Il 2018 elettorale in Europa

Il 2018 elettorale in Europa

Pubblicato su La Città Futura

Attraverso l’Europa un unico elemento comune: avanza la destra estrema.

CIPRO – Il primo importante giorno elettorale sarà il 28 Gennaio, con le elezioni presidenziali a Cipro. Il tema principale delle elezioni sarà il processo di pace con la Turchia che occupa il nord dell’isola, interrotto a Luglio 2017. Il presidente uscente conservatore Anastasiades è dato favorito dai sondaggi tra il 27 e il 33%. Anstasiades intende riprendere i colloqui all’interno della proposta avanzata dall’ONU per la costruzione di una repubblica federale tra il nord e il sud, senza truppe straniere e senza prerogative d’intervento da parte di altri stati.

Probabilmente Anastasiades andrà al ballottagio contro uno dei principali partiti d’opposizione: o Papadopoulos del partito nazionalista DIKO – che accusa il presidente uscente di aver fatto troppo concessioni ai turchi – o l’indipendente Malas sostenuto dai comunisti di AKEL – che hanno in maniera sofferta deciso di appoggiare il piano ONU come unica soluzione praticabile per una pace gestita dai ciprioti senza ingerenze esterne. Se Malas non dovesse andare al ballottaggio, sarebbe la prima volta dagli anni ’70 in cui il candidato dei comunisti non arriverebbe almeno al secondo turno.

Tra i candidati minori anche Lillikas, ex membro di AKEL che si presenta ora su posizioni populiste e Christou, candidato per il partito neonazista ELAM – legato ai greci di Alba Dorata. Dopo essere riusciti a vincere dei seggi in parlamento alle elezioni del 2016, i neonazisti si approcciano alle presidenziali segnalati nei sondaggi al 3%.

Il vincitore delle elezioni sarà Presidente della Repubblica e Capo del Governo.

FINLANDIA – Sempre il 28 gennaio si terranno le elezioni presidenziali – molto meno drammatiche – in Finlandia. Con ogni probabilità saranno vinte con ampissimo margine dal presidente uscente Niinistö, liberale e conservatore che correrà da indipendente nonostante una carriera intera all’interno della Coalizione Nazionale. L’Alleanza di Sinistra, membro del Partito della Sinistra Europea, presenta come candidata l’eurodeputata Merja Kyllönen. Il più piccolo Partito Comunista di Finlandia – anch’esso membro della Sinistra Europea ma su posizioni euroscettiche – non presenterà un proprio candidato.

Il Presidente finlandese agisce da capo dello stato e ha funzioni per lo più burocratiche.

UNGHERIA – Il grande appuntamento successivo sono le elezioni parlamentari in Ungheria, che si terranno a maggio. Il nazionalista Orban per ora può dormire sonni tranquilli, il suo partito FIDESZ (che nonostante le posizioni estremiste continua a collaborare col Partito Popolare Europeo di Angela Merkel) dovrebbe riconfermarsi ben oltre il 40% dei voti mentre il secondo posto dovrebbe essere ancora dei fascisti dello JOBBIK, con oltre il 20%.

Nonostante la sconfitta nel referendum sull’immigrazione, Orban e i suoi camerati non sono per nulla insidiati dalle opposizioni “di sinistra”: la coalizione tra socialdemocratici e liberali si è frantumata. Dato il sistema elettorale, la differenza tra il primo partito e le opposizioni garantirà un’ampia maggioranza autonoma ad Orban. L’unico dubbio è se Orban avrà bisogno dei voti di JOBBIK per avere i due terzi dei seggi necessari per riformare ulteriormente la costituzione.

SVEZIA – A settembre si terranno le elezioni generali in Svezia. Il paese è attualmente guidato da un governo di centrosinistra, formato da socialdemocratici (S) ed ecologisti (MP), con l’appoggio esterno dei liberali conservatori del Partito Moderato (M). Il Partito della Sinistra (V, membro dell’Alleanza della Sinistra Verde Nordica) è invece all’opposizione. Per le sue posizioni euroscettiche il Partito della Sinistra è escluso dai possibili interlocutori di governo dal centrosinistra.

Rispetto alle ultime elezioni, i sondaggi segnalano la flessione dei socialdemocratici di governo e di Iniziativa Femminista, gruppo che si è separato dal Partito della Sinistra per andare verso l’area socialdemocratica. Risultano invece in ascesa il Partito della Sinistra (che potrebbe tornare attorno all’8%) e gli Svedesi Democratici, il partito di estrema destra che su posizioni social-nazionaliste (welfare solo per gli svedesi) viene segnalato tra il 15 e il 23%

Le elezioni in Spagna: è più complesso

A questo articolo sulle elezioni amministrative spagnole ci tengo particolarmente. Non sono particolarmente esperto di cose spagnole, non ho grandi verità da svelare.

Ho visto innumerevoli grandi opinionisti, Sua Santità Saviano in testa, confondere Barcelona en Comú con Podemos, ho visto gente che proclamava la vittoria della sinistra in tutte le maggiori città anche quando arrivava primo il PP, ho visto il Manifesto inventarsi le percentuali per poter dire che Izquierda Unida rimarrà sotto la soglia di sbarramento alle politiche, ho visto gente incapace di guardare le serie storiche dei sondaggi.

Dopo aver visto tutti delirare per una settimana, penso sia importante scrivere qualcosa di basato sulla realtà:

Il caso più clamoroso di vittoria dell’unità popolare è stato quello di Barcellona, seconda città della Spagna, dove la lista Barcelona en Comú ha vinto le elezioni col 25,2% dei voti, battendo Convergencia Y Union (regionalisti di destra, 22,7%).BComú è una lista nata dal movimento Guanyem Barcelona che ha unito una vasta gamma di movimenti popolari, di singoli attivisti e di partiti della sinistra, a partire da IU e dagli ecologisti di Equo. Un processo avviato prima delle elezioni europee del 2014 cui Podemos si è aggregato nei primi mesi del 2015. La candidata Ada Colau(già leader del movimento contro gli sfratti) sarà sicuramente sindaco di Barcellona. La legge elettorale spagnola prevede che il sindaco sia eletto dal consiglio comunale ma che, nel caso non si trovi una maggioranza, sia eletto sindaco il candidato della lista più votata. Barcelona en Comú, con undici seggi su quarantuno, per ottenere la maggioranza dovrebbe ottenere l’appoggio delle altre liste di sinistra o centrosinistra: il PSOE (4 seggi), la Sinistra Repubblicana di Catalogna (indipendentisti di sinistra, 5 seggi) e le Candidature di Unità Popolare (indipendentisti di sinistra radicale, 3 seggi). Non sarebbe certo una coalizione facile, Colau potrebbe però anche decidere di sfruttare il diritto di essere sindaco in quanto candidato della lista più votata. 

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Manifestazione di Marea Ciudadana a Madrid. Via.

Manifestazione di Marea Ciudadana a Madrid. Via.

Dalla stesura ad oggi ci sono stati alcuni sviluppi.

Mentre le trattative per le regioni sono in alto mare, qualcosa s’è mosso sulle municipali.
A Barcellona, BEnComú annuncia che farà un referendum interno per decidere se fare un’alleanze con le altre forze di sinistra (per la cronaca, esiste anche la possibilità tecnica, per quanto remota, che una grande alleanza tra PP, PSOE, Ciudadanos e Convergencia Y Union ottenga la maggioranza a scapito di Ada Colau).

A Madrid invece pare che si vada verso un “appoggio esterno” del PSOE all’unidad popular, con i socialisti che voterebbero la fiducia, per evitare che passi la candidata del PP come più votata, ma non entrerebbero in giunta.

Infine, in Andalusia, regione in cui si avvicina la fine dei due mesi entro i quali va formata la maggioranza, altrimenti si andrà a nuove elezioni, la candidata del PSOE insiste sull’ipotesi di un suo governo di minoranza. Con Podemos, Izquierda Unida e Ciudadanos indisponibili a qualunque operazione politica, l’unico accordo possibile sarebbe quindi quello con il PP per un voto di astensione che permetta la nascita del governo di minoranza.

