“Marxilismo”: un piccolo parere antipatico

[Piccolo parere antipatico]
Ho letto la polemica sul “marxilismo” fatta da InGenere, e varie reazioni.
Rimane assolutamente vero che nel nostro piccolo mondo (anzi, nei nostri piccoli mondi dell’accademia e della militanza) c’è tanto maschilismo. Rimane altrettanto vero che l’articolo presenta qualche “leggero” problema nel momento in cui prova a paragonare una conferenza accademica (Marx2day, svolta a Milano pochi giorni fa) e un dibattito sull’aborto in Polonia a cui partecipano solo uomini conservatori. Si potrebbe poi discutere a lungo sul fatto che i partecipanti a Marx2day, basta conoscerne il lavoro anche solo di striscio, sono tutt’altro che impermeabili al lavorare con le donne, sia in termini di influenza intellettuale che, più direttamente, di firmare pubblicazioni insieme.
Nella polemica, però, mi sembra che non sia stato colto qualcosa che (in maniera inconscia?) è stato espresso da InGenere: il testo rivendica a gran voce che nelle conferenze marxiste in Italia dovrebbero irrompere “i punti di vista sessuati” e “situati nel pensiero post coloniale”, portando a esempio positivo la conferenze “sullo stesso tema” (Re)Borth of Marx(ism), che si è tenuta in Irlanda. Ora, le due conferenze non sono esattamente sullo stesso tema, quella milanese è sulla lettura di Marx economista, quella irlandese è su Marx e sui marxismi a 360 gradi.  Nella conferenza irlandese sono presenti, una moltitudine (pun intended) di approcci e temi: dall’interpretazione marxista dei film e dei libri ai Khmer rossi, dai cultural studies al keynote del prezzemolino Toni Negri, dall’economista femminista all’analisi dell’indipendentismo catalano.
La conferenza di Milano aveva un ambito molto più ristretto, e se l’ambito è ristretto, diventa molto più difficile costruire dei panel con equilibrio di genere. Si dica quel che si vuol dire, ma se invece di parlare di Marx sotto ogni possibile aspetto si parla di Marx economista, si riduce fortemente il numero di possibili relatori, e si escludono anche alcuni campi (come i cultural studies) a forte presenza femminile. Non vuol dire che non sia un problema che nel campo più ristretto dell’economia marxista ci siano meno donne. Però vuol dire anche che aumenta la probabilità che molte valenti economiste marxiste non possano essere presenti nei tre giorni della conferenza, dato che, la partecipazione alle conferenze non è solo un problema di volontà degli organizzatori e dei relatori ma anche (soprattutto?) di disponibilità tecniche. 
Torno quindi al pensiero (forse innconsciamente) da InGenere: mi sembra che più che accusare seriamente l’economia marxista italiana di essere maschilista, si stia accusando l’economia marxista italiana di non essere pervasa dai cultural studies. E lo si fa col tipico piglio di chi dice “nel mio giro tutti parlano di questo, quindi se voi non ne parlate siete gretti e limitati”. Non è molto ironico, tutto questo?

La linea comica: Abravanel e la meritocrazia cinese

Abravanel riciccia le tesi di Daniel Bell sulla Cina.

La meritocrazia cinese
tra Confucio e il comunismo

Dopo Mao si è tornati a selezionare con criterio i «mandarini», per contrastare corruzione e nepotismo, che permangono. Ma i risultati sono buoni

Tra le altre cose divertenti:
“Ma, se la nostra democrazia non può copiare la meritocrazia politica cinese nella selezione dei politici, può farlo nella selezione dei dirigenti della pubblica amministrazione (Pa). Mentre in Cina i politici sono de facto i dirigenti della Pa perché non esiste un parlamento, da noi si è fatto il contrario, «politicizzando» i dirigenti della Pa.”
Qualcuno dovrebbe spiegare ad Abravanel che esiste un parlamento cinese, l’Assemblea Nazionale del Popolo, che ha compiti diversi rispetto a un parlamento di un paese liberaldemocratico ma esiste.
Oppure potremmo continuare a goderci lo spettacolo di un sostenitore del “merito” che parla a casaccio di un paese di cui evidentemente non sa nulla.

Referendum: smettetela di rompere le balle col CNEL

“Se si vota NO al referendum costituzionale si vota per mantenere un ente inutile come il CNEL”.

Questa è la versione di Renzi.

L’inutilità del CNEL d’altra parte è data per scontata dalla stra grande maggioranza dei giornalisti. Anche e soprattutto quelli che amano auto incensarsi come indipendenti e non sottoposti a pregiudizi ideologici.

