Riunire la classe, costruire il blocco sociale, lanciare l’alternativa

Editoriale del n. 153 de La Città Futura, a firma mia e di altre compagne e compagni (elenco completo in fondo all’articolo)

Riunire la classe, costruire il blocco sociale, lanciare l’alternativa

Dopo il fallimento del Brancaccio, costruire un’alternativa delle classi popolari.

“L’unità senza principi è una falsa unità”
Ernesto “Che” Guevara

1 Brancaccio: cronaca di un fallimento annunciato

Il fallimento del percorso del Brancaccio segna un punto di rottura nello scenario delle possibili prospettive per la lotta di classe del nostro Paese. Da svariati anni, a ogni turno elettorale, nazionale o non, siamo stati costretti ad assistere a dinamiche sempre meno convincenti. Partiti che portano nel loro nome riferimenti espliciti alla lotta di classe e al comunismo si sono piegati a processi elettoralistici lanciati da realtà e in contesti totalmente refrattari alle esperienze più conflittuali del Paese, senza nessun collegamento rispetto alle contraddizioni che i lavoratori, i disoccupati, gli studenti e tutti gli sfruttati vivono quotidianamente sulla propria pelle.

Ripensando alle esperienze di “Cambiare si può”, “Rivoluzione civile”, “L’altra Europa” e alla miriade di proposte regionali e comunali, non era difficile prevedere che l’Assemblea del Brancaccio sarebbe naufragata appena i nodi fossero venuti al pettine. Le aspettative suscitate sono state spezzate già durante le fasi della prima assemblea con l’estromissione dei compagni di “Je so’ pazzo e l’allontanamento dei rappresentanti del PCI, per lasciare posto ai vari D’Alema e Bersani. Nei fatti, la prima parola d’ordine, riecheggiata nelle parole dei “garanti” dell’assemblea del 18 giugno, è stata la “costruzione di un’unica lista a sinistra alle prossime elezioni politiche”. Elettoralismo e unitarismo senza contenuti contro cui, oggi possiamo dirlo, poco hanno potuto fare quelle voci dissenzienti che provavano ad articolare un ragionamento radicale, in quella occasione come nei momenti di confronto locali successivi. Chi ancora poteva essere onestamente convinto delle potenzialità di questo percorso lo era perché ancora una volta raggirato dalla retorica della “sinistra unita” sbandierata per sommi capi dagli intellettuali di turno ed in maniera del tutto autoreferenziale e subalterna alla sinistra liberale, imperialista e settaria.

Sì, settaria: preferendo l’opportunismo elettoralistico alla costruzione di una reale prospettiva che a partire dai conflitti e dalle forze sane della realtà sociale e politica sapesse guardare alle elezioni come vera forma di rappresentanza, si escludevano dal proprio bacino di influenza milioni di cittadini, in primo luogo lavoratori e giovani studenti, che rifiutano la politica perché essa non è capace di rappresentarli. Rigettando le realtà conflittuali, le esperienze di lotta e le organizzazioni che ogni giorno combattono contro le ingiustizie del capitalismo, si perfezionava una precisa volontà di epurare le posizioni di rottura dal dibattito e dalla costruzione della lista.

In questo risiedono, in primo luogo, le ragioni del fallimento del Brancaccio: la proposta era, in origine e per sua natura, una proposta elettoralistica e opportunista che non aveva interesse a rappresentare e a dare voce e soggettività politica a chi ogni giorno è vittima del capitale. La successiva pantomima che ha coinvolto il Movimento dei Progressisti e Democratici non ha causato di per sé il fallimento del Brancaccio, bensì ne ha concretizzato le contraddizioni che le componenti più avanzate avevano fin dal principio denunciato: a cominciare dalla compromissione di MdP con tutte le politiche neoliberiste, dall’appoggio ideologico alle riforme delle pensioni, alla cancellazione dell’articolo 18 e alla complessiva stretta dell’austerità perpetrata contro la classe lavoratrice. La precipitazione degli eventi, dovuta essenzialmente all’accordo col PD sui collegi elettorali e che ha visto coinvolte le forze moderate del Brancaccio (MdP, SI, Possibile), ha smascherato la realtà dei fatti.

