Sul governo Tsipras

Non lo so, eh, davvero non lo so. Ma dalla reazione della stampa borghese mi sembra sulla buona strada.

Sole 24 Ore

vanoufakis

 

Huffington Post

 

huff

 

 

Die Spiegel: Nuovo governo in Grecia, Tsipras sceglie un oppositore dell’austerità come ministro delle finanze. Per i donatori internazionali le negoziazioni con la Grecia saranno sempre più difficili: il nuovo ministro delle finanze Yannis Varoufakis rigetta l’austerità. Fortemente.

spiegel

 

Seriamente, la mossa coi Greci Indipendenti è rischiosa. Penso che prima di pontificare bisogna aspettare e cercare di capire, non credo che si debba cercare di tradurre immediatamente in termini italiani con qualcosa tipo “ah, ma allora volete allearvi con la Meloni e Salvini”. D’altronde, sono convinto che non esistano modelli da importare acriticamente. Anche solo perchè da noi un partito di destra anti austerità non esiste. I Greci Indipendenti hanno lasciato il governo per non votare i memorandum, Lega e fratellastri italiani si sono accorti di essere contro l’austerità solo quando sono stati forzati all’opposizione.

Quello che è già chiaro ora è che chi sperava di annacquare la vittoria di Syriza pregava perchè si formasse un governo coi liberali di To Potami o, ancora meglio, coi socialdemocratici del PASOK. Un governo che con tutta evidenza avrebbe passato mesi a litigare al suo interno su come rapportarsi con l’Unione Europea, un governo che non sarebbe riuscito a fare nulla delle promesse elettorali e avrebbe perso subito ogni credibilità presso il popolo greco.

Mi sembra evidente che Tsipras è ben consapevole dei rischi di governare con i nazionalisti. I primi gesti simbolici gridano “EI! SONO ANCORA DI SINISTRA!”: non giura nelle mani dell’Arcivescovo di Atene, visita subito il monumento ai partigiani comunisti (gesto che va letto con la lente greca di ciò che successe con la guerra civile!).

La situazione è veramente fluida, più che almanaccare sui nomi dei ministri del governo Tsipras, bisogna provare a capire come si muoverà il nuovo governo greco nelle contrattazioni sul debito che ci saranno nell’immediato. Anche perchè la possibilità di attuare il programma di Salonicco passa dall’ottenere immediatamente concessioni dall’Europa.

Chiudendo con un’altra battuta facile: la mossa coi Greci Indipendenti, se non altro, ha sfoltito questo benedetto carro del vincitore che si era fatto veramente troppo affollato.

Ancora sul debito dei governi locali in Cina

La rivista Caixin ha pubblicato delle indiscrezioni sulla revisione del debito avviata in fretta e furia a Luglio. In particolare, viene riportato che il debito dei governi locali ammonterebbe a 14 trilioni di yuan, di cui 800 miliardi verrebbe da villaggi e municipalità (le divisioni amministrative più basse della macchina amministrativa cinese). Caixin aggiunge anche che ci sarebbe dell’ulteriore “debito nascosto” causato dall’uso delle imprese pubbliche come veicolo finanziario dello stato locale. Questo ulteriore debito porterebbe (secondo Caixin) il calcolo a 18 trilioni di yuan.

La vignetta centra poco. Però fa ridere.

A Luglio Chen Long aveva provato a mettere a confronto due stime, una ottimista che seguiva i dati ufficiali del National Audit Office e una pessimista elaborata dall’economista Xiang Huaicheng. 

La stima ottimista portava a un calcolo di 12,1 trilioni di yuan mentre quella pessimista a 20 trilioni.

Rimane da capire quanto la nuova dirigenza del Partito Comunista sia intenzionata a considerare i debiti delle imprese pubbliche come debiti dei governi locali, rimane da capire a quanto ammonti realmente il “debito nascosto”. Quello che è probabile è che se venissero confermate le stime più alte (cosa su cui evidentemente Caixin spinge) si aprirebbero le porte per un nuovo round di fallimenti e privatizzazioni di imprese pubbliche.

è arrivato il momento di rottamare Puglisi (e i liberisti)

Fa abbastanza specie che nel piccolo mondo dei social network frequentato da quelli ddesinistra abbia avuto un discreto successo questo articolaccio di Puglisi.