 

Cosa fa e cosa dovrebbe fare il CNEL

 

Il CNEL venne inserito nella Costituzione con l’ottica di dare alle organizzazioni sociali un luogo in cui insieme producono pareri sulle attività legislative e a loro volta producono proposte di legge.

 

Il CNEL è composto ora da alcuni membri nominati dal Presidente della Repubblica, alcuni nominati dal governo e una maggioranza nominata da sindacati e associazioni di categoria.

 

Il CNEL non è che abbia mai brillato come l’ente migliore del paese, ma la favola del “CNEL che non fa niente” è, per l’appunto, una favola. Il CNEL produce pareri sulla legge finanziaria, produce proposte di legge, produce rapporti e ricerche sulle problematiche legate al lavoro e alla pubblica amministrazione.

 

Perché c’è il mito del CNEL inutile

 

Perché da qualche annetto nel nostro paese si spala immondizia su qualunque corpo intermedio. Se lo stesso sindacato viene dipinto come qualcosa da abolire in quanto tale, figuriamoci un ente in cui i sindacati collaborano per elaborare proposte.

 

Il fatto che le proposte del CNEL non approdino mai all’approvazione finale  viene usato come dimostrazione della sua inutilità.

Ma è un falso ragionamento. Il problema è che ora come ora non si dialoga su nulla, la produzione di leggi è sempre più legata all’imposizione dei decreti governativi o ai voti di fiducia. Detto in altre parole: il CNEL è inutile perché si è deciso che la discussione debba avvenire altrove.

 

Perché? Perché la discussione sul lavoro si fa negli editoriali del Corriere della Sera e nelle campagne di Repubblica. Non certo in un organo in cui – orrore! – le organizzazioni dei lavoratori dovrebbero essere rappresentate proporzionalmente ai loro iscritto. Doppio orrore: nel CNEL non sono rappresentati solo i buoni di CGILCISLUIL, ci sono anche i cattivoni del sindacato di base.

 

Il populismo contro il CNEL

 

Più avanza questa nauseante campagne referendaria, più le argomentazioni di Renzo si fanno populiste. Non essendo riusciti a vendere la riforma come una abolizione del Senato, devono dare in pasto all’opinione pubblica almeno l’abolizione di un ente inutile. Quale migliore candidato del CNEL: non fa girare troppi soldi quindi non so vanno a intaccare grossi interessi economici, è composto da rappresentanti si sindacato e associazioni di categoria quindi sta naturalmente antipatico in un’epoca di retorica anti corpi intermedi, si occupa di temi molto specifici per cui il grande pubblico non sa cosa faccia effettivamente.

 

A tutti i sostenitori della riforma: non vo vi farò mai cambiare idea perché tanto siete ideologicamente convinti (e questo vale ancora di più per chi vota sì proclamando di sinistra) ma almeno piantatela con ste baggianate sul CNEL.

Due righe, serie, sul medagliere europeo

Se l’UE si presentasse come nazione unica alle olimpiadi presenterebbe meno atleti e prenderebbe meno medaglie. Questo è un fatto incontrovertibile.
 
Si potrebbero fare molti ragionamenti a partire da questo, ma mi concentro su uno solo.
 
Il medagliere europeo è una maniera populista di stimolare un nazionalismo europeo. Populista nel senso peggiore: quello di raccontare balle al popolo illudendolo su cose irrealizzabili.
 
Il fatto che la vaccata sul medagliere europeo sia stata ora diffusa anche dall’account ufficiale dell’Europarlamento, dimostra che la tattica comunicativa delle istituzioni europee è profondamente populista.
Un annetto fa Guy Verhofstadt ha avunto un momento di popolarità con il suo discorso all’Europarlamento in cui attaccava Tsipras perchè non aveva ancora posto fine ai “privilegi” degli armatori, dell’esercito, della Chiesa e delle isole greche. Un discorso biecamente populista perchè nascondeva che i privilegi dei militari sottostanno a contratti di fornitura militare comprati con la corruzione dalle imprese tedesche, perchè nasconde che i suoi referenti politici in Grecia sono esattamente i referenti politici degli armatori, perchè nasconde che i privilegi delle isole greche erano gli sgravi sull’IVA perchè oggettivamente stanno in mezzo al mare e quindi hanno oggettivamente costi enormemente maggiori per procurarsi ogni prodotto. Soprattut, era un discorso populista perchè dava in pasto all’elettorato dei paesi del centro-nord l’immagine dei greci fannulloni e parassiti. Nè più nè meno di un Bossi qualsiasi coi terroni. Non è un caso che dopo un decennio di retorica del genere, in Germania esploda l’AFD.
È populista l’operazione di avere nelle università le cattedre Jean Monet in cui, letteralmente, si insegna che “gli USA hanno un portafoglio, l’UE ha anche un cuore:l’Erasmus”. 
È populista il medagliere europeo.
E, ovviamente, chi ha diffuso acriticamente questa baggianata, sarà in prima linea a dare del “populista” a chi metterà in dubbio le verità ufficiali dell’Unione.
E, c’è da chiedersi, quanti tra costoro saranno manovratori populisti e quanti saranno i manovrati, per di più convinti di essere molto più intelligenti dei manovrati da Le Pen e Farage.