Nel quadro desolante attuale, molti compagne e compagni hanno guardato con interesse a questo ennesimo tentativo di “unità della sinistra“. Una speranza mal riposta, ma assolutamente comprensibile. La realizzazione di questa aspettativa passa in primo luogo attraverso un differente modus operandi, che tragga consapevolezza dal fatto che le classi subalterne non possono trarre reali benefici da accordi fatti a tavolino fra le segrete stanze del primo soggetto che si proclami genericamente di sinistra. Noi non facciamo politica per placare la nostra delusione. Noi facciamo politica per organizzare le classi popolari, per migliorare le nostre condizioni materiali e, in prospettiva, per costruire un’alternativa al capitalismo imperialista. Per questo, dobbiamo ripartire dalla dura realtà dei fatti.

2 Il mondo reale della classe

Nella realtà, in Italia, la classe lavoratrice è quella che ha di gran lunga subito maggiormente gli esiti peggiorativi delle riforme della scuola, dell’università, della sanità e del lavoro. Gli effetti della crisi capitalistica e delle guerre imperialiste con il loro strascico di flussi migratori, da un lato lasciano le classi subalterne sole davanti all’attacco della grande borghesia e dall’altro le danno in pasto ai rinascenti gruppi neofascisti di chiara matrice razzista e xenofoba, che, come sempre, fanno dell’insicurezza sociale un grimaldello a protezione delle classi dominanti.

Dopo trent’anni di politiche neoliberiste di contrazione salariale, liberalizzazioni e precarizzazione, le politiche di austerità sono diventate il “nuovo normale” in nome dell’uscita dalla crisi che ormai ha assunto durata decennale e strutturale. Dopo un decennio di crisi non andiamo verso anni di espansione: l’austerità, la disoccupazione di massa, la perdita di capacità produttiva sono diventate anch’esse strutturali. I cambiamenti nella struttura economica sono stati sigillati dalle riforme dei governi neoliberisti susseguitisi sotto casacche di centro-destra e centro-sinistra: una scuola pubblica dell’obbligo indirizzata a una segregazione classista; la diminuzione del 10% delle iscrizioni all’università che significano l’espulsione di interi settori popolari dall’istruzione superiore; la liberalizzazione dei rapporti di lavoro e l’assalto alle strutture sindacali che rifiutano di diventare puri fornitori di servizi fiscali ed interpretano il proprio ruolo di conflitto e organizzazione dei lavoratori; la repressione delle conflittualità sociali e la criminalizzazione dei flussi migratori.

Un nuovo ordine, suggellato e protetto dalle istituzioni dell’Unione Europea: istituzioni in cui non solo trovano origine e primo sostegno tutte le politiche di impoverimento dei popoli europei, ma che hanno anche favorito un processo di concentrazione, potenziamento e liberazione dei capitali, in particolare finanziari. Istituzioni tutte conniventi con gli impulsi imperialistici e guerrafondai del XXI secolo, come in Libia così in Ucraina. Istituzioni che, non in grado di dare risposte ai bisogni sociali delle loro popolazioni, sono ancor meno capaci di curare i bisogni di accoglienza delle popolazioni in fuga dalla guerra e dalla miseria, spesso frutto dell’imperialismo degli stessi Stati Europei. Questi uomini e donne diventano così nuovo soggetto da utilizzare per gli interessi capitalistici nazionali, nuova carne da cannone per la criminalità, il lavoro nero, lo sfruttamento più bieco. Ma diventano, anche, merce di scambio e fonte di profitto per i governi con cui le istituzioni Europee stringono patti per il regolamento dei flussi, dando loro ossigeno finanziario e copertura diplomatica. A Est finanziamo governi carnefici, a Sud regimi di prigionia schiavistica. È questo il nuovo volto dell’imperialismo, oggi ancor più sviluppato rispetto a 100 anni fa quando il suo potere venne incrinato per la prima volta nella Storia dalla Rivoluzione d’Ottobre.