 

Elezioni locali in Francia, Spagna e Olanda. La sinistra

Segnalo un paio di articoli sulle tornate di elezioni locali dell’ultimo mese e, in particolare, sui risultati delle sinistre.

ELEZIONI IN SPAGNA E IN FRANCIA: NENEISTI E FASCISTI AVANZANO IN EUROPA

 

 

di Selena Di Francescantonio su La Città Futura

Nonostante il ministero dell’Interno francese abbia comunicato in modo semi illeggibile (stando ad un comunicato presente sul sito de l’Humanitè e del PCF) i dati sui punteggi ottenuti dai candidati e dalle liste sostenute dal Front de Gauche e dal Partito Comunista, assieme ai Verdi, risulta che il totale a livello nazionale si aggiri attorno al 9.4%, con un incremento dei consensi rispetto alle precedenti elezioni dipartimentali. Ed anche rispetto alle europee di Maggio 2014 in cui il Front de Gauche si attestò attorno al 6%, il risultato di queste elezioni nazionali risulta comunque incoraggiante, un elemento su cui lavorare anche per i comunisti del PCF al suo interno i quali, d’altro canto, mai come ora hanno l’onere di invertire l’infelice rotta in cui il partito ha navigato dal lontano 1994, anno che vide l’elezione di Robert Hue, il segretario- poi liquidato- a cui si deve lo sradicamento del partito dai luoghi di lavoro, la perdita dei 4/5 dei suoi iscritti e il crollo verticale dei consensi alle elezioni presidenziali del 2002 (in cui il PCF passò dal 9% al 3,7%) nel “Paese della lotta di classe”, come Marx soleva definire la Francia.
[…]
Infatti, dopo che il precedente esecutivo andaluso è stato sciolto dallo stesso PSOE in polemica insanabile con gli ex partner di governo di Izquierda Unida, contrari alla partecipazione alle politiche di austerity, è oggi assolutamente da escludere un ulteriore proseguimento nel segno di un’alleanza tra queste due forze politiche; Izquierda Unida esce con molti lividi da queste consultazioni, con una percentuale di consensi attorno al 7% (che corrispondono a 5 rappresentanti) e la perdita netta di 7 seggi rispetto a quelli che aveva ottenuto tre anni or sono. Un colpo non da poco se si considera l’ascesa costante che aveva riguardato IU di Cayo Lara dal 2009 in qua, anno in cui la crisi economica iniziò a mordere duramente una Spagna in cui la sinistra di classe, frammentata e controversa, iniziò a prendere coscienza della necessità di ricostituirsi in un fronte più unitario e organizzato, riavviando un discorso in merito all’unità dei comunisti e delle forze anticapitaliste, alla conquista di una linea sindacale e di ripresa della questione repubblicana.
[…] un discorso particolare merita Podemos, il partito guidato dal fotogenico Pablo Iglesias e che risulta, a discapito dei sondaggi che lo davano vincente, la terza forza politica di queste elezioni regionali (14,8% dei voti e 15 rappresentanti).

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Aggiungo un paio di considerazioni.

Sulla Francia, il risultato dichiarato dal Partito Comunista Francese è, come si legge nall’articolo di Di Francescantonio, un più che dignitoso 9,4% (tutti i dati qua sono riferiti al primo turno). Va però precisato che si tratta di un calcolo che include il 4,72% delle liste del Front de Gauche, l’1,32% delle liste presentate dal solo Partito Comunista Francese, lo 0,06% delle liste presentate dal solo Partito della Sinistra e una certa frazione del 6,79% che il ministero dell’interno comunica come “altri di sinistra”. Questa frazione di voti degli “altri di sinistra” corrisponde alle liste comuni Fronte della Sinistra/Verdi (liste costruite dopo l’uscita degli ecologisti dal governo Hollande). Alle elezioni dipartimentali del 2011 i Verdi prendevano l’8,22%, il Partito Comunista Francese il 7,91% e il Partito della Sinistra l1,01%.
Alcuni siti riportano che “Il Partito Comunista Francese-Fronte della Sinistra è la terza forza politica del paese davanti al Fronte Nazionale”. Questo è certamente vero se si guarda al numero degli eletti, 167 comunisti e 9 “altri di sinistra” contro i 62 della Le Pen, ma questo avviene solo per via della legge elettorale. Infatti, il Front National ha preso il 25,24% dei voti al primo turno, stabilendo il suo massimo risultato nelle elezioni dipartimentali.

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Sulla Spagna, il risultato a sinistra non deve stupire, Izquierda Unida in Andalusia usciva dall’ultima esperienza di governo col centrosinistra, ma ne esce come l’alleato cacciato. Il Partito Socialista infatti ha preferito andare a elezioni anticipate (si sarebbe dovuto votare nel 2016) prima che fosse la stessa IU a far saltare l’alleanza con il referendum interno che era già in programma.
Riguardo ai sondaggi, bisogna notare che nessun sondaggio dava in realtà Podemos primo partito in Andalusia. Nei sondaggi il Partito Socialista è sempre stato nettamente in testa, stabilmente sopra il 30%, mentre Podemos non ha mai sfondato, neanche nel sondaggio più ottimista, il 20%. C’è da notare che però Podemos è stato costantemente sopravvalutato dai sondaggi mentre Izquierda Unida ha avuto sondaggi sia superiori sia inferiori al risultato poi ottenuto.
Problemi della sovraesposizione mediatica di Podemos.

SCONFITTA LA GRANDE COALIZIONE ROSSO-BLU: LA LEZIONE OLANDESE

di Alessandro Pirovano  su Gli Stati Generali

Se per la destra populista questo turno elettorale si è tradotto in una lieve perdita di consensi, per la sinistra è stato il momento dello storico sorpasso del PS, la forza di sinistra radicale all’opposizione, sul PvdA, i socialdemocratici al governo. Il PS, infatti, ha conquistato l’11,6%dei voti, guadagnando un senatore in più, da 8 a 9. Bacino di voti per questa forza della sinistra radicale è stato il nord del Paese, la provincia di Groningen, dove il PS è risultato primo partito per la sua storica opposizione all’estrazione di gas che sta creando sempre più problemi nella zona.

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I socialisti europei sulle elezioni in Israele

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Traduzione dal linguaggio dei socialisti europei:

Ciao, Bibi

Senti, lo sappiamo che è andata com’è andata. Lo sappiamo che i nostri referenti locali del Labor e di Meretz li hai presi a sberle, che li hai usati come stampella umanitaria mentre bombardavi Gaza, poi li hai buttati fuori dal governo e ti sei fatto le elezioni anticipate per levarteli di torno. Ma non è un problema, davvero. Ci tratta così anche Juncker, non è un problema, davvero.

Però, ecco, Bibi, una cosetta te la dobbiamo chiedere. Nulla di impegnativo eh, lo sappiamo che sei serio quando dici che non accetterai lo stato palestinese. Però almeno una cosuccia ce la devi dare, continua a tenere in piedi i negoziati, se no ci diventa un casino, ma per davvero. In Palestina Al Fatah ci sfugge di mano, questi smettono di parlare con noi e cominciano a parlare con i comunisti arabi, magari anche con Assad. Poi noi cosa raccontiamo al Guardian, a Repubblica, a Liberation, a El Mundo? Che non c’abbiamo più un referente ragionevole in Palestina? Che c’avevano ragione quelli della sinistra radicale? Eddai, lo sai che non possiamo. Quindi, dai, pensaci, in fondo conviene anche a te.

Con la nostra testa sotto i vostri piedi, e non dovete neanche stare fermo.

Grecia, per non morire di illusioni

Domenica si vota in Grecia. Non c’è bisogno di perdere troppo tempo in presentazioni. È il paese che più di ogni altro ha sofferto per l’austerità, è il paese dove più di ogni altro c’è la possibilità concreta di un governo di sinistra “radicale”, è l’anello debole della catena europea.