Obama e Batman

Per La Città Futura ho scritto una breve analisi dell’intervista di Obama al The Atlantic sulla politica estera.

[Hillary] “Clinton e Obama si pongono quindi in due maniere differenti. Per il Presidente in carica è meglio guidare dalle retrovie, lasciare che gli alleati si prendano più responsabilità e non avventurarsi in operazioni di terra dal risultato imprevedibile. Per l’aspirante presidente gli Stati Uniti devono continuare ad assumere il proprio ruolo di guida, visto che gli alleati europei non sono in grado di gestire da soli le grandi questioni geopolitiche.

Questa moderazione di Obama non deve però essere presa come una posizione anti guerra, tutt’altro. Nell’intervista al The Atlantic Obama rivendica gli atti di forza che lui giudica intelligenti. Rivendica l’esecuzione di Bin Laden e l’uso estensivo deidroni per le operazioni antiterrorismo. Ma Obama non rivendica solo le operazioni aeree, rivendica anche il sostegno al Free Syrian Army, l’esercito dei ribelli che combatte contro il governo di Damasco. Rivendica l’aumento di diecimila soldati delle truppe in Afghanistan e lo sconfinamento delle operazioni militari in Pakistan. Rivendica, infine, di aver trattato con l’Iran, ma di essere stato pronto a bombardarlo nel caso il suo progetto nucleare avesse svelato un lato militare tale da porre in pericolo l’esistenza di Israele.

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L’intervista a Obama contiene peraltro molte più cose di quante discusse nell’articolo, in particolare su Putin e sui leader di sinistra dell’America Latina. Obama caratterizza in particolare Hugo Chavez come un pazzariello che è stato lasciato parlare fino a quando un cancro l’ha opportunamente portato via, inoltre rivendica la normalizzazione dei rapporti con Cuba come la dimostrazione che con il dovuto savoir fair anche i più pazzarielli alla fine si redimono e diventano sostenitori dell’Impero Benevolo Americano. Chissà cos’ha pensato Obama quando il pazzariello Raul Castro si è rifiutato platealmente di abbracciarlo davanti alle telecamere…

Detto questo, arrivo all’argomento del titolo. Uno dei passaggi più curiosi dell’intervista è quello in cui Obama paragona il califfato dell’ISIS al Joker del film Il Cavaliere Oscuro. Nel film, il secondo della trilogia di Nolan su Batman, il Joker distrugge l’equilibrio tra i mafiosi di Gotham City e avvia un periodo di caos. Rimane curioso che Obama usi proprio quella scena per descrivere l’ascesa dell’ISIS. Implicitamente Obama paragona tutti gli altri attori della regione ai capi mafia di Gotham, inclusi gli alleati come i sauditi e gli israeliani. Probabilmente Obama non si rendeva conto del paragone che sollevava.

Rimane interessante notare che il motivo per cui Obama usa questo esempio è che, nella sua visione, il Joker e il Califfato sono entrambi dediti al caos per il caos. La cosa ovviamente coincide con la consueta narrativa per cui i nemici di turno (che siano capi di regimi mediorientali, leader populisti sudamericani o membri della dinastia Kim) sono invariabilmente pazzi e i loro scopi sono il male per il male. Una narrativa anti-storica (nel senso che rimuove la storia, rimuove come si arriva a determinate situazioni storiche) ma efficacissima nel dare legittimità agli interventi militari americani. Ciò che a Obama sfugge nel paragone è che il Joker proclama di essere un agente dal caos puro ma nel corso del film dimostra di avere uno scopo, cioè dimostrare l’impossibilità dell’esistenza degli eroi, dimostrare che di fronte alla minaccia terroristica la città di Githam sarebbe sprofondata nel caos e avrebbe rinnegato ogni principio pur di salvarsi. È curioso che il film si concluda proprio con una condanna dell’idea di barattare i principi con la “salvezza dal terrorismo”, mentre Obama usa il film proprio per giustificare l’abbandono di ogni principio (Obama rivendica tutte le azioni militari, incluso il fomentare la guerra siriana) in nome della sicurezza della nazione. A sostenere le posizioni di Obama nel film è invece il procuratore Harvey Dentro,  che non a caso finisce per diventare il cattivo Due Facce.

