002 (in cui il PCF passò dal 9% al 3,7%) nel “Paese della lotta di classe”, come Marx soleva definire la Francia.
[…]
Infatti, dopo che il precedente esecutivo andaluso è stato sciolto dallo stesso PSOE in polemica insanabile con gli ex partner di governo di Izquierda Unida, contrari alla partecipazione alle politiche di austerity, è oggi assolutamente da escludere un ulteriore proseguimento nel segno di un’alleanza tra queste due forze politiche; Izquierda Unida esce con molti lividi da queste consultazioni, con una percentuale di consensi attorno al 7% (che corrispondono a 5 rappresentanti) e la perdita netta di 7 seggi rispetto a quelli che aveva ottenuto tre anni or sono. Un colpo non da poco se si considera l’ascesa costante che aveva riguardato IU di Cayo Lara dal 2009 in qua, anno in cui la crisi economica iniziò a mordere duramente una Spagna in cui la sinistra di classe, frammentata e controversa, iniziò a prendere coscienza della necessità di ricostituirsi in un fronte più unitario e organizzato, riavviando un discorso in merito all’unità dei comunisti e delle forze anticapitaliste, alla conquista di una linea sindacale e di ripresa della questione repubblicana.
[…] un discorso particolare merita Podemos, il partito guidato dal fotogenico Pablo Iglesias e che risulta, a discapito dei sondaggi che lo davano vincente, la terza forza politica di queste elezioni regionali (14,8% dei voti e 15 rappresentanti).

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Aggiungo un paio di considerazioni.

Sulla Francia, il risultato dichiarato dal Partito Comunista Francese è, come si legge nall’articolo di Di Francescantonio, un più che dignitoso 9,4% (tutti i dati qua sono riferiti al primo turno). Va però precisato che si tratta di un calcolo che include il 4,72% delle liste del Front de Gauche, l’1,32% delle liste presentate dal solo Partito Comunista Francese, lo 0,06% delle liste presentate dal solo Partito della Sinistra e una certa frazione del 6,79% che il ministero dell’interno comunica come “altri di sinistra”. Questa frazione di voti degli “altri di sinistra” corrisponde alle liste comuni Fronte della Sinistra/Verdi (liste costruite dopo l’uscita degli ecologisti dal governo Hollande). Alle elezioni dipartimentali del 2011 i Verdi prendevano l’8,22%, il Partito Comunista Francese il 7,91% e il Partito della Sinistra l1,01%.
Alcuni siti riportano che “Il Partito Comunista Francese-Fronte della Sinistra è la terza forza politica del paese davanti al Fronte Nazionale”. Questo è certamente vero se si guarda al numero degli eletti, 167 comunisti e 9 “altri di sinistra” contro i 62 della Le Pen, ma questo avviene solo per via della legge elettorale. Infatti, il Front National ha preso il 25,24% dei voti al primo turno, stabilendo il suo massimo risultato nelle elezioni dipartimentali.

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Sulla Spagna, il risultato a sinistra non deve stupire, Izquierda Unida in Andalusia usciva dall’ultima esperienza di governo col centrosinistra, ma ne esce come l’alleato cacciato. Il Partito Socialista infatti ha preferito andare a elezioni anticipate (si sarebbe dovuto votare nel 2016) prima che fosse la stessa IU a far saltare l’alleanza con il referendum interno che era già in programma.
Riguardo ai sondaggi, bisogna notare che nessun sondaggio dava in realtà Podemos primo partito in Andalusia. Nei sondaggi il Partito Socialista è sempre stato nettamente in testa, stabilmente sopra il 30%, mentre Podemos non ha mai sfondato, neanche nel sondaggio più ottimista, il 20%. C’è da notare che però Podemos è stato costantemente sopravvalutato dai sondaggi mentre Izquierda Unida ha avuto sondaggi sia superiori sia inferiori al risultato poi ottenuto.
Problemi della sovraesposizione mediatica di Podemos.

SCONFITTA LA GRANDE COALIZIONE ROSSO-BLU: LA LEZIONE OLANDESE

di Alessandro Pirovano  su Gli Stati Generali

Se per la destra populista questo turno elettorale si è tradotto in una lieve perdita di consensi, per la sinistra è stato il momento dello storico sorpasso del PS, la forza di sinistra radicale all’opposizione, sul PvdA, i socialdemocratici al governo. Il PS, infatti, ha conquistato l’11,6%dei voti, guadagnando un senatore in più, da 8 a 9. Bacino di voti per questa forza della sinistra radicale è stato il nord del Paese, la provincia di Groningen, dove il PS è risultato primo partito per la sua storica opposizione all’estrazione di gas che sta creando sempre più problemi nella zona.

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