Per Syriza, senza illusioni

La Coalizione della Sinistra Radicale, dei Movimenti e dell’Ecologia rischia di vincere le elezioni. Il programma con cui Syriza si presenta alle elezioni è per certi versi “moderato”: non si parla dei rapporti con l’Unione Europea, con la NATO, con il sistema internazionale. Parla “solo” di quello che interessa nell’immediato agli elettori greci: alzare gli stipendi, bloccare gli sfratti, ripristinare i servizi pubblici gratuiti.

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È un tradimento degli obiettivi di trasformazione della società? È la “socialdemocratizzazione”? Oppure è una mossa saggia per non spaventare l’elettorato?

Non lo so, non lo posso sapere. Credo che la radicalità di un programma non sia stabilita tanto dagli obiettivi in senso assoluto, quanto dal contesto in cui ce li si pone. Eviterò l’esempio fuorviante del “terra e pace” di Lenin. Penso piuttosto a quanto è stata radicale in Venezuela la battaglia per il controllo pubblico sul petrolio. Se fosse stata l’Italia degli anni ’50, ci sarebbe già stato l’Ente Nazionale Idrocarburi. Ma erano gli anni ’00 in Venezuela.

Ricordando che per qualcuno Chavez era un riformista piccolo-borghese…

Ma avanzare proposte di cambiamento radicale del tenore di vita dei greci non basta. Bisogna vedere se Syriza riuscirà ad attuare al programma. È chiaro che l’establishment greco ed europeo è diviso sul che fare nei confronti di Syriza. Chi fa terrorismo mediatico, opzione che mi sembra prevalere in Grecia e in Germania. Chi invece spera di poter blandire il futuro governo Tsipras con poche concessioni, opzione che sembra prevalere in certi ambienti europei, magari facendo conto sugli ambienti più opportunisti di Syriza. Cosa farà Tsipras dipenderà da tante cose, da quale sarà il reale consenso nelle urne, quanto gli resterà di questo consenso quando si troverà a dover governare le macerie, quanto le strutture di massa di Syriza saranno funzionali.

Ma, non solo. C’è un altro pericolo all’orizzonte. Il pericolo di Cipro. Pochi ormai si ricordano che Cipro, paese membro dell’Unione Europea e dell’euro, ha avuto dal 2008 al 2013 un presidente comunista: Demetris Christofias. Anni in cui, sia ben chiaro, il Partito Progressista dei Lavoratori di Cipro (AKEL) ha difeso il welfare ed è anche riuscito a gestire la crisi del debito evitando che fosse pagata solo e soltanto dalle classi popolari. Ma non è riuscito a invertire la rotta, il candidato presidente dell’AKEL ha perso le elezioni del 2013 e il paese non ha imboccato la via dell’uscita a sinistra dalla crisi.

ÐÑÏÅÄÑÉÊÅÓ ÅÊËÏÃÅÓ - ÄÇÌÇÔÑÇÓ ×ÑÉÓÔÏÖÉÁÓ - ÍÅÏÓ ÐÑÏÅÄÑÏÓ

Partito Progressista dei Lavoratori

 

In ogni caso, non è detto che domenica sera Tsipras sia in grado di formare un governo.

Qualche numero

I sondaggi danno stabilmente Syriza primo partito con circa il 35% dei voti e, a seconda del sondaggio, dal 2 al 6% di vantaggio sulla destra di Nuova Democrazia. Ma i sondaggi non sono una scienza esatta. Prima delle elezioni europee Syriza veniva sovrastimata, riuscì lo stesso a essere primo partito ma con “solo” il 26% dei voti e non il 30-33% di cu era accreditata. Per di più, i sondaggi riportano una continua crescita di Nuova Democrazia e, soprattutto, un range di indecisi che va dal 7 al 15%. Per gli standard italiani sono pochi, ma se negli ultimissimi giorni di campagna elettorale questi indecisi dovessero convergere in massa sulla destra, potrebbero essere abbastanza per far scivolare Syriza a secondo partito. Inoltre, può sorgere il legittimo sospetto che i sondaggi che danno Syriza molto alta possano essere manipolati per creare il terrore di un governo di sinistra radicale incontrastato e spingere l’elettorato conservatore a convergere su Nuova Democrazia.

Ora, voglio comunque fare professione di ottimismo: credo che gli indecisi non convoglieranno in massa su Nuova Democrazia. Penso che Syriza sarà primo partito. Ma faccio anche una professione di pessimismo: non sono sicuro che Tsipras possa formare un governo. Ad oggi solo una proiezione dei seggi assegna la maggioranza assoluta in Parlamento a Syriza (risicatissima, 151 su 300), tutte le altre si attestano tra i 140 e i 150. Non è solo questione di arrivare primi e ottenere il premio di maggioranza, la distribuzione dei seggi dipende anche dallo scarto rispetto agli altri partiti e da quanto partiti entreranno in parlamento.

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Nel caso Syriza non dovesse avere una maggioranza autonoma, la creazione di un governo di coalizione sarà difficilissima. Da un lato, il Comitato Centrale di Syriza ha stabilito che dopo le elezioni saranno possibili alleanze solo con chi non ha mai sostenuto l’austerità, di fatto tagliando fuori Sinistra Democratica (che però rimarrà fuori dal parlamento), i socialisti del PASOK e anche la nuova formazione di socialisti scissionisti che prima di rigettare l’austerità (dopo averla sostenuta) chiedono un referendum popolare. Dall’altro lato i comunisti del KKE escludono qualunque alleanza, fosse anche solo tecnica, considerando il programma di Syriza un inganno. Quindi, o qualcuno si rimangerà la linea dopo le elezioni, oppure non si formerà un governo di sinistra.

Fabio Amato, responsabile esteri di Rifondazione Comunista, dice in un intervista a La Città Futura:” I compagni di Syriza sono consapevoli dei vari scenari possibili, così come delle conseguenze. Loro puntano ad avere la maggioranza assoluta dei seggi, e prima di fare previsioni aspetterei i risultati del voto reale più che fare ipotesi sui sondaggi. Anche perché non è per nulla detto che alcune delle forze citate, come Dimar, riescano a superare la soglia del 3 % per entrare in Parlamento.  E fra le varie ipotesi vi è un’altra, ovvero quella di non negoziare il programma con nessuna forza che voglia diluirlo o boicottarlo, fare da cavallo di troia della troika, e di andare immediatamente a nuove elezioni chiedendo una maggioranza assoluta ai greci. E’ già accaduto due anni fa. Potrebbe accadere di nuovo. Ma io sono fiducioso che già dal 25 Gennaio Syriza possa avere i numeri per un governo popolare in Grecia”.

Euclid Tsakalotos, probabile ministro dell’economia dell’ipotetico governo Tsipras, ha detto: “Abbiamo discusso la linea minima nelle trattative con altri partiti. Ha poco senso stare al governo se nel giro di sei mesi non possiamo fare alcuni interventi emblematici, alleviare la crisi umanitaria sulla fornitura di energia, sulla povertà e sulle abitazioni; due o tre misure per riavviare l’economia, a partire dai debiti non rimborsabili e dall’alleggerimento dei problemi di chi lotta contro gli arretrati fiscali. E alcuni interventi nella struttura del potere riequilibrando lo stato e la società, per esempio affrontando l’incredibile potere dei media privati e delle grandi imprese. Se dovessimo sentire che non ci sia lo spazio per fare questo, ed è un programma minimo, non ci sarebbe una ragione d’essere per un governo di sinistra“.

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Tsipras vs Schauble

Ma qual è l’atteggiamento dei poteri economici nei confronti di Syriza?

Ha fatto scalpore l’articolo del giornale tedesco Die Spiegel sulla possibilità che alla vittoria di Syriza faccia seguito l’uscita della Grecia dall’eurozona, ipotesi che il programma elettorale di Tsipras non nomina e che nei documenti congressuali di Syriza viene affrontata con la formula: ”Se dovremo scegliere tra l’euro e la dignità della Grecia, sceglieremo la dignità della Grecia”.