Siamo, ormai, in un nuovo assetto sociale e politico, tutto orientato a radere al suolo diritti economici e sociali a livello di massa, a creare nuove e più acute contraddizioni tra soggetti sociali: frammentati, disorientati, in lotta per la sopravvivenza materiale, i pezzi sparsi – antichi e nuovi, italiani e stranieri – della nostra classe di riferimento hanno sempre meno armi politiche, sociali e culturali di difesa. Mentre starebbe il momento di passare all’attacco.

3 Lotte di classe in Italia

Eppure, anche in questo contesto di incapacità organizzativa, alcuni elementi di contrattacco ci sono. Si evidenziano elementi di conflittualità, frammentata e a volte localistica, che vanno dall’esperienza ormai lunga più di vent’anni della Valsusa ai movimenti per il diritto alla casa, passando per le lotte degli operai della logistica, della ex Almaviva, delle tante rivendicazioni sindacali sparse in tutto il paese, fino alle lotte dei braccianti e alle grandi vertenze dell’Alitalia e dell’Ilva di Taranto. Alcune di queste lotte hanno per forza di cose caratteristiche difensive e temporanee, altre riescono già a darsi prospettive e forme organizzative più larghe. In particolare, il tentativo dei sindacati di base di declinare in ambito nazionale le vertenzialità diffuse e trasformarle in uno sciopero nazionale è riuscito, al netto delle adesioni parziali delle altre organizzazioni di classe. Le giornate del 27 ottobre e del 10 novembre, in cui sono stati proclamati scioperi con piattaforme rivendicative avanzate, hanno visto un’importante fetta del mondo operaio e salariato fermarsi.

A dimostrare che ci troviamo in una fase in cui i semi di un esteso e organizzato conflitto possono essere gettati, sta il fatto che lotta sindacale e lotta sociale sembrano finalmente intrecciarsi profondamente: non perchè organizzazioni sindacali provano a sostituirsi ad altre organizzazioni sociali o politiche, ma perché i sindacati più conflittuali acquisiscono coscienza per estendere le proprie rivendicazioni oltre la sfera della vertenzialità e le politicizzano, così come è avvenuto con la manifestazione di sabato 11 novembre a Roma. Indetta da Eurostop con un fondamentale apporto organizzativo di USB, quella mobilitazione è diventata poi catalizzatore di una larghissima fetta del “No sociale” al referendum costituzionale. È la dimostrazione che ancora esiste e si organizza un pezzo di società che vuole cambiare lo stato di cose attuale agendo sui rapporti di forza, più che affidando la rappresentanza parlamentare al consumato circo del centro-sinistra. Il successo del corteo non si è misurato solo nei numeri ma anche nella sua composizione, che mostra quali siano i settori sociali più avanzati. La necessità di coniugare organizzazione e lotta è emersa contemporaneamente anche nella manifestazione nazionale del PC e del FGC di sabato 11 novembre. Oltre a esplicitare rivendicazioni attuali per il lavoro e per la pace, essa ha segnalato l’urgente bisogno di una proposta di fase comunista, sebbene non possa essere sottovalutato che questa urgenza rimanga tuttora frammentata, da connettere necessariamente alle mobilitazioni più larghe.

4 Proposte politiche per il blocco sociale

Il fallimento del Brancaccio rappresenta oggi un’opportunità per la lotta di classe nel nostro Paese.

L’appello lanciato dai compagni dellEx OPG “Je so’ Pazzo” per un’assemblea popolare il 18 Novembre ci sembra porre finalmente un buon punto di partenza per la costruzione di uno spazio pubblico in cui si possa costruire un fronte utile alle classi popolari tra le realtà autorganizzate di lotta, di conflitto e di mutualismo e le organizzazioni di classe attive a livello nazionale, come i partiti comunisti, i sindacati di base e i soggetti promotori di Eurostop. Siamo consapevoli delle differenze – teoriche e pratiche – tra le diverse realtà che hanno aderito all’assemblea di Sabato 18 Novembre, ma pensiamo che sia una possibilità di aprire un confronto fra quanti elaborano un’analisi e una proposta di classe alternativa a quella del capitalismo e pensiamo che debba essere un passo in un percorso più lungo.