Per chi avesse la fortuna di non conoscerlo, Puglisi, a parti i rari momenti che usa per esercitare la sua professione di ricercatore presso l’Università di Pavia, è una twistar (cioè, ha un sacco di follower su Twitter) che passa la maggior parte del suo tempo a castigare la presenza al mondo di persone che ancora non seguone il verbo dell’economia liberista.

Quando condividete un articolo di Puglisi, condividete il thatcherismo.

L’articolo vorrebbe partire da un dato inoppugnabile: la generazione del ’68 detiene una fetta maggiore del reddito rispetto alle altre generazioni. La forza bruta dei numeri sembrebbe dare ragione a Puglisi ma, come mi ha insegnato un altro professore dell’Università di Pavia che non ringrazierò mai abbastanza, senza una teoria interpretativa un dato non significa nulla.

La teoria di Puglisi è implicita (daltronde, da neoliberista qual è, non prende in considerazione l’idea che possano essercene altre) è che la generazione del ’68 con il suo protagonismo abbia distorto il meccanismo tecnico della distribuzione intergenerazionale accaparrandosi troppo reddito lasciando così le generazione successive con troppo poco. La prova di questo potere distorsivo dei sessantottini rispetto alla natura evoluzione del mercato sarebbe la presenza dei leader e leaderini dell’epoca un po’ ovunque ci sia potere.

Ora, l’onnipresenza dei capi e capetti di quella stagione è innegabile, Puglisi però sorvola allegramente sul fatto che la maggior parte dei personaggi che cita hanno aderito al suo campo e sono fautori anch’essi dei meccanismi di mercato. Basta pensare a quanto all’epoca furono contigui alla lotta armata e oggi rievocano il pericolo di nuovi anni di piombo non appena si sviluppa un minimo di conflitto sindacale.

Il fatto, ovviamente, è che ci sono ben altre e più convincenti spiegazioni.

La generazione del ’68 è stata, all’incirca, l’unica generazione a godere appieno dell’agibilità sindacale (lo Statuto dei Lavoratori venne approvato nel ’70), dei risultati delle lotte sul salario indiretto (leggasi, i servizi pubblici) e del salario differito (leggasi, sono riusciti, i più stagionati, ad andare in pensione prima delle controriforme di centrodestra e centrosinistra). Le generazioni successive invece queste cose le hanno godute per meno tempo o addirittura per nulla. Questo sicuramente spiega perchè i padri hanno più dei figli, dato che i figli non hanno avuto la possibilità di guadagnare così tanto. Certo, rimane un’obiezione sensata: tutte le generazioni sono divise in classi, com’è che comunque i padroni di quella generazione guadagnano (si presume che guadagnino, i dati di Puglisi non sono disaggregatri) più dei padroni odierni. Forse la risposta sta nella gerontocrazia delle classi dominanti italiane, basta pensare all’età media del salotto buono della finanza o all’età dei governanti e degli intellettuali organici alla borghesia.
Insomma, se Puglisi è veramente interessato a una distribuzione intergenrazionale più equa sia del salario dei lavoratori che dei profitti dei capitalisti, farebbe comunque meglio a rivolgersi al suo campo, non a quello di una presunta sinistra sessantottina (quantomeno, non a quella che è rimasta a sinistra…)

Ma soprattutto, se si è ddesinistra, quindi presumibilmente interessati a spezzare i meccanismi che da 30 anni danno sempre più reddito ai padroni e sempre meno ai lavoratori, e se si è ggiovaniddesinistra, quindi particolarmente interessati sulla propria pelle al reddito dei giovani lavoratori, sarebbe veramente ora di rottamare gli articoli come quelli di Puglisi e tutto il discorso liberista che ancora trova sponde involontarie anche nel nostro campo.

Il meraviglioso mondo di Sartorì

Volevo scrivere un articolo di commenti sagaci, commentando paragrafo per paragrafo il nuovo intervento di Giovanni Sartori contro la Kyenge.

Non ce l’ho fatta, è troppo deprimente, e non fa altri che ripetere in maniera banale le stesse sciocchezze che avevo già commentato il mese scorso. Stavolta nel mirino del politologo è anche la FIOM, colpevole di non fare la cogestione come i metalmeccanici tedeschi dell’IGMetall. Poi un giorno qualcuno dovrà spiegare ai corsivisti del CorSera che:

1) La FIOM effettivamente provò, dopo la sconfitta dell’occupazione della FIAT a seguire la strada delle cogestione. Si chiamava Progetto Saturno. Rimase un progetto perchè i padroni non ne vollero sentir nulla. Dal fallimento del progetto nacque la svolta di Claudio Sabattini segretario generale, che ha portato alla FIOM così come la conosciamo oggi.