In maniera abbastanza naturale Batman diventa spesso il portavoce delle istanze più reazionaria della pancia americana, basti pensare al bellissimo e ultra reazionario Batman di Miller. In questo caso Obama scavalca a destra il Batman di Nolan.

Né col PD né coi 5 Stelle

1 – In questi giorni il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle si stanno rimpallando la responsabilità politica dello stop imposto al disegno di legge sui diritti per le coppie di fatto. Il teatrino è stomacante.

2 – La rabbia degli attivisti per i diritti civili si è abbattuta giustamente sui 5 Stelle che in pochi giorni sono passati dal sostegno “senza se e senza ma” alla libertà di coscienza al rifiuto di votare il cosiddetto “emendamento canguro” che avrebbe mandato in porto la legge in tempi brevi.

3 – D’altra parte, il PD non è nelle condizioni di dare lezioni. La stessa “libertà di coscienza” è stata concessa da Renzi ai suoi parlamentari per evitare di scontrarsi con l’area cattolica del PD. La difesa da parte dei “democratici” è che in ogni caso il PD non ha una maggioranza autonoma e che non può imporre il voto di fiducia per non mischiare le questioni del governo a una legge di iniziativa parlamentare. Questa è ipocrisia.

Il cosiddetto “emendamento canguro” è infatti un trucco tecnico per permettere di non discutere la quantità enorme di emendamenti presentati dagli oppositori della nuova legge per fare ostruzionismo. Certo, gli oppositori possono fare ostruzionismo, ma i sostenitori possono pazientemente votare mettendo in minoranza gli oppositori. Non sarebbe la prima volta che succede qualcosa del genere. Le leggi sull’aborto e sul divorzio furono approvate così.

4 – Tutti sapevano che il “canguro” è ritenuto inaccettabile dal 5 Stelle (certamente, in maniera strumentale) e avrebbe fatto saltare la legge. Perchè usarlo, allora?
Perché, a differenza di quello che sostengono i piddini per difendersi, non è vero che il governo non c’entra con la discussione di questa legge. Il PD ha al suo interno un’ala cattolica e ha tra i suoi alleati di governo molti cattolici, contrari alle unioni civili. Passare attraverso tutto il percorso parlamentare avrebbe aperto lunghi giorni di conflittualità tra gli alleati di governo e all’interno dello stesso PD. E non si tratta solo dei cattolici, anche molti dei “laici” non vedono di buon occhio un periodo di conflittualità del genere: troppi pericoli, troppa litigiosità esposta, nessuna garanzia che qualcuno dei sostenitori non si sfili strada facendo, per non fare brutta figura con l’elettorato delle parrocchie.

Da qui la decisione di usare il “canguro” anche sapendo che molto probabilmente sarebbe stato rifiutato dal 5 Stelle. In parole povere, a questa conclusione si arriva perché il PD deve salvare il suo governo, quindi l’argomentazione che non si poteva usare la fiducia per non mischiare governo e parlamento è, sostanzialmente, una pietosa balla.

5 – Qui sta il punto politico, PD e 5 Stelle accampano motivi tecnici per quello che è in realtà un rifiuto politico. Entrambi i partiti hanno al suo interno elementi cattolici fortemente conservatori, per usare un eufemismo. Entrambi i partiti hanno fatto la scelta di affidare a questi elementi il diritto di veto sui diritti civili. Entrambi i partiti si pongono come “pigliatutto” e vogliono prendere i voti dei cattolici. Entrambi i partiti pensano che lo slogan “per la famiglia tradizionale” sia elettoralmente più conveniente di “tutti i diritti per tutti”.

6 – Non è solo questione di essere poco coraggiosi. Il poco coraggio è una scusa che da vent’anni viene usata per spiegare perché non si sia mai arrivati, nel centrosinistra, a fare le leggi sui diritti civili, sui conflitti di interesse, sui diritti del lavoro. Su ogni singola questione si è detto che è mancato il coraggio di imporsi sulla “piccola minoranza” che non vuole le unioni civili, che vuole continuare a intrallazzare con Berlusconi o che vuole abolire l’articolo 18.

Questa della mancanza di coraggio è una bella scusa per continuare a illudere chi si illude che ci sia una sinistra nel centrosinistra. La realtà è che nell’orizzonte politico del centrosinistra è semplicemente naturale che i cattolici abbiano un diritto di veto, che si intrallazzi con Berlusconi e che si preferiscano i padroni ai lavoratori. È naturale perché il centrosinistra vuol dire governare l’esistente senza porre un conflitto per cambiarlo.