In realtà, chi segue i movimenti della politica tedesca non si stupisce che il ministro della finanze Schauble faccia trapelare l’ipotesi della Grexit. In realtà, non ha mai smesso di parlarne anche se negli ultimi due anni la Merkel aveva ufficialmente adottato la linea del salvataggio dell’euro con tutti i suoi aderenti. Cos’è successo, quindi? Perché Schauble e i falchi bavaresi dell’austerità tornano a farsi vivi? L’ormai famoso articolo dello Spiegel sulla possibile uscita della Grecia dall’euro recita:

Ci sono stati molti cambiamenti nell’unione monetaria dal picco della crisi nel 2012. Primo, e più importante, il rischio che altri paesi siano contagiati negativamente è largamente scomparso ora che il Portogallo e l’Irlanda, entrambi paesi che hanno avuto richiesto il salvataggio subito dopo la Grecia, sembrano riabilitati. Anche Cipro sembra sulla giusta via […]. Inoltre il Meccanismo Europeo di Stabilità […] è sempre pronto per salvare gli stati che entrassero in turbolenza. E la stabilità dei grandi istituti di credito europei, gli ufficiali governativi di Berlino ne sono convinti, è garantita dall’unione bancaria europea. I contribuenti, dicono questi ufficiali, dovrebbero essere coinvolti solo nel peggiore dei casi, mentre gli investimenti delle banche private si sono ritirati dalla Grecia.

[…] Il risultato è che questi burocrati di Berlino e Bruxelles non sostengono più la “teoria del domino” per la quale a un collasso Greco seguirebbero gli altri. L’hanno rimpiazzata con la “teoria della catena” per la quale l’intera catena diventerebbe più forte se fosse eliminato l’anello debole. Infatti, a Berlino temono che un governo di sinistra ad Atene rimetterebbe in questione le politiche controverse di austerità e riforme […] “Un forte attaccamento all’Europa e un largo sostegno degli elettori greci e dei leader politici al necessario processo di riforme in favore della crescita saranno essenziali affinchè la Grecia possa tornare a crescere all’interno dell’area Euro” ha detto Pierre Moscovici [socialista francese, nota mia], commissario europeo per gli affari economici e finanziari […].

L’insistenza dell’Unione Europea sull’adesione della Grecia alle riforme senza discontinuità, richiama alla mente il commento della Cancelliera Merkel a riguardo della “democrazia conforme al mercato”, termine da lei coniato nel 2011 sollecitando il Parlamento ad approvare i prestiti per i salvataggi degli stati in maniera di impressionare gli investitori e impedirgli di speculare sulla rottura della zona Euro. Quel commento fu aspramente criticato e interpretato come la resa della democrazia ai mercati del capitale internazionale. La campagna elettorale greca ha ridato fiato a quel dibattito. Fino a quando l’UE dovrebbe accettare le decisioni di un elettorato greco che vuole restare nella moneta comune ma non è preparato a fare ciò che si deve fare per poter restare sul mercato internazionale dei capitali?

Il governo tedesco non ama questo dibattito […] La Cancelliera Merkel e il ministro della finanze Schauble non sono pronti a fare concessioni significative ad Atene principalmente perché le hanno già fatte. Alla Grecia è stato concesso più tempo per pagare i suoi debii di quanto originariamente pattuito e i pagamenti degli interessi sono stati largamente discontinui. Inoltre, la Troika, composta dalla Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea, ha stabilito un tasso di interesse sul totale del debito greco al 2,4% mentre la stessa Germania deve pagare il 2,7%. La situazione è tale per cui sarebbe difficile trovare una maggioranza nel parlamento tedesco per concessioni alla Grecia.

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Wolfgang Schauble

 

Ovviamente, quello che qua si intende con “Schauble” non è solo l’individuo che ricopre la carica di ministro delle finanze, ma l’intera ala di pensiero degli economisti (e degli affaristi) bavaresi che sono disposti a tutto pur di mantenere l’ortodossia dell’austerità e che pensano a una Grecia fuori dall’euro ma ben dentro al mercato comune. Uno Schauble che peraltro ora è pressato anche da Alternativa per la Germania, il nuovo partito tedesco anti euro che ha fagocitato il vecchio partito liberale FDP. Dove “anti euro” significa che punta esplicitamente a lasciare i paesi mediterranei al loro destino e costruirsi l’euro del nord.

Mario Draghi

Mario Draghi

 

D’altra parte, a pochi giorni dalle elezioni il nuovo acquisto di titoli di stato da parte della BCE non è certo l’indice di un accordo già trovato tra Draghi e il futuro governo di Syriza. Le condizioni poste all’acquisto di titoli greci, acquisto che già di per se sarebbe un palliativo, significano “o ti rimangi il programma elettorale o stacchiamo la spina”. L’ipotesi dell’accordo tra il rosso e il tecnico, che gira sia come illusione di chi spera di aver trovato la formula magica per salvare l’Europa sia come incubo di chi pensa che Tsipras abbia già tradito, è ancora una fantasia.

In conclusione

Non c’è una conclusione, il succo è che la situazione è in divenire e nessuno degli esiti è già da dare per scontato. Per intanto mi preparo a brindare domenica sera, sperando nel risultato migliore. E mi preparo a non morire di illusioni.

 

Le elezioni in Grecia/ Possibile una maggioranza solo con Syriza?

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Per la prima volta un sondaggio indica una  proiezione dei seggi che assegnerebbe a Syriza la maggioranza assoluta di 151 seggi. In questa maniera Alexis Tsipras potrebbe bypassare il problema della formazione della maggioranza. Infatti il problema principale per Tsipras ora è che alleanze fare. In parlamento troverà sicuramente “alla sua sinistra” almeno una decina di comunisti del KKE che lo stanno attaccando in maniera feroce. Alle sua “destra”, invece, non troverà quasi sicuramente Sinistra Democratica (già “ala destra” di Syriza) che molto probabilmente non passerà la soglia di sbarramento, ma la possibilità di trattare con forze “di sinistra” che hanno sostenuto l’austerità (Sinistra Democratica compresa) è stata bocciata dal Comitato Centrale di Syriza. Quindi anche l’ipotesi di collaborare coi socialisti del PASOK o con la neonata KINIMA (scissione del PASOK stesso) è in salita.

Questo sondaggio sembrerebbe tagliare la testa al toro. 151 seggi a Syriza, 30 a Nuova Democrazia (destra pro austerità). 18 a Il Fiume (nuova formazione di “sinistra europeista”, liberale, di fatto pro austerità), 15 ai socialisti del PASOK, 15 ai nazisti, 13 ai comunisti del KKE e 8 ai Greci Indipendenti (scissione “anti austerità” di Nuova Democrazia).

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Ci sono molti MA. Innanzitutto, questo è l’unico sondaggio a dare a Syriza la maggioranza assoluta dei seggi. Tutti gli altri assegnano tra i 140 e 150 a Tsipras e soci, a un passo dalla maggioranza assoluta ma comunque con la necessità di trovare alleati. In secundis, questo è un sondaggio particolarmente favorevole per Syriza, dandola al 38% con l’8% di vantaggio su Nuova Democrazia, tutti gli altri sondaggi danno un vantaggio netto ma più risicato (dal 3 al 6%).

Infine, se anche dovesse realizzarsi questo scenario, è difficile immaginare che Tsipras possa governare con un voto di vantaggio. Diciamolo apertamente, quando diciamo che Syriza è dotata di un ampio pluralismo diciamo anche che sicuramente troverà sul suo cammino qualche deputato che giudicherà i provvedimenti troppo moderati o troppo radicali. Di sicuro non all’avvio, ma quando cominceranno i problemi di consenso (e cominceranno, perchè il disastro in cui sta la Grecia non può essere risolto per decreto del Comitato Centrale, cominceranno anche se Tsipras riuscirà a far passare immediatamente i provvedimenti più popolari del proprio programma), allora uscirà di sicuro allo scoperto qualcuno che comincerà a far ballare il governo di Syriza. La strada è ancora tutta in salita.

Presidenziali in Grecia, la scommessa persa della Grande Coalizione

Alla fine la Grande Coalizione non ce l’ha fatta ad allargarsi ulteriormente. Il candidato Presidente Dimas al terzo voto è rimasto fermo ai 168 voti che aveva già raggranellato al secondo voto, 12 in meno di quelli che gli sarebbero serviti per essere eletto e per continuare la legislatura. Non è andato in porto l’accordo con i Greci Indipendenti che offrivano la possibilità di votare il Presidente in cambio di elezioni a fine 2015.