Questa apertura si presenta vicinissima alla prossima scadenza elettorale nazionale. Eppure, per essere veramente efficace nel restituire soggettività e protagonismo alle classi subalterne, e per evitare qualunque appetito opportunistico, questo percorso deve provare a guardare oltre una lista elettorale a rischio di autoreferenzialità: si deve porre la prospettiva di lungo termine della ricostruzione di un blocco sociale. In quella assemblea dovremo, tutti, partire da un confronto di ampio respiro su temi, programmi e prospettive per rilanciare la lotta di classe in questo Paese. Con questo spirito, dobbiamo mirare ad un fronte unitario tra i partiti comunisti, i sindacati conflittuali, i soggetti promotori di Eurostop, i collettivi e le realtà autorganizzate, i movimenti sociali. Il blocco sociale si riunisce intorno ad alcune proposte su come organizzare i soggetti subalterni e su quale programma di lotta dar loro. Noi facciamo le nostre proposte: dobbiamo puntare alla ricomposizione delle lotte nei luoghi di lavoro, che parte dall’analisi della composizione della classe sociale di riferimento, elemento essenziale per qualsiasi presupposto di rappresentanza. Dobbiamo puntare a stimolare la presa di coscienza dei soggetti sfruttati che non sono in lotta o che non hanno voce, come gli immigrati. Il programma dovrà essere di seria modifica radicale dei rapporti di forze sociali ed economici: partendo dal tema delle nazionalizzazioni e del possesso dei mezzi di produzione, della pianificazione economica, della restituzione dei diritti allo studio, alla salute e all’abitare. In tutto questo, non potrà non avere un ruolo la questione dell’uscita dalla Nato, dalle strutture di guerra imperialista, e dall’Unione Monetaria e auspichiamo anche che si apra una discussione seria e scevra da pregiudizi e accuse strumentali di sovranismo sulla permanenza stessa nell’Unione Europea. Questi sono gli elementi che riteniamo possano essere il collante di un nuovo fronte politico, sindacale e sociale, che sappia, in prospettiva, entrare nelle contraddizioni della società dando rappresentanza a operai, studenti, immigrati, tentando poi di proiettarli verso la guida del Paese.

Autori: Angelo Balzarani, Joseph Condello, Marco Nebuloni, Alessandro Pascale, Chiara Pollio, Paolo Rizzi, Emanuele Salvati, Marcello Simonetta, Lia Valentini

Apparso originariamente su https://www.lacittafutura.it/editoriali/riunire-la-classe-costruire-il-blocco-sociale-lanciare-l-alternativa.html

Ma perchè? Perchè NO.

Mancano due settimane al referendum costituzionale.

È ora della predica su come voto.

1 – Voto NO perché sono ideologicamente contrario

Questa è davvero la riforma di JP Morgan, è una riforma anti lavoro, pro capitale.

Ne ho parlato su La Città Futura:

Non è difficile vedere come la riforma di Boschi e Renzi risponda – quasi – punto per punto alle critiche di JP Morgan. Considerando solo i cambiamenti tecnici, la riforma rafforza il ruolo del governo sul parlamento e rafforza lo stato centrale sulle regioni. Oltre ai provvedimenti tecnici, quello che non può passare inosservato è che le ragioni avanzate dalla riforma sono esattamente quelle di JP Morgan: quante volte ci hanno detto negli ultimi anni che “si deve cambiare”, detto come un obbligo assoluto? Esattamente questo obbligo di cambiare è l’ultimo punto sollevato dalla banca d’affari: non ci deve più essere il diritto di resistenza contro i cambiamenti, che si tratti della riforma costituzionale, dell’ennesima riforma del lavoro o dell’ennesima riforma dell’istruzione

2 – Voto NO perché la vittoria di questa riforma significa nessuna riforma per i prossimi 20 anni

La Costituzione va riformata, non è perfetta.

