Ho letto il documento di Human Factor (!), la kermesse che Vendola terrà a Milano a fine Gennaio e a cui molto probabilmente aderirà Ciwati con i fuoriusciti dal PD. Tutti e due.
La teorizzazione del “fattore umano” mi sembra faccia fare un ulteriore, e definitivo, passo verso un individualismo metodologico al discorso di Niki. Un percorso in realtà iniziato molto tempo fa ma rallentato (coperto? stemperato?) dal riferimento al mondo del lavoro e alla relazione con la Fiom e il suo leader Landini.
Il ragionamento di HF non parte dalla rinuncia alla trasformazione (d’altra parte anche Craxi sosteneva di porsi a sinistra del marxismo recuperando Proudhon!) ma dall’assunto post moderno che il lavoro come fondamento della modernità è sbriciolato: globalizzazione, delocalizzazioni, frammentazione produttiva. Il lavoratore non appartiene più a una classe, è trasformato in consumatore la cui identità è messa in crisi dal neoliberismo. Identità che, ben inteso, si costruisce e va ricostruita su base individuale nei rapporti con altri individui.
Criticare l’assunto che la modernità sia finita con la globalizzazione, che non sia più l’era delle grandi concentrazioni di lavoratori è fin troppo semplice. Le grandi fabbriche si sono spostate solo oltre il palmo del naso dei post modernisti che non vedono la Foxxconn.
Ma non solo, uno degli effetti della crisi sul sistema produttivo europeo è il ritorno alla concentrazione di ciò che era spacchettato. Insomma, la crisi manda in crisi il postmoderno.
Ma quello che importa, e che sconcerta, è la conclusione politica. Cito testualmente: un’economia “sociale” di mercato […] in definitiva di una società che controlli e orienti l’economia che la anima con interventi diretti dello Stato di legislazione sociale, come il reddito minimo garantito innanzitutto. Al lettore occasionale, o al militante pieno di buone intenzioni ma di scarse conoscenze teoriche, “economia sociale di mercato” può dire poco, può sembrare semplicemente un’altra maniera di dire “socialdemocrazia”: c’è ancora il mercato ma si fanno interventi sociali, d’altronde chi al giorno d’oggi non mette il reddito sociale come primo punto?
Ma a Vendola non mancano le conoscenze teoriche, questo è sicuro, è pienamente consapevole di stare utilizzando un termine che risale all’ordoliberalismo austriaco, a Von Mises. E che poi risale la storia europea attraverso la cultura politica cristiano-democratica tedesca e arriva a essere iscritto nei trattati europei. Provocazione, amore per i paradossi? Forse. Ma ciò che viene delineato dal documento è preoccupantemente simile alla concezione di “assistenza senza cambiamento sociale” che ha governato la Germania Ovest del dopoguerra. In questa maniera Vendola sembra chiedere l’elargizione del reddito in cambio della rinuncia all’intervento diretto dello stato nell’economia. Intanto, l’abdicazione al ruolo dello stato in economia (che so… la nazionalizzazione dell’ILVA…) succede oggi, al reddito sociale garantito ci penseranno i futuri Stati Uniti d’Europa.