Invece ora la Grecia andrà a elezioni anticipate da tenersi nella prima metà del 2015. EDIT: sono state annunciate per il 25 Gennaio, prestissimo!

La Grecia è oggi l’unico paese europeo ad avere la prospettiva concreta di un governo di sinistra “radicale”. Tutti i sondaggi danno Syriza stabilmente primo partito oltre il 32% mentre il secondo partito è la destra di Nuova Democrazia non arriva al 30%. Ad oggi però anche i sondaggi più favorevoli danno a Syriza tra i 140 e i 150 seggi, ad un passo dalla soglia di 151 voti necessari per avere una maggioranza in Parlamento. Tsipras si è già trovato a svolgere colloqui per la formazione del governo nel 2012, in quell’occasione ha mantenuto ferma la linea del governo delle sinistre proponendolo alla sua sinistra al Partito Comunista di Grecia KKE e alla sua destra a Sinistra Democratica e anche ai socialisti del PASOK. Ricevendo rifiuti da tutti.
A questo giro i sondaggi danno una quindicina di seggi al KKE, zero a Sinistra Democratica e 15/20 all’Ulivo, nuova veste elettorale del PASOK.
L’ipotesi di una nuova Grande Coalizione è debole. Ulivo e Nuova Democrazia insieme raggiungerebbero un centinaio di seggi. Teoricamente potrebbero aggiungersi una trentina tra Greci Indipendenti e Il Fiume (liberali tendenzialmente vicini all’Ulivo). Ma le vicende dell’elezione del Presidente dimostrano che l’accordo politico non è scontato. Al di fuori di ogni possibile ragionamento resterebbero 15/20 deputati nazisti di Alba Dorata.

C’è da considerare l’ultima possibilità, ovvero che si ripeta il 2012 e, vista l’impossibilità di formare un governi, si torni a votare nel giro di un paio di mesi. Nella speranza, per la Troika, che gli elettori tornino a votare come si deve.

In ogni caso, la Grande Coalizione ha provato a scommettere sull’elezione del Presidente e ha perso in maniera clamorosa. E di questo possiamo brindare.

Post Scriptum: si, ho fatto il gufo nei post precedenti sulle presidenziali e la possibilità di elezioni anticipate. Resto convinto che dare per scontato sempre l’opzione migliore sia deletereo. Ora già i media di sinistra danno per scontato che Tsipras guiderà a breve il governo. Spargere ottimisimo in questo modo è la maniera migliore di spargere delusioni. Nel 2012 in Italia sembrava che la lotta fosse finita perchè Syriza era arrivata seconda (per la verità allora i sondaggi erano molto più risicati). In tutto questo l’unica cosa buona è che abbiamo una memoria cortissima e anche quella delusione è stata dimenticata subito.

Ancora sulle presidenziali in Grecia

Alla seconda votazione la Grande Coalizione è arrivata a 168 voti: 155 di Nuova Democrazia e PASOK e 13 indipendenti. E’ già iniziato il fuggi-fuggi da Sinistra Democratica che ha perso due deputati che sono diventati indipendenti per votare il Presidente. Ma, ancora meglio, anche due fuoriusciti di Alba Dorata hanno votato per Dimas!
Alla terza e ultima votazione il 29 dicembre servono altri 12 voti per raggiungere i 180 necessari. Restano “convincibili” una trentina di deputati tra indipendenti, Sinistra Democratica e Greci Indipendenti. Negli ultimi giorni è circolata l’ipotesi che i Greci Indipendenti (casualmente, 12 deputati) potrebbero votare Dimas in cambio dell’impegno a convocare elezioni anticipate a fine del 2015.

Per la situazione di partenza, leggi il mio vecchio pezzo La scommessa della Grande Coalizione.

Per lo sviluppi nei primi due voti, leggi Marco Santopadre su Contropiano.org: Atene, il premier a caccia di voti per evitare le elezioni anticipate

 

Le presidenziali in Grecia: la scommessa della Grande Coalizione.

A leggere gli articoli che girano in questi giorni sembra che in Grecia si vada a elezioni anticipate. Elezioni a cui Syriza si presenta come favorita. A tale notizia la borsa di Atene è crollata e si è cominciata a temere una nuova ondata speculativa su Atene.

Thousands protest Greece austerity as prime minister seeks consenus

Non è esattamente così. Quello che sta succedendo è che il premier Samaras ha anticipato di due mesi le elezioni per il Presidente della Repubblica. In Grecia se il Parlamento non si riesce a eleggere il Presidente della Repubblica entro tre votazioni, il Parlamento viene sciolto e si va a nuove elezioni generali. Per eleggere il Presidente serve una maggioranza qualificata di 200 parlamentari su 300 alle prime due votazioni, alla terza il quorum si abbassa a 180.

Normalmente l’elezione del Presidente è una questione secondaria. Dotato di pochissimi poteri il Presidente è di solito una figura di secondo piano espressa dal partito di maggioranza relativa. Ma questa volta la coalizione di governo non può contare su numeri solidi e soprattutto una parte delle opposizioni, Syriza in testa, hanno un grande interesse a far saltare il banco e andare a elezioni anticipate.

Come già detto, Stavros Dimas, candidato della Grande Coalizione, non può contare su numeri solidi. Il fronte di chi sicuramente lo voterà è composto solo dai socialdemocratici del PASOK (28 seggi) e dai conservatori di Nuova Democrazia (127) per un totale di 155 voti sicuri. Ne mancano all’appello 25.

Il fronte di chi sicuramente non voterà Dimas invece è composto dai comunisti del KKE (12 seggi), dalla sinistra radicale di Syriza (71) e dai nazisti di Alba Dorata (16). Un totale di 99 no sicuri.

Restano nel mezzo 46 parlamentari. Chi sono?

12 sono i Greci Indipendenti, gruppo di destra fuoriuscito da Nuova Democrazia per la contrarietà ad alcune misure di austerità. 10 sono i membri di Sinistra Democratica, l’ex destra interna di Syriza, fuoriuscita dalla coalizione della sinistra radicale per andare a sostenere il governo di Grande Coalizione, salvo poi uscirne dopo poco tempo con le ossa rotte. Infine ci sono 24 parlamentari “indipendenti”, ovvero fuoriusciti dal partito di origine, di cui 17 organizzati in quello che in Italia chiameremmo gruppo misto.

Quindi, Samaras sta veramente rischiando le elezioni anticipate? Beh, sicuramente un elemento di rischio c’è. Ma bisogna tenere conto che la differenza tra chiamare le presidenziali ora e tra due mesi consiste in due mesi in più di crisi. E bisogna anche tenere conto che dei 24 indipendenti la maggior parte sono fuorisciti di Nuova Democrazia e del PASOK, in contrasto su singoli provvedimenti ma probabilmente convincibili a votare il Presidente della Repubblica con lo spauracchio dell’instabilità e della speculazione in caso di elezioni anticipate. L’Economist calcola che i voti che potrebbero arrivare dagli indipendenti potrebbero essere circa 18. Arrivando così a soli 7 voti dal traguardo.

A quel punto Samaras potrebbe andare a pescare tra Sinistra Democratica e Greci Indipendenti. Entrambi i gruppi in passato hanno dimostrato abbastanza “realismo” politico da poterci trovare un accordo. Magari cambiando all’ultimo minuto candidato per l’ultima votazione, andando verso sinistra o verso destra a seconda della bisogna.

Quindi, Samaras si sta prendendo un rischio? Si, ma un rischio che avrebbe dovuto correre lo stesso tra due mesi. E due mesi invernali al freddo (non è una figura retorica) avrebbero potuto spingere anche alcuni parlamentari molto “realisti” a non sostenere il candidato Presidente dell’Austerità. La scommessa che la Grande Coalizione si gioca è rischiosa, ma non senza senso.

Europee a sinistra, parlarne seriamente.