2) Il padronato tedesco la cogestione sta cercando in tutti i modi di lasciarla indietro. La cogestione è un istituto che viene accettato dai padroni in tempi di piena occupazione, crescita economica e forza del sindacato.

A parte questo, Sartori lancia un terribile j’accuse contro Kyenge: sei una raccomandata di quella terzomondista di Livia Turco e per questo vuoi dare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia. Ora, non conosco a fondo le correnti del PD, può anche essere che Kyenge sia effettivamente una figlioccia politica della Turco, ma non è questo il punto.

I punti sono che:

a) La proposta di legge sullo ius soli infatti è molto moderata, e prevede che ci siano criteri temporali di residenza dei genitori o requisti scolastici o professionali dei figli che acquisirebbero la cittadinanza. In questa maniera Sartori non fa altro che usare lo stesso allarmismo usato dai razzisti della Lega Nord. Ma le puerpere che attraversano il mare solo per partorire, dotare di cittadinanza il nascituro e poi tornarsene via, esistono solo negli incubi dei Sartori e dei Calderoli. E qui sta il nodo: mica è solo Calderoli a essere razzista. La classe dirigente italiana è razzista, senza gli insulti sguaiati dei fenomeni da baraccone leghisti, ma con puntigliosità, precisione e la meschinità di quelli che dicono “il problema della Kyenge non è che è nera”.

b) Livia Turco non è una crocerossina che soccorre ogni negretto che sbarchi a Lampedusa. La Turco, insieme a un signore che oggi fa il Presidente della Repubblica, ha firmato la legge che istituisce quelli che ora si chiamano Centri di Identificazione ed Espulsione. Ovvero le prigioni per i clandestini da rimbalzare al loro paese. O al mare, o al deserto. Che a noi importa solo delle mogli dei miliardari kazaki.

Ma nel meraviglioso mondo di Sartori e dei suoi amici (che, incidentalmente, sono quelli che fabbricano le idee che passano nelle testoline della classe dirigente italiana) mettere gli immigrati in prigione e poi rispedirli alla guerra civile, alla disoccupazione o comunque dar loro un calcio in culo è terzomondismo.

Gli intoccabili: Il razzismo di Sartori.

Esiste una categoria di persone che durante gli ultimi vent’anni sono riuscite a ricostruirsi una verginità politica, erano reazionari, destrorsi portatori delle peggiori nostalgie, amici degli imperialisti, boiardi democristiani. Poi un giorno hanno deciso che a loro Berlusconi stava sulle balle e così si sono conquistati un vitalizio sicuro come Grande Vecchio Intoccabile protetto da tutta la cultura per bene, cioè, da Repubblica e dal Corriere (il Grande Vecchio può essere omesso per chi non abbia ancora superato i 70 anni). Alcuni di questi sono stati talmente abili da aver iniziato la Seconda Repubblica come berlusconiani e poi essersi costruiti un pedigree da antiberlusconiani.

“Berlusconi va ringraziato, nel ’94 ci salvò dalla Sinistra di Occhetto e avviò la rivoluzione liberale in Italia” Super Mario Monti, 1994 style.

Giovanni Sartori è da tempo diventato un Grande Vecchio Intoccabile. Accantonato lo studio dei sistemi politici, Sartori è diventato un tuttologo il cui parere è richiesto e incontestato su ogni argomento delle scibile umano, e da giornali e tv diffonde il suo senso comune da reazionario sena che nessuno gli dica bah.

Daltronde, qua si tratta di dare del Sultano a Berlusconi, non di mettersi a fare i puntigliosi sul fatto che il suo schema interpretativo dei sistemi politici riporti come “totalitario” il governo nazista di Hitler e solo come “autoritario” quello fascista di Mussolini. Mica che il termine “totalitario” sia stati inventato dagli antifascisti italiani per indicare proprio il Duce, eh…

E come tutti i reazionari, non può farsi mancare quella punta di razzismo spacciata per realismo. Dalle pagine del giornale borghese per eccellenza, il Sartori s’è schierato contro la cittadinanza ai bambini nati in Italia con gli stessi argomenti utilizzati dai peggio leghisti: roba in cui si da la colpa al terzomondismo della sinistra che orfana del Sol Dell’Avvenire si sfoga dando la cittadinanza a chiunque, per poi passare a criticare la retorica sugli imprenditori stranieri perchè aprono “un negozietto da quattro soldi” e “poi quanti sono gli immigrati che battono le strade e che le rendono pericolose?”.