Alcune questioni veloci:

L’Articolo 81, dopo la riforma del 2012 c’è il principio di pareggio di bilancio in Costituzione. Come riporta Giacché, questo sta avendo conseguenze grosse perché il principio del pareggio viene fatto prevalere sugli altri principi costituzionali. In questa maniera qualunque ragionamento su applicare la prima parte della Costituzione è sterile.

L’articolo 11: lo invochiamo continuamente ma – ora come ora – non è l’articolo che ci impedisce di fare la guerra ma l’articolo – attraverso il secondo comma – diventa il ricettore automatico del “diritto internazionale”, cioè NATO, trattati europei, austerità e altre spiacevolezze.

Questioni di genere: ovviamente erano questioni che in Costituente erano – in gran parte – di là da venire.

Ora, se passa ora una riforma impostata in una direzione completamente diversa, chiunque desideri altri tipi di riforme resta fermo al palo. Quindi, è assolutamente falso che l’importante è cambiare.

Andrebbe poi discussa a parte la questione di una possibile abolizione del Senato.

3 – Voto NO perché è una riforma demagogica

Non hanno avuto il coraggio (o meglio, non hanno avuto la volontà politica) di abolire il Senato. Ne risulta l’ormai noto casino di senatori di secondo livello eletti dalle regioni, con i sindaci delle grandi città che diventano senatori. Ora, qualcuno dovrebbe spiegarmi perché un cittadino di Milano ha più diritto di essere rappresentato di un cittadino di Sesto San Giovanni o di Albaredo San Marco. Inoltre, nel nuovo Senato ci saranno sette senatori del trentino contro dodici senatori della Lombardia. Pur avendo il Trentino meno abitanti di Milano.

Questo pastrocchio è stato creato solo per poter dire “abbiamo tagliato qualche poltrona”.

Personalmente non sono un sostenitore dell’esistenza del Senato, penso che la riforma proposta a suo tempo da Ingrao (abolizione del Senato, Camera unica da 500 deputati, legge proporzionale in Costituzione) sia una cosa molto diversa da questo casino.

Inoltre, dato che non hanno avuto la minima volontà di toccare un centro di potete e interessi veri come il Senato, hanno voluto abolire il CNEL per poter dire demagogicamente “abbiamo cominciato ad abolire gli enti inutili”. Ne avevo già scritto qui.

4 – Voto NO perché è una riforma fatta male

L’ex presidente Napolitano ha fatto dichiarazione di voto favorevole alla riforma affermando che si sarebbe dovuto poi tornare a correggere gli errori tecnici. Errori tecnici che sono stati fatti soltanto per poter farsi il vanto ideologico della riforma fatta in pochi mesi.

Ma soprattutto, è una riforma che riapre la storia infinita dei conflitti di competenze tra stato centrale e regioni. Come già successo con la riforma del 2001, ci vorranno anni di sentenze della Corte Costizuionale per risolvere. Che a livello pratico vuol dire che i cittadini e le istituzioni perderanno montagne di tempo.

5 – Voto NO perché di Salvini e Berlusconi non mi importa nulla

Che ci sia un NO di destra non mi importa nulla. Mi importa del mio NO. Non mi importa nulla neanche del NO di D’Alema e della sinistra PD.

Ho una mia autonomia politica.

D’altra parte, non è che tra Verdini, Alfano e Alessandra Mussolini si possa stare col SÌ in compagnia solo di galantuomini.

6 – Voto NO perché non è la mia unica battaglia

Oltre al referendum ci sono mille fronti aperti. Le energie non sono infinite, su alcuni fronti sono in prima linea, su altri non posso arrivare. Il referendum non esaurisce quello che si fa. Se vince il SÌ sarà un po’ peggio per tutti i fronti.

17 Aprile: perchè voto SÌ

Eviterò immagini apocalittiche e appelli al senso civico.

Al referendum del 17 Aprile votero SÌ per due ordini di fattori.