Le elezioni  europee non sono europee. Sono una sommatoria di elezioni nazionali. Specialmente per quanto riguarda le sinistre, è difficile riscontrare tendenze riscontrabili in tutti i paesi e neanche per gruppi di paesi. Al contempo, non sono neanche direttamente paragonabili alle elezioni politiche nazionali, molto diverse le affluenze, spesso diverso l’atteggiamento dell’elettorato, spesso diverse le leggi elettorali.

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Analizzare il risultato delle sinistre quindi richiede un ritorno al principio base dell’analisi elettorale: ogni elezione si paragona solo con un’elezione omologa. Un principio che molti, pur avendo una certa esperienza, hanno dimenticato per strada…

Cosa sono le sinistre in Europa?

Non analizzo qua il risultato dei partiti di “sinistra moderata” che fanno riferimento al Partito del Socialismo Europeo e al suo gruppo Socialisti e Democratici. Il perché è auto evidente.

Non analizzo nemmeno il risultato dei Verdi. Ci sono due motivi. 1) La “famiglia” dei verdi europei ha da tempo intrapreso un cammino verso un ecologismo post ideologico. I capofila di questa transizione sono i Verdi tedeschi (Grune90), che ultimamente è lecito considerare posizionati alla destra della socialdemocrazia (SPD), dopo aver sostenuto il Fiscal Compact ed essersi proposti come alleati di governo della Merkel. Su questa posizione non c’è unanimità né all’interno degli stessi Grune90 né nel gruppo, però è un dato di fatto che in larga parte degli ecologisti europei prevale una tendenza all’alleanza con la socialdemocrazia. 2) Oltre ai travagli ideologici degli ecologisti veri e propri, il gruppo dei Verdi include anche l’Alleanza Libera Europea, un raggruppamento di vari gruppi autonomisti “progressisti”. Sulla definizione di progressisti si può discutere a lungo, ma per quanto riguarda il mio discorso, basta ricordare che quest’Alleanza spazia dai nazionalisti socialdemocratici scozzesi ai liberal conservatori fiamminghi.

Quello che analizzo, è il risultato delle sinistre che in Italia chiameremmo “radicali”. Sono forze politiche che fanno riferimento al gruppo della Sinistra Unitaria Europa/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL), al Partito della Sinistra Europa, all’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai. Si tratta evidentemente di un gruppo estremamente eterogeneo, accomunato fondamentalmente dall’indipendenza, sia in Europa che nei singoli stati, dalle sinistre moderate. Non a caso, il gruppo agisce in maniera confederale, che vuol dire che un partito o anche un singolo eurodeputato in disaccordo con la posizione del gruppo non ha nessun obbligo di voto secondo disciplina.

I risultati del GUE

Alla prima riunione di costituzione il GUE/NGL ha registrato l’adesione di 52 eurodeputati, il risultato più grande dalla fondazione del gruppo, peraltro arrivando da una legislatura tre le più magre per il gruppo.

Legislatura Membri sul totale
1995-1999 34/567
1999-2004 42/626
2004-2009 41/732
2009-2014 35/766
2014-2019 52/761

È da notare che il quinquennio 2009-2014 vanta un eurodeputato un più di quello ’95-’99 ma su un numero maggiore di deputati e che proprio alla fine della legislatura due deputati del Partito Comunista Greco (KKE) hanno annunciato l’abbandono del gruppo.

Il sindacato del KKE

Il sindacato del KKE

La distribuzione dei membri eletti nel gruppo è così composta.

Stato/Partito o lista Percentuale Cambiamento Seggi Cambiamento
Cipro – Partito Progressista dei Lavoratori AKEL 26,98% -7,92% 2 2
Repubblica Ceca – Partito Comunista di Boemia e Moravia – KCSM 10,98% -3,2% 3 -1
Danimarca – Movimento Popolare Contro l’Unione Europea – FmodEU 8,1% +0,9% 1 0
Finlandia – Alleanza di Sinistra – V 9,3% +3,4% 1 +1
Francia – Fronte della Sinistra – FdG 6,61% +0,13% 4 -1
Germania – La sinistra – Linke 7,39% -0.1 7 -1
Germania – Animalisti – TP 1,25% 0,1 1 +1
Grecia – Coalizione della Sinistra Radicale – SYRIZA 26,57% 21,87% 6 +5
Irlanda – Noi Stessi – Sinn Fein SF 19,5% 8,3 3 +3
Irlanda – Flanagan – Indipendente 7,48 Non presentato 1 +1
Italia – L’Altra Europa con Tsipras 4,03% -2,49% 3 +3
Olanda – Partito Socialista – SP 9,6% +2,5% 2 0
Olanda – Animalisti – PvdD 4,2% +0,6% 1 +1
Portogallo – Blocco di Sinistra – BdE 4,6% -6,2% 1 -2
Portogallo – Coalizione Democratica Unitaria – CDU 12,7% +2% 1 -2
Spagna – Sinistra Plurale – IP 9,99% +6,28& 6 (1 eletto nel gruppo dei Verdi) +4
Spagna – Possiamo -Podemos 7,97% Non presentato 5 +5
Spagna – I popoli decidono – BILDU 2,07% +0,95% 1 +1
Svezia – Partito della Sinistra – V 5,66% +0,65% 1 0
Regno Unito – Noi Stessi – Sinn Fein SF 0,97% +0,16% 1 0

Vale anche la pena di guardare i risultati di alcuni partiti che non sono riusciti a eleggere e del KKE, appena fuoriuscito dal gruppo.

Stato/Partito o lista Percentuale Cambiamento Seggi Cambiamento
Austria – Europa Differente (Comunisti + Pirati) – (ANDERS) 2,14% +1,49% (rispetto ai soli comunisti) 0 0
Belgio – Partito dei Lavoratori – PvdA/PTB 3,51% +2,46% 0 0
Bulgaria – Sinistra Bulgara -BL 0,5% Nel 2009 non esisteva 0 0
Croazia – Partito del Lavoro – HLSR 3,4% -2,37% 0 -1
Ungheria – Partito Operaio Ungherese Non Presentato -0,96% 0 0
Irlanda – Partito Socialista – SP 1,8% -0,9% 0 -1
Lettonia – Partito Socialista – LSP 1,54% -11,6% (in coalizione col Partito Socialdemocratico) 0 -1
Lussemburgo – La Sinistra –Lenk 5,76% 2,36% 0 0
Lussemburgo – Partito Comunista – KPL 1,5% 0 0 0
Polonia – Partito del lavoro Non presentato -0,7% 0 0
Slovenia – Sinistra Unita – ZL 5,47% Non presentata 0 0
Grecia – Partito Comunista di Grecia – KKE 6,09% -2,26% 2 0

 

Gli eletti nelle liste delle sinistre in Europa sono quindi 55. Il risultato però richiede di essere analizzati più in profondità. Come già detto i 2 eletti del KKE greco non andranno nel GUE/NGL preferendo, pare, non iscriversi a nessun gruppo. 1 eletto della Sinistra Plurale spagnola (alleanza tra la Sinistra Unita social-comunista e forze minori di sinistra ed ecologiste) andrà coi verdi. Queste sole “defezioni”, per quanto prevedibili, portano il gruppo a 52 elementi, uno in meno del gruppo verde che, mentre scrivo, contra 53 aderenti.

Edit 22 Giugno: in seguito a rimescolamenti vari, il gruppo verde è passato a soli 50 membri.

GUE/NGL

GUE/NGL

La geografia delle liste che non eleggono, o che addirittura non presentano alcuna lista (mancano dalle tabelle, Romania, Malta, Lituania ed Estonia) dimostra la difficoltà delle sinistre a rimettere piede in molti paesi ex socialisti, se non affidandosi a fenomeni estemporanei e difficilmente ripetibili come i croati del HLSR o i lettoni dell’LSP. D’altra parte si presentano a queste elezioni con risultati degni di nota, per quanto piccoli, i risultati della Sinistra Unita slovena e dell’ANDERS austriaco, su cui il Partito della Sinistra Europea ha fatto un discreto investimento. Investimento che è andato anche alla Sinistra Bulgara che raccoglie però un risultato molto sotto le aspettative che prevedevano un 3%.