Un Bossi qualsiasi non avrebbe detto nulla di diverso. Il suo intervento contro la Kyenge si avventura nel consigliare alla signora ministro di comprare un vocabolario per imparare il significato della parola meticcio. Dice l’illustre vecchio trombone che l’Italia non è un paese meticcio (come sostenuto da Kyenge) perchè non si sono mescolate etnie.

Ora, se il pluripremiato vecchio reazionario sapesse qualcosa del dibattito su come diavolo si definisce un’etnia, si terrebbe alla larga da dichiarazioni così perentorie. Esistono almeno una decina di definizioni e molte di essere stabilirebbero l’Italia come paesi meticcio. Dovrebbe bastare un solo clamoroso esempio come quello delle popolazioni slave, un pozzo di scienza come Sartori non dovrebbe farsi ingannare dall’italianizzazione forzata imposta dal fascismo, dietro a nomi (e storia, e territorio) italianizzati non dovrebbe essere difficile per nessuno distinguere un’etnia.

Ma non finisce qui.

Sartori si sente anche in dovere di fare un paragone storico con il subcontinente indiano che vale la pena di riportare in toto.

Mai sentito parlare, signora Ministra, del sultanato di Delhi, che durò dal XIII al XVI secolo, e poi dell’Impero Moghul che controllò quasi tutto il continente Indiano tra il XVI secolo e l’arrivo delle Compagnie occidentali? All’ingrosso, circa un millennio di importante presenza e di dominio islamico. Eppure indù e musulmani non si sono mai integrati. Quando gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale se ne andarono dall’India, furono costretti (controvoglia) a creare uno Stato islamico (il Pakistan) e a massicci e sanguinosi trasferimenti di popolazione. E da allora i due Stati sono sul piede di guerra l’uno contro l’altro. 

Se avessi scirtto delle fregnacce nel genere in un esame, mi avrebbero defenestrato

Se avessi scirtto delle fregnacce nel genere in un esame, mi avrebbero defenestrato

Il problema principale sarebbe che certi tipi di identità sono stati introdotti in India solo dal censimento del colonialismo inglese, ragionare come se gli “islamici da integrare” in Italia nel 2013 siano gli stessi dell’Impero Moghul del 1500 è come pensare di avere con i turisti tedeschi in vacanza sul Lago di Como lo stesso rapporto che si aveva coi lanzichenecchi. E daltronde neanche gli Hindu sono gli stessi di 500 anni fa. Questo, oltre ad essere un errore storiografico, è espressione di quel tipo di orientalismo che vuole proiettare sui paesi orientali le immagini tipiche dell’immaginario orientale, in questo caso l’immagine delle società orientali come società identiche a se stesse nei secoli.

Ma ancora più grave è la ricostruzione delle vicende moderne. Nella foga di dimostrare la non integrabilità delle popolazioni di religione islamica, Sartori addossa tutta la colpa della separazione tra India e Pakistan ai musulmani stessi. I dirigenti della Lega Musulmana, Ali Jinnah in testa, hanno avuto la loro dose di responsabilità ma quello che è successo non sarebbe successo se non fosse stato per la decisione dell’Impero Inglese di disimpegnarsi immediatamente dall’India e di lasciare dietro di se non uno ma due stati. Ma perchè venne fatto questo? Perchè il nascente Pakistan serviva a fare da contraltare conservatore alle tendenze socialisteggianti che serpeggiavano nell’indipendentismo e che Nehru avrebbe attuato coi piani quinquennali. Inoltre, costituendo il Pakistan su base etnica si creava un cuscinetto col cosidetto Pakistan Orientale (l’attuale Bangladesh) nei confronti della Cina, dove si cominciava a capire che la guerra civile evolvesse a favore dei comunisti e non dei nazionalisti. In parole povere, gli inglesi non furono obbligati a dividere India e Pakistan. Decisero di farlo.