7 – E lo stesso vale per il 5 Stelle. Dietro alle roboanti dichiarazioni bellicose,il 5 Stelle è per l’armonia sociale. Ed è naturale visto che intende rappresentare tutta la società. Per il 5 Stelle la questione è che “non esistono soluzioni di destra o di sinistra, esistono soluzioni giuste” (la frase è di… D’Alema!), il corollario è che non esiste un conflitto tra soluzioni diverse, tra visioni del mondo diverse, tra interessi diversi.

8 – Due partiti che non sono interessati a produrre conflitto hanno affossato una legge che può passare solo attraverso il conflitto con una parte dell’opinione pubblica contrario all’estensione dei diritti civili. Una parte consistente, ma non maggioritaria neanche tra i credenti cattolici. Una parte che può essere sconfitta, a patto di combatterla.

Novità entusiasmanti per la sinistra

Questa volta è diverso.

Questa volta l’unità della sinistra non si fa con gli errori del passato. Non sarà una cosa elettoralista, non sarà ambigua, non sarà un accordo tra gruppi dirigenti. Sarà democratica, una testa un voto, dal basso, vivrà nella società e nel conflitto, sarà chiaramente ancorata alle sinistre radicali in Europa, sarà autonoma dal Partito Democratico

Infatti, “Sinistra Italiana” nasce in maniera partecipata e dal basso, con un percorso particolarmente innovativo: 7 capi di sigle varie fanno delle riunioni a Roma, poi Il Manifesto ci informa che ci sarà un’assemblea nazionale a Roma in cui si arriverà con nome, simbolo e manifesto politico già scritto dai 7 capi suddetti. Poi l’assemblea si fa o non si fa, si fa a settembre, a ottobre, a novembre. No, a novembre si fa l’assemblea di unificazione dei gruppi parlamentari. L’assemblea di “Sinistra Italiana” (il nome ci è stato ovviamente comunicato tramite articolo di Daniela Preziosi sul Manifesto) si farà a gennaio.

Ma come? Gennaio non è tardi? Si discute dopo le mobilitazioni autunnali e invernali?

Ah, ma ci sono le elezioni amministrative. E a Milano SEL vuole fare le primarie e Civati no. E allora meglio chiudere prima la faccenda milanese e poi parlare tutti insieme.

Ma chi ci va all’assemblea di Roma? Ci sono assemblee territoriali?

Eh, no. Pare di no. A Roma ci va chi ci va.

Mica succede che così si riempie il solito teatro con i solito 2-300 frequentatori di assemblee romane?

Eh si, ma adesso è partito, mica vorrai sabotare l’ultima occasione.

Ma non era l’ultima occasione anche la Sinistra Arcobaleno, Cambiare Si Può, Rivoluzione Civile, L’Altra Europa? Mica abbiamo detto ogni volta che eravamo a un bivio?

Disfattista! Questo è il posto in cui stare nonostante tutte le critiche che si possono fare. Lo diceva anche Ingrao che bisogna stare nel gorgo.

Ma Ingrao diceva che bisognava stare nel gorgo per giustificare l’adesione al PDS invece che a Rifondazione!

Appunto, mica vogliamo fare Rifondazione 2.0, non l’hai letto il dibattito sul Manifesto? Ormai è possibile solo un certo tipo di riformismo.

Ma come? Ma chi l’ha stabilito? Mica abbiamo fatto un dibattito largo. Ci sono stati solo degli articoli dei soliti capi. E non erano neanche tutti d’accordo?

Se non ti sta bene così sei un sabotatore, la sinistra unita dal basso, senza ambiguità si fa così o non si fa.

Compagno Ingrao

Ora è solo come la pioggia
Come pioggia nelle strade
Con le radici, con le sua ali
Come un Re di Spade

Solo come un sospiro
Un orizzonte perso di vista
È solo come un gigante
È solo un vecchio comunista

Gang – Le radici e le ali

Come si fa a partecipare al cordoglio per Pietro Ingrao? È morto un compagno della cui statura morale nessuno può dire niente, però anche un compagno che penso abbia sbagliato tutte le scelte degli ultimi 35 anni.

Come si fa a partecipare al cordoglio tra gli elogi e i pianti di coloro che una volta furono i suoi feroci nemici? Come si fa senza assumere la spocchia del professorino che pensa “ah, se ci fossi stato il al suo posto certi errori non li avrei fatti”? Senza scadere nella cele

Non lo so come si fa.