Discorso diverso è quello fattibile per alcune forze come i belgi e i lussemburghesi che ottengono risultati buoni (soprattutto i belgi, considerando che pochi anni fa sembravano in via d’estinzione) ma non eleggono a causa delle soglie molto alte.

Andando ai paesi che eleggono, la parte del leone nel risultato è fatta dalla SYRIZA greca e dalle varie sinistre spagnole. È da notare che mentre era abbastanza scontata l’adesione al GUE/NGL da parte di Podemos, non altrettanto era quella dell’eletto del BILDU, dato che la coalizione di indipendentisti I Popoli Decidono coinvolge anche movimenti locali che in Europa farebbero riferimento ai verdi o ai liberali.

Erano indecisi se fare sta roba o convocare un twistorm

Erano indecisi se fare sta roba o convocare un twistorm

Un risultato importante è quello dell’Italia che torna al Parlamento Europeo con 3 eurodeputati. Un risultato però complesso, inferiore in percentuale e in voti alla somma della Lista Comunista di Sinistra E Libertà nel 2009. La stessa tenuta del gruppo di eletti all’interno del GUE/NGL è stata messa in discussione immediatamente dopo le elezioni portando al balletto di Spinelli e alle polemiche di Maltese. Sicuramente è difficile pensare che una liste che su 3 eletti porta due opinionisti di Repubblica sia del tutto considerabile come sinistra “radicale”.

Le sinistre di Francia e Germania portano a Bruxelles un deputato in meno a testa pur rimanendo sostanzialmente stabili in percentuale. La differenza è che in Germania questo accade perché l’abbattimento (sacrosanto) della soglia di sbarramento redistribuisce seggi anche a partiti attorno all’1%. In Francia, invece, è da notare che nel 2009 alla sinistra del Fronte della Sinistra esisteva ancora il Nuovo Partito Anticapitalista capace di raccogliere il 4,88% dei voti (senza eleggere). L’NPA s’è poi scisso in varie fazioni di cui una confluita nel Fronte.

In Irlanda il Sinn Feinn guadagna su tutti i fronti, nonostante l’incarcerazione del leader Gerry Adams a un mese dal voto, e guadagna tre parlamentari. È da notare che nel 2009 i trozkisti del Partito Socialista riuscivano a eleggere un eurodeputato grazie alla concentrazione del loro 2,7% tutto nella circoscrizione di Dublino, impresa non riuscita nel 2014.

Il Regno Unito rimane un buco nero per le sinistre. L’unico deputato eletto è quello del Sinn Fein in Nord Irlanda (dove lo 0,97% a livello nazionale significa un 25,5% nella circoscrizione!), mentre la neo-fondata Left Unity (anche questa, con un discreto appoggio politico della Sinistra Europea), s’è presentata soltanto ad alcune elezioni locali ottenendo risultati dignitosi ma in nessun modo confrontabili con le europee.

Un ultimo sguardo va dato all’afflusso di membri nel GUE/NGL dopo le elezioni. È il caso degli animalisti tedeschi e olandesi, entrambi difficilmente inquadrabili come prettamente “di sinistra”. Caso a parte è quello di Luke Flanagan, indipendente irlandese, noto per battaglie sulla legalizzazione delle droghe.

Si può considerare una vittoria?

A livello di parlamentari eletti in liste di sinistra radicale, di appartenenti al GUE/NGL e di peso percentuale del GUE/NGL nel parlamento, è sicuramente la miglior legislatura per le sinistre radicali dopo la fine dell’URSS.

PCP

PCP

In Italia è sicuramente stata vissuta come una vittoria per il ritorno delle sinistre in parlamento, personalmente non posso fare a meno di essere ampiamente soddisfatto per l’elezione di Eleonora Forenza del PRC. Dopo una lunga serie di sconfitte elettorali i comunisti sono tornati in un’assemblea di livello nazionale con una lista indipendente dal centrosinistra. Dopo il disastro di Rivoluzione Civile nessuno l’avrebbe mai detto. Ma questo dovrà essere analizzato in dettaglio in altra sede.

Alcune voci si sono levate per smorzare gli animi della festa. Quella di Rossana Rossanda, in particolare, le cui obiezioni sono però traballanti. A differenza di quanto sostiene la storica fondatrice del Manifesto, infatti, con la candidatura di Alexis Tsipras il Partito della Sinistra Europea non intendeva affatto lanciare una realistica scalata alla Presidenza della Commissione Europea. Fin dal Congresso di Madrid, la Sinistra Europea ha inteso la presentazione di una candidatura alla Presidenza come un mezzo per illustrare le contraddizioni dell’Unione Europea. L’idea che l’obiettivo fosse vincere (cosa chiaramente irrealizzabile!) è forse solo una conseguenza del dibattito ultra personalista che si è avviato in Italia sulla “lista Tsipras”.

Il vero problema, è che si puntava a un risultato più alto.

Gruppo Seggi Cambiamento dal 2009
Popolari (EPP) 221 -53
Socialisti e Democratici (S&D) 191 -5
Liberali e Democratici (ALDE) 83 -20
Verdi – Alleanza Libera Europea(G-EFA) 52 -5
Conservatori e Riformisti Europei (ECR) 63 +6
Sinistra Unitaria Europea – Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL) 52 +17
Europa di Democrazia e Libertà (EFD) 45 +14
Alleanza Europea per la Libertà (EAF) 38 (nuovo)

A una rapida occhiata, appare chiaro che i partito “del sistema” sono andati indietro. In particolari EPP e ALDE, ma anche S&D e G-EFA. La dinamica italiana incide profondamente sugli equilibri tra i gruppi. Dei 20 membri persi dai liberali, 7 sono dell’IdV, al contrario i socialisti limitano le perdite anche grazie ai 10 seggi in più guadagnati da Renzi.

In una dinamica più complessa è invece l’ECR, che insieme ai Tories inglesi raggruppa anche partiti di varia provenienza. Se è possibile indicare pienamente come “destra populista” i polacchi di Legge e Famiglia, è difficile inquadrare così Alternativa per la Germania, il partito dei tecnocrati anti euro di Berlino.

Segna una crescita notevole anche EFD, il gruppo dello UKIP di Farage e, ormai, anche di Beppe Grillo che dall’Italia porta in dote 17 parlamentari che compensano la fuoriuscita della Lega Nord. Aldilà del dibattito sul posizionamento politico del 5 Stelle (e personalmente spero che questa mossa contribuisca a una sana scissione), EFD è un gruppo chiaramente di destra radicale. Di quella destra radicale che mescola nazionalismo e liberismo e opposizione all’integrazione europea.

L’EAF è, mentre scrivo, ancora un’incognita. Se Marine Le Pen riuscisse a formare un gruppo parlamentare dietro al suo Front National, si tratterebbe del gruppo col guadagno più marcato. Non è però detto che ce la faccia. Il progetto di modernizzazione del partito operata da Le Pen Junior infatti prevede di tagliare i ponti con le destre esplicitamente nazista: fuori quindi Jobbik ungherese, Alba Dorata greca e NPD tedesco. Dentro invece chi intende seguire Marine, come Matteo Salvini, in un percorso della costruzione della destra fascista in doppio petto a livello europeo. Recuperare eurodeputati da 7 paesi per poter istituire un gruppo rimane quindi un problema, se non ci riuscisse ora, Le Pen comunque ha di fronte 5 lunghi anni in cui qualche deputato di destra può cambiare idea (capita spesso a quelli dell’UKIP che litigano con Farage) e soprattutto può contare su un sistema di alleanze che per ora pare ben più politicamente compatto di ECR e EFD.

Il GUE/NGL, in tutto questo, guadagna ma non quanto ci si era prefissati negli obiettivi. Certo, gli obiettivi non erano fissati nero su bianco, ma erano almeno due: scavalcare i verdi e compensare la crescita dell’estrema destra. Dopo le defezioni più recenti, i Verdi sono scivolati sotto di due europarlamentari (ed è importante, come spiega Agnoletto), ma soprattutto le destre estreme eleggono un centinaio di parlamentari, includendo anche elementi chiaramente estremisti come l’ungherese Orban che rimane integrato nei Popolari.