E tanto per essere precisi, la violenza etnica che si scatenò e che dure tuttora fu tuttaltro che unidirezionale, islamici e hindu si ammazzarono a vicenda e continuano a farlo tuttora. Solo che l’immagine dell’hinduismo come un’estensione del pacifismo gandhiano impedisce agli occidentali di vedere quando sono i nazionalisti hindu a scatenare tremende violenze contro i musulmani.

E non è neanche la prima volta che Sartori produce una performance imbarazzante parlando di India. Già nel 2009, sempre parlando in maniera pacata ed equilibrata dell’integrazione degli islamici, Sartori produceva un’uscita notevole come: Si avver­ta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi pa­ciosi, pacifici; e la maggio­ranza è indù, e cioè poli­teista capace di accoglie­re nel suo pantheon di di­vinità persino un Mao­metto.

Cosa Sartori intenda con “indigeni”, è difficile saperlo, ciò che è certo è che di buddisti in giro per l’India all’epoca di cui parla Sartori ce n’erano ben pochi, il buddismo era uscito dal subcontinente indiano e aveva fatto fortuna altrove. Fra l’altro, una delle vie di penetrazione dell’Islam è stata proprio la conversione di parte della popolazione buddista, alla faccia dei luoghi comuni perpetrati da Sartori sull’Islam guerrafondaio e sul buddismo naturalmente pacifista.

Che l’hinduismo possa assumere nel proprio pantheon Maometto è fondamentalmente un’altra fantasia orientalista di Sartori, evidentemente nel suo immaginario una religione politeista è una specie supermercato dei cinesi in cui trovi un po’ di tutto.

In pratica, il discorso di Sartori è razzista su più livelli. E’ razzista contro il ministro Kyenge che in quanto nera di pelle non saprebbe l’italiano, è razzista verso la popolazione musulmana bollata come “non integrabile” ed è razzista (e ignorante) nella visione della storia dei paesi orientali. Un bel terno per uno che la wikipedia italiana vanta come uno dei maggiori esperti mondiali di scienza politica.

Daltronde, sono i vantaggi di essere intoccabili.

P.s.: tutto questo ovviamente non significa parlare bene della Kyenge ne del governo Letta. Parlerò bene della Kyenge quando avrò abolito la Bossi-Fini e la Turco-Napolitano.

P.p.s.: ovviamente il prossimo post sugli intoccabili sarà dedicato a Emma Bonino.

Cos’è successo alle amministrative?

Il mio professore di economia, sant’uomo che inneggiava al Ministero della Pianificazione mentre spiegava il Modello di Solow , diceva sempre che i dati da soli non significano nulla se non sono sostenuti da una teoria esplicativa.

Ah, il Gosplan, ah, la nostalgia.

Ah, il Gosplan, ah, la nostalgia.

La teoria esplicativa messa insieme dai giornali borghesi è semplice: l’elettorato premia l’operazione di responsabilità del PD e punisce gli oppositori del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord. Una lettura tutta politicista e che per di più si basa in buona parte sulla comparazione diretta tra elezioni politiche ed elezioni amministrative. Ovviamente se non si trattasse del M5S nessuno sarebbe talmente pirla da comparare due tipi di elezione completamente diversi, per sistema elettorale e per approccio degli elettori al voto. Un discorso completamente diverso sarebbe capire quanto le vicende nazionali influiscono sul voto locale.

Proviamo quindi a usare un’ipotesi interpretative del voto che tenga conto a) del fatto che si tratta di un voto locale b) della crisi e dell’austerità.

Rispetto al voto politico che è sempre più trainato dai capi nazionali dei vari schieramenti, il voto locale è ancora legato alla presenza di strutture territoriali in grado di fare campagna elettorale sul territorio. In questo senso s’è sempre spiegata la maggiore forza del centrosinistra rispetto al centrodestra.

Per di più, in queste elezioni spesso il centrodestra ha presentato candidati sindaco diversi per Popolo della Libertà, Lega e destrorsi vari mentre Berlusconi ha avuto fin da subito chiaro che non era il caso di mettere la faccia su una sconfitta annunciata.

Un ragionamento simile può essere fatto anche per il Movimento 5 Stelle, ancora più dipendente del PdL dalla presenza del capo e completamente disarticolato sul territorio. Le stesse comparsate di Grillo sono state in tono minore (a Roma, dove pure ha preso un dignitoso 12,4%, ha concluso la campagna elettorale in Piazza del Popolo e non a Piazza San Giovanni) mentre quelle degli altri maggiorenti del partito sono state deludenti, basti pensare che a Sondrio Vito Crimi ha parlato davanti a una trentina di persone.