  1. Il referendum chiede di non rinnovare automaticamente le concessioni fino all’esaurimento delle riserve. Aldilà degli argomenti tecnici sui motivi per cui sia sensato o meno lo sfruttamento fino alla fine delle riserve, si tratta di stabilire il principio per cui chi sfrutta le risorse naturali del nostro paese, lo fa con limiti e regole precise.
  2. La produzione di gas e petrolio di cui si discute non è neanche lontanamente immaginabile come una produzione tale da mettere in sicurezza l’autonomia energetica del paese. È, anzi, piuttosto imbarazzante che a usare questo argomento siano coloro che hanno presentato come una svolta storica il tour di Renzi nella penisola araba a caccia di investimenti da parte delle petro-monarchie. Quindi, non c’è nessun possibile scambio tra autonomia del paese e lati negativi. Quando si discuterà di nazionalizzazione della produzione energetica, sarà un altro discorso.

Sono comunque consapevole delle numerose contraddizioni del referendum, l’argomento è sfaccettato e la campagna per il SÌ ha ignorato troppo spesso alcune buone ragioni dei contrari.

In ogni caso, va sottolineato che i sostenitori del NO o dell’astensione hanno fatto larghissimo uso di argomenti biecamente strumentali, se non di menzogne. E l’hanno fatto tanto più mentre proclamavano una presunta neutralità scientifica. Basta pensare a un noto sito di fact checking che ha sostenuto che sarebbe stato illegale svolgere il referendum lo stesso giorno delle amministrative, o al piagnisteo sui posti di lavoro, smontato da Carmine Tomeo su La Città Futura.

Penso che i due argomenti con cui ho iniziato siano abbastanza forti da pesare molto di più di tutte le contraddizioni e le parzialità che, comunque, sono tipiche di ogni referendum. Per, questo 17 Aprile torno sui monti a votare convinto SÌ.

Archivio La Città Futura

Negli ultimi mesi mi sono dedicato molto al lavoro per La Città Futura e ho lasciato in maniera saltuaria le segnalazioni qua nel loculo wordpress.

L’idea ora è di fare un archivio delle cose pubblicate fin’ora e in futuro mantenere le segnalazioni aggiornate.

Spagna/Catalogna

30 Maggio 2015: Le elezioni amministrative in Spagna

19 Agosto: Verso il voto in Catalogna; indipendentismo e Unità Popolare

1 Ottobre: In Catalogna la sinistra cresce, ma divisa

14 Novembre: Catalogna, indipendenza senza governo

26 Dicembre: 20 Dicembre: la Spagna oltre  il bipartitismo

6 Gennaio 2016: Catalogna verso nuove elezioni

15 Gennaio: Catalogna: il governo indipendentista c’è!

29 Gennaio: Spagna: è possibile un governo di sinistra?

6 Febbraio: Madrid non ha ancora deciso: governo di sinistra o grande coalizione?

 

SudAmerica

6 Giugno 2015: Il vertice dei popoli di America Latina ed Europa

21 Giugno Resoconto e dichiarazioni della Cumbre de los Pueblos

4 Luglio Dichiarazioni finali della Cumbre de los Pueblos

11 Dicembre 2015: Venezuela, la sconfitta. Per ora

Grecia

16 Luglio 2015: Dalla sinistra di SYRIZA, la lotta continua! (traduzione dell’intervista a Stathis Kouvelakis originariamente apparsa sul Jacobin Magazine)

Giappone

10 ottobre 2015: Il Partito Comunista Giapponese contro le leggi di guerra

Inghilterra

16 Ottobre 2015: Corbyn, la guerra e il sindacato

Svizzera

31 Ottobre 2015: Svizzera ancora più a destra, la sinistra e i comunisti resistono

Portogallo

21 Novembre 2015: Portogallo: è possibile un governo di sinistra?

27 Novembre: Il Portogallo sospeso tra austerità e alternativa

30 Dicembre 2015: Il “salvabanche” portoghese allontana il governo dalla sinistra

Israele

4 Dicembre 2015: Gli affari della Lega con Israele

Francia

11 Dicembre 2015: Onda nera sulla Francia. Perchè la sinistra vera è necessaria in Francia e in Europa

18 Dicembre 2015: L’onda nera sulla Francia

Ucraina

31 Dicembre 2015: Comunisti al bando in Ucraina

Danimarca

12 Febbraio 2016: Danimarca: sinistra euroscettica e referendum

Irlanