Revelli dedica un breve pamphlet al secondo lui, inarrestabile declino del partito politico come istituzione e del concetto stesso di democrazia rappresentativa.
Revelli – Finale di partito – Einaudi – 10 euro cartaceo – 6,99 ebook – XII,137 pagine
Per il politologo torinese, soprassedendo a fenomeni superficiali come il peggioramento delle classi dirigenti, la vera causa strutturale sarebbe la fine del modello di produzione fordista, su cui s’innestava il sistema dei grandi partiti strutturati “a integrazione verticale”. Finito il “gigantismo novecentesco” nella produzione, finisce anche il gigantismo nella politica, finiscono i partiti della democrazia rappresentativa e al loro posto si innesta una contesa tra i “tecnici” e la “democrazia del pubblico”. Una democrazia, questa, che al vecchio obiettivo della presa del potere da parte delle classi dominate (o, specularmente, del mantenimento del potere da parte delle classi dominanti) ma il controllo del potere da parte di un “nuovo popolo”. Questo popolo nuovo (contrapposto al vecchio popolo novecentesco, incolto e costretto a delegare alle strutture partitiche) trova la sua espressione attraverso i movimenti e battaglie come quella dei referendum su acqua e nucleare.
L’argomentazione di Revelli è accattivante e sembra rispondere a quello che è un cambiamento innegabile nella struttura produttiva: frammentazione della produzione in miriadi di piccoli luoghi di lavoro, frammentazione dei lavoratori in miriadi di rapporti contrattuali diversi.
Emilia Rossa…
Ci sono però elementi di debolezza nell’uguaglianza di Revelli fra “grandi luoghi di lavoro” e “grandi partiti organizzati come luoghi di lavoro”.
Innanzitutto, il fatto che i partiti si organizzino a integrazione verticale è storicamente vero per i partiti comunisti o socialdemocratici, molto meno per i partiti conservatori, basta pensare alla Democrazia Cristiana. Almeno nel nostro paese, non regge l’identificazione tra grande impresa e grande partito. Se il PCI aveva innegabilmente solidissime basi nelle cinture industriali delle grandi città, il suo più grande radicamento è nelle regioni rosse dell’Italia centrale, regioni che sono paradossalmente anticipatrici di modi di produzione decentrati.
Certo, l’argomento del passaggio dal gigantismo novecentesco al post fordismo può non essere accurato, ma rimarrebbe nel saggio di Revelli una buona analisi dell’innegabile crisi della politica.
Rimane?
La prova del declino della rappresentanza politica è cercata da Revelli nei risultati delle elezioni amministrative del 2012. L’analisi condotta non è delle più rigorose, infatti, si confrontano spesso i risultati delle amministrative con le elezioni regionali lombarde del 2010 e in generale elezioni non omologhe tra di loro. In ogni caso, Revelli rileva il tracollo elettorale della Lega Nord e del PdL come, in misura minore, quello del PD e dei suoi alleati di centrosinistra. Il tutto coronato dal fatto che il Movimento 5 Stelle non riesce a raccogliere i voti in fuga dai partiti tradizionali
Sfortunatamente per Revelli, pochi mesi dopo la stesura del libro ci sono state le elezioni politiche e regionali in Lombardia. Proprio nei comuni presi ad esempio dall’autore, Maroni è riuscito a mantenere voti se non a incrementare rispetto alle regionali precedenti, sia in termini percentuali sia di voti assoluti. Soprattutto, a livello nazionale, s’è verificato proprio quel recupero di voti da parte del Movimento 5 Stelle, che proprio in quel periodo si rivelava a tutti come una struttura fortemente gerarchizzata a integrazione verticale.
Revelli vs. The World
La crisi della democrazia non è descritta da Revelli come una crisi solo italiana, percorre l’intero globo. Se almeno in Italia l’autore prova ad affidarsi ai dati elettorali, per l’estero si limita a un excursus sull’affluenza decrescente alle elezioni americane (dove però il modello del partito strutturato non ha mai attecchito) alla cronaca della diminuzione degli iscritti ai partiti in Europa e dell’indice di fiducia (qualunque cosa questi sondaggi misurino).
In chiusura di recensione, rimane l’immagine iniziale del pamphlet: nella Grecia devastata dalla crisi, rimbalzata a un’economia da dopoguerra, il Partito Socialista Panellenico è crollato al 4%. Quello che Revelli dimentica, è che Syriza è balzata al 26,9% e, mentre il libro veniva scritto, completava il passaggio da coalizione di partitini e movimenti a partito strutturato.
Provaci ancora Marco, la prossima volta, con più serietà.