Trenta persone LETTERALMENTE. Contando anche la gigantografia del Beato Rusca sulla facciata della Banca Popolare

Trenta persone LETTERALMENTE. Contando anche la gigantografia del Beato Rusca sulla facciata della Banca Popolare

La stessa Lega, che si vantava di essere l’ultimo partito con una struttura leninista, ha avuto una botta non indifferente, probabilmente dovuta anche al fatto che la campagna faraonica che ha portato Maroni alla Presidenza della Lombardia ha svuotato le casse e ha obbligato i candidati sindaci alle nozze coi fichi secchi. (Incidentalmente, sarebbe interessante capire in che maniera la sconfitta leghista in giro per il nord est modifichi gli equilibri nelle varie fondazioni bancarie a partecipazione pubblica).

Il centrosinistra invece sembra guadagnare (o meglio, perdere meno degli altri) grazie al lavoro di strutturazione fatto da Bersani sul PD.

Ma, appunto, più che vincere, il centrosinistra perde meno degli altri, ma come il centrodestra perde quasi ovunque sia in termini di voti assoluti che in termini percentuali. Su 20 città capoluogo che hanno votato, il centrodestra non s’è riconfermato in nessun comune, il resto è stato vinto dal centrosinistra che si presenta in vantaggio ai ballottaggi di Messina, Ragusa e Siracusa. Dei comuni dove il centrosinistra era già al governo, solo a Vicenza e a Isernia il consenso aumenta sia in termini percentuali che di voti assoluti. A Sondrio e Pisa aumenta in percentuale ma diminuisce in voti assoluti, mentre negli altri comuni perde ovunque. Caso a parte quello di Massa, l’unico in cui ad un sindaco di Rifondazione succede un sindaco di tutto il centrosinistra.

Possiamo quindi fare l’ipotesi che, in questa fase, si sia inceppata la capacità/possibilità dell’amministrazione di usare i propri poteri per creare consenso (sia in maniera legale, attraverso la buona amministrazione, sia attraverso il clientelismo). La crisi svuota le casse dei comuni, tutto il ballo del governo nazionale sulle tasse riversa il peso sulle tasche degli enti locali e, dulcis in fundo, il patto di stabilità impedisce di spendere anche a chi in teoria avrebbe i soldi.

Con questi criteri d’interpretazione (a cui andrebbe aggiunta come minimo uno studio sull’astensione, in quali sezioni aumenta, in quali fasce d’età, in quali fasce di reddito etc etc), si può arrivare alla conclusione che, più che una vittoria del PD perché ha fatto il governo Letta-Alfano, si tratta di una “meno sconfitta” in cui le dinamiche nazionali hanno pesato più sul centrodestra che sul centrosinistra. Il tanto strombazzato tracollo del 5 Stelle invece rimane un pio desiderio di chi spera di tornare rapidamente al bipolarismo, pur non ottenendo risultati esaltanti (a meno di sorprese al ballottagio di Ragusa) è praticamente l’unico a poter vantare di crescere ovunque. Certo rimane la domanda di quanto possa reggere un partito costituito da due capi solitari e da una piccola base di militanti iper attivi che però fanno cose a caso.

Primavere arabe, quel vento venuto da lontano (Sapere aprile 2013)

Calchi Novati sulle primavere arabe.
L’interwebz è pieno di interpretazioni a senso unico sulle rivolte che si sono susseguite negli ultimi anni sulle spone sud-est del Mediterraneo.

I giornali borghesi hanno accolto le rivolte (quasi tutte) come il trionfo della liberal democrazia mentre a sinistra ci si è divisi a chi pensava che la grande nazione araba si stesse sollevando per il socialismo e chi vede il complotto della CIA e di Israele dietro a qualsiasi movimento sociale.