Come e perché i partiti del GUE/NGL non abbiano centrato questi obiettivi, è una questione che riguarda ogni singola elezione nazionale. Di sicuro è stata spazzata via l’illusione che ci fosse una tendenza automatica alla crescita delle sinistre.

Le tendenze

Dopo le elezioni è cominciata la ricerca di una tendenza unitaria, di una dicotomia, che spiegasse facilmente e univocamente perché è andato bene chi è andato bene ed è andato male chi è andato male.

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Toni Negri scrive che la dimensione nazionale e “sovranista […] è un terreno su cui solo la destra […] vince. Al lato opposto, Aldo Giannuli sostiene che la protesta ha premiato i partiti che si sono dichiarati apertamente contro l’Euro e la Ue (è sintomatico che il Pc portoghese, che aumenta, è fra quelli della sinistra che si sono pronunciati contro l’Euro, come del resto il Kke). La complessità dei risultati smentisce entrambi i risultati, se in Grecia vince pienamente Syriza con la promessa di non uscire dall’euro (ma, dettaglio spesso omesso, con un ampio dibattito interno sulla questione), in molti paesi avanzano forze sovraniste: la CDU in Portogallo, il Movimento Popolare contro l’UE in Danimarca, il Partito Socialista in Olanda e così via. D’altra parte, non pare che la scelta nettamente europeista de L’Altra Europa abbia portato a grandi risultati;

La polemica sempre più feroce del KKE contro la Sinistra Europea ha portato alcuni a pensare che l’adesione o meno al Partito a livello europeo potesse influenzare il risultato. In realtà, risultano in crescita sia partiti fortemente integrati nella SE (Syriza, Izquierda Plural, per esempio) sia partiti autonomi (Sinn Fein, CDU portoghese, SP olandese). Alla stessa maniera del primo gruppo risultano in difficoltà o in calo partiti come Blocco di Sinistra e la stessa Lista Tsipras. Tra gli indipendenti è proprio il KKE ad arretrare.

A questo turno non pare sia possibile trovare tra i partiti del GUE/NGL forze che risentano di una partecipazione al governo come poteva essere Rifondazione Comunista nel 2009. Forse l’unico partito a poter rientrare in una dinamica del genere è l’AKEL cipriota che non riesce più a tornare sulle percentuali di quando riuscì a eleggere il Presidente della Repubblica. D’altra parte, questo vuol dire che neanche stare in opposizione garantisce una rendita sicura.

Ovviamente tutto questo non vuol dire che il posizionamento rispetto all’euro e al processo di integrazione europea, che la cultura politica e la struttura organizzativa delle singole forze politiche e che tantomeno il rapporto con la questione del governo siano bruscolini. Il fatto, mi sembra, è che la performance di un partito di sinistra non può non essere collegata all’andamento reale del conflitto tra capitale e lavoro.

Una dicotomia che appare utile per capire una parte di questa realtà può essere quella centro-periferia, una contrapposizione che stiamo stati abituati a immaginare tra il “nord” e il “sud” del Mondo, indirettamente segno dello sfruttamento delle classi dominanti del nord su tutti i sud, che ora si ripresenta in maniera sempre più lampante all’interno dell’Unione Europa. In questo senso, vediamo che le grandi avanzate della sinistra oggettivamente si hanno solo in periferia: Grecia, Irlanda, Spagna, parzialmente Portogallo. Nel centro rimangono invece forze di sinistra che non sembrano in questo momento capaci di spezzare il circolo perverso che oppone gli interessi delle classi subordinate del centro a quelli delle classi subordinate delle periferie: la Linke tedesca. In mezzo, si muovono paesi più o meno integrati nell’economia del centro in cui le sinistre galleggiano senza riuscire a dare un colpo di reni: Italia e Francia (in diminuzione), Belgio e Olanda (in leggere aumento).

La collocazione centro-periferia però non può spiegare tutto. Alla fine c’è un elemento che riguarda ogni singolo paese in maniera diversa: la conflittualità sociale (in primis, nella forma di conflitto tra capitale e lavoro) e se come i partiti di sinistra vi partecipano.

Nel saggio Vecchi e Nuovi Soggetti Sociali Critici e Antagonisti  in Europa, Alfonso Gianni cita una serie di paesi in cui attorno al 2012 c’è stata una tendenza all’aumento del conflitto: Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Germania, Italia, Grecia, Portogallo e Spagna. Si tratta di paesi sia periferici sia centrali, con partiti di sinistra molto diversi fra loro. Incrociando questi dati si può provare, però, a trarre delle conclusioni.

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Una vita fa

In Germania, come già detto, la Linke vive una crisi tra il mantenimento del livello relativamente alto della qualità della vita dei lavoratori dipendenti (e, in particolare, di quella fascia di “aristocrazia operaia” che fa riferimento ai sindacati dove la Linke è più radicata) e la consapevolezza dei danni alle classe subordinate dei paesi periferici.

In Italia, i partiti della sinistra sono da tempo ininfluenti sulla lotta sindacale e cercano di mascherare la mancanza di linea sindacale con l’adesione di questo (Landini) o quel (Cremaschi) sindacalista al cartello elettorale di turno. Per di più, quella piccola ripresa di conflitto sociale che sembrava delinearsi tra 2010 e 2011 grazie alla coppia movimento studentesco-FIOM è andata via via perdendosi fino alla situazione attuale in cui lo sciopero generale della CGIL è diventato un mitico animale da bestiario.

In un Belgio sorprendentemente (per la sua storia di paese “pacifico”) in aumento di lotta di classe, il Partito dei Lavoratori, che nelle ironie di molti fini strateghi della sinistra nostrana sembrava destinato all’estinzione, torna a essere una forza politica con un ruolo da giocare grazie a un serio lavoro di radicamento nella classe di lungo periodo.

In Grecia, il livello dello scontro e la capacità delle sinistre di farvi parte (sia Syriza, sia KKE hanno le loro correnti sindacali organizzate) sono note, al punto che le sinistre radicali hanno completamente ribaltato i rapporti di forza rispetto alla sinistra moderata.

Portogallo e Spagna sembrano avere una storia comune ma con un finale, per ora, diverso. Entrambi i paesi sottoposti a pesantissime misure di austerità, hanno entrambe avuto un aumento di conflitto sindacale e di mobilitazione sociale più vasta.
Però in Spagna la mobilitazione dei cosiddetti indignados ha tenuto botta e ha saputo darsi forme continuative oltre agli accampamenti in piazza. Sindacati e movimenti hanno portato acqua ai mulini di tutte le sinistre: Izquierda Unida/Plural incassa l’influenza nel sindacato CCOO e già due anni fa eleggeva in parlamento un portavoce degli indignados, Podemos si propone direttamente come “partito degli indignati”, più legato a questioni “moralistiche” come la corruzione.
In Portogallo, dopo la fase di piazza il movimento “si fotta la Troika” s’è via via ritirato, lasciando il conflitto sociale tutto sulle spalle del sindacato, in particolare sulla CGTP il cui segretario è membro del Partito Comunista. In questo senso, è possibile leggere l’avanzata della CDU (di cui il PC è la colonna portante) e l’arretramento del Blocco di Sinistra come lo specchio del mantenimento del conflitto sindacale e l’arretramento del movimentismo.

Si tratta ovviamente di un’analisi rozza e semplificata. La mia conclusione personale è che, come dicevo in avvio, ci sono state 28 elezioni nazionali ed ognuna è stata una storia a parte, perché nonostante il processo di “integrazione” europea le società rimangono diverse ed invece che omologarsi, divergono e per di più vengono rinfocolati odi nazionali ed etnici. Le sinistre all’interno di questo quadro ottengono un risultato di miglioramento ma insufficiente anche solo a porsi come contraltare alla radicalizzazione delle destre. Il compito di un partito di sinistra, e per di più di uno comunista, non può essere quello di aspettare pazientemente i prossimi cinque anni (sperando che l’UE ci sia ancora) per giocarsi la carta del leader che avrà il vento in poppa nel 2019. Dovrebbe essere quello di riannodare pazientemente i fili con le classi subordinate. La semplicità difficile a farsi.