Per le elezioni va costituendosi un polo rosso-arancio, dove il rosso indica Rifondazione e gli altri partiti della sinistra e l’arancio la “società civile” e il movimento coagulato attorno al sindaco di Napoli De Magistris. Di alcuni dei limiti di questa operazione ho già scritto, deve però essere ben chiara una cosa: l’operazione è giusta. Poi vedremo nei prossimi mesi che consensi raggiungerà e se e come si stabilizzerà dopo le elezioni. Per intanto, aggregare tutti quelli che durante quest’anno si sono opposti da sinistra a Monti è giusto, anche se ci sono divergenze di analisi e di programma. Se prima di formare il Front De Gauche si fosse atteso di appianare le divergenze tra il Partito Comunista Francese e il Partito della Sinistra di Melenchon, non sarebbe mai nato il Front, e lo stesso vale per le altre formazioni della sinistra in giro per l’Europa (Syriza, Izquierda Unida etc etc etc).
Qua in sostanza finiscono le cose che possono, forse, interessare alle persone normali.
Ovviamente un’operazione del genere non poteva non suscitare polemiche. Tra chi si lamenta, con ottime ragioni, della presenza in primo piano del nome di Ingroia sul simbolo, chi un po’ irrealisticamente vorrebbe imporre la falce e martello anche a chi comunista non è e chi pone questioni programmatiche, si fa largo un tipo di polemica totalmente irricevibile.
Fin da quando, tra novembre e dicembre, s’è concretizzata l’opzione di una gamba “arancione” della sinistra, è partita una campagna infamante delle varie anime rossobrune che accusano gli arancioni di essere dei golpisti al servizio della finanza internazionale.
C’è un dato oggettivo, negli ultimi vent’anni la politica statunitense verso i paesi ex sovietici e asiatici s’è caratterizzata anche per la manipolazione di movimenti “per la democrazia” a “contro la corruzione”. Uno dei casi più eclatanti è proprio la “rivoluzione arancione” ucraina, in cui è stato ormai provato il coinvolgimento dei servizi segreti locali e dell’organizzazione Otpor, finanziata dallo speculatore Soros. In altri paesi asiatici operazioni simili sono state chiamate rivoluzioni rosa (Kyrgizistan e Georgia).
L’accusa dei rossobruni è molto semplice: l’arancione è il colore delle “rivoluzioni” finanziate dalla CIA. Che basi hanno per dire questo?
Nessuna. L’unica cosa che accomuna gli arancioni italiani e gli arancioni esteuropei/centrasiatici è aver scelto un colore come simbolo del proprio movimento. Una cosa che accomuna all’incirca tutti i movimenti del mondo. Se questo fosse il criterio, dovremmo dedurne che tutti i Partiti Comunisti sono di destra perchè usano il rosso come i Liberali canadesi, i Repubblicani americani o i conservatori sudcoreani. O che sono monarchici come i rossi thailandesi.
Anche se si guarda ai programmi, la differenza tra Ingroia/De Magistris e Yushenko appare evidente. Senza mitizzare gli arancioni nostrani, che devono ancora fare dei grandi passi avanti suquesto campo, il rifiuto del Fiscal Compact, il rifiuto delle politiche di guerra e la tendenza verso politiche di interventismo pubblico in economia sono in netto contrasto con l’europeismo, l’atlantismo e il liberismo delle rivoluzione colorate.
Infine, i mezzi. Le rivoluzioni colorate si sono sempre dimostrate facoltose, sia per base sociale che per mezzi impiegati dalla leadership. Gli arancioni possono avere tanti difetti, ma al massimo rappresentano una classe media in via di proletarizzazione, di sicuro non il movimento della borghesia arricchita che cerca di scrollarsi di dosso il peso delle classi popolari. La CIA non bada a spese, i movimenti su cui punta non hanno certo difficoltà a pagre le sale in cui fanno le assemblee, non chiedono le 5 euro di solidarietà, non fanno i siti con la versione schifida di wordpress.
Con questa polemica i rossobruni si confermano per quel che sono, un gruppetto di provocatori intenti a portare confusione nel campo della sinistra, sperando di far fallire questo passaggio elettorale e poter poi spillare militanti ed energie.