La realtà è molto più complessa, per fortuna esiste gente seria come Calchi Novati, a sinistra si dovrebbe prendere l’abitudine a leggere quello che scrivono le persone serie invece di perdere mesi dietro a personaggi ambigui come i La Grassa o i vari StatoPotenza…

Sestante

Primavere arabe, quel vento venuto da lontano

Gian Paolo Calchi Novati

Troppo semplicistico liquidarle complessivamente come una improvvisa “voglia di Occidente”. Le rivoluzioni del Nord Africa sono mosse da forze di segno diverso, partono da premesse storiche diverse e perseguono fini diversi

I processi di cambio intervenuti nel Nord Africa fra il 2010 e il 2012 vengono da lontano e d’altra parte sono un’opera in progresso. Le elezioni hanno sollevato problemi nuovi e dubbi sul significato delle realizzazioni dopo tanto travaglio. In Egitto, il paese destinato a riprendere la leadership del mondo arabo, i Fratelli musulmani si trovano davanti a scelte che possono condizionare l’intero sistema. Lo sfacelo in Libia ha riversato in tutto il Sahel armi e armati che hanno rinvigorito i movimenti jihadisti già in attività sul bordo del Sahara. Sarebbe azzardato parlare dunque per le “primavere arabe” sia di obiettivi raggiunti che di aspettative tradite. Quanto più l’“innamoramento”…

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L’autunno del Peggiore

L’autunno del Peggiore

Tra due giorni cominciano le votazioni per il nuovo capo dello stato, Napolitano finisce il suo settennato tra le lodi dei media borghesi ma, in realtà, si candida a essere il Peggiore Presidente Della Repubblica di sempre.

E non è che la concorrenza non fosse agguerrita, eh!

In quest’autunno del suo settennato, le manovre politiche di Napolitano (spesso spinte ben oltre il dettato costituzionale) stanno mostrando tutto il loro fiato corto. L’obiettivo di stabilizzare il bipolarismo dell’alternanza è scoppiato con le elezioni di Febbraio. Il tentativo di far diventare Monti il referente del polo di centrodestra è fallito, la destra italiana continua a non essere “la normale destra europea” agognata dall’Economist, da Repubblica e dal PD. Monti s’è fatto il suo piccolo polo di centro e Grillo s’è fatto il suo grande polo “né di destra né di sinistra”, alla faccia di chi dopo le elezioni regionali siciliane si ostinava a non sentire nessun boom.

I can’t hear you over the sound of Draghi dictating me!

Prima di lasciare la scena Napolitano ha voluto provare a lasciare la sua impronta sul prossimo governo. Il senso della manovra dei gruppi dei saggi è evidente: favorire un governo di larghe intese con PD, Monti, PdL e Lega, o quantomeno un governo di non belligeranza. Se il tentativo (per la cronaca, brutalmente al di fuori di qualsiasi potere costituzionale della Presidenza della Repubblica) avrà buon esito lo sapremo solo nei prossimi giorni. Napolitano però ha voluto approfittare della fine del suo mandato per togliersi la soddisfazione di poter dire “avevo ragione io” a Berlinguer, rievocando il governo della non sfiducia, ovvero quando nel 1976 il PCI favorì la nascita del governo Andreotti non votandogli contro.

Tralasciamo pure il fatto che il governo della non sfiducia fu un fallimento totale e che l’avvicinamento del PCI al governo si era interrotto ben prima del rapimento Moro (lo spiega bene Lucio Magri né Il Sarto Di Ulm), il discorso di Napolitano sembrerebbe a prima vista un elogio di Berlinguer e del suo compromesso storico. Sembrerebbe la riproposizione dell’argomento “l’avrebbe fatto anche Berlinguer se Moro non fosse stato ammazzato” già usato per giustificare la nascita del PD. E invece Napolitano ha voluto attaccare anche certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici e in realtà si rivelano, nel loro fanatismo, negatrici e distruttive della politica. Ovviamente l’obiettivo odierno è il Movimento di Grillo, ma se ragioniamo sulla storia del PCI appare chiaro che sia un attacco al “secondo Berlinguer”, quello che dopo l’immobilismo della fine degli anni ’70, chiude al dialogo con i socialisti di Craxi (che invece Napolitano voleva, fortissimamente) e lancia la questione morale, quello che sta con gli operai che occupano la FIAT e che si rifiuta di socialdemocratizzare il Partito Comunista.

Secondo Fassino stava dicendo di non occupare la FIAT. (Not joking, Fassino dice davvero che Berlinguer sarebbe stato frainteso. Berlinguer ha preceduto anche Berlusconi! Un altro segno della necessità di larghe intese)

L’autunno del Peggiore è, in fin dei conti, il momento in cui Napolitano cerca di smontare definitivamente ciò che la primavera del PCI aveva costruito.

 

Cambiare #nonsipuò

[Post sega mentale sulla sinistra politica e di movimento, tipicamente una persona normale perderà interesse dopo le prime righe. Avendo ragione, per altro]

Sabato c’è stata una grande manifestazione in Val Di Susa. Questo è ovviamente un bene, i valsusini continuano a essere determinati e la solidarietà dal resto d’Italia continua a essere forte. Ma non solo in Italia, in Francia il Parti de Gauche di Melenchon (uomo immagine ma partner di minoranza nel Front de Gauche) ha preso posizione contro la Torino-Lione, diventando la prima forza politica francese di un qualche rilievo a schierarsi sul No alla Tav.

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Per quanto riguarda il movimento No Tav il saldo è quindi positivo. Quantomeno nell’immediato.

[Qua finisce la parte interessante, iniziano le seghe mentali]

E sul lungo termine?

Questa manifestazione ha visto il ritorno di un sostegno parlamentare al movimento. Parlamentari di Sel e del 5 Stelle hanno partecipato alla manifestazione e hanno effettuato un’ispezione ai cantieri. Crimi ha anche proposto una commissione parlamentare d’inchiesta sui costi dell’opera.

Certo, sono delle carogne quei giornalisti che hanno parlato di “manifestazione dei grillini”. Certo. Ma parliamone.
Quando Rifondazione era l’unica forza politica di rilievo a manifestare in Val di Susa i leader del movimento hanno sempre fatto di tutto perchè non fosse possibile nessuna identificazione tra il movimento e il PRC. Giustamente, le possibilità di vittoria del movimento stanno tutte nel far valere le proprie ragioni presso tutta l’opinione pubblica. L’ingresso dei grillini in parlamento ha portato un’evidente novità nei rapporti tra il movimento, o quantomeno alcuni dei suoi leader, e la politica. Prima delle elezioni Alberto  ha invitato a votare il Movimento 5 Stelle. A titolo personale, è ovvio, ma per non vedere il peso politico di un endorsment del genere bisogna avere le fette di salame sugli occhi.
E ora l’intero gruppo parlamentare del 5 Stelle che partecipa alla manifestazione, esponendo la manifestazione alla facilissima strumentalizzazione dei media pro-tav.
Il problema è che il M5S non si limita a esporre la mobilitazione alla strumentalizzazione, il M5S fa della strumentalizzazione il metodo principale di azione. Quando Grillo scrive che solo il suo blog ha dato voce ai No Tav non sta facendo una dimenticanza, sta sistematicamente oscurando il lavoro fatto dal Manifesto, da Liberazione, da Carta, da Radio Popolare, da Radio Onda D’Urto, dai comitati, dalle iniziative di solidarietà… Insomma, l’autonomia dei movimenti per Grillo è un linguaggio sconosciuto.

Viene quindi da chiedersi come sia possibile leggere degli articoli come quello di Revelli sul Manifesto. Ma davvero Revelli crede che il 5 Stelle non abbia messo nessun cappello solo perchè non c’erano le bandiere del partito? Ma li ha visti i servizi dei tg? Ha visto che per il grande pubblico questa è stata la manifestazione con Crimi? E ancora, dopo aver passato due decenni a teorizzare la totale indipendenza dell’agenda di movimento da quella politica, come si può considerare una vittoria il fatto che Perino, Abbà e gli askatusini diventino “gli assistenti” dei parlamentari? Infine, ma quando faceva il portavoce di Cambiare Si Può, Revelli non considerava l’alternatività a Grillo e al PD un punto fondamentale? Ora invece fantastica sulla possibilità che il M5S possa far pressione sul PD fino a fargli cambiare idea sulla TAV.

Ovviamente i cattivi sono i comunisti, rei di aver fastidiosamente portato le proprie bandiere, perchè evidentemente vent’anni di mazzate buscate per stare di fianco al movimento e i fogli di via per i nostri compagni non contano nulla.

Insomma, un pezzo importante della sinistra di movimento è prigioniero di logiche opportunistiche, di illusioni sui possibili spostamenti del PD e dell’incapacità di leggere le dinamiche del Movimento 5 Stelle. Un pezzo di movimento che sta dentro lo stesso fallimento della sinistra politica, ma si rifiuta di ammetterlo.Per questo sul lungo periodo una giornata come quella di sabato porta un segno negativo: cambiare non si può, non con questa sinistra politica, non con questa sinistra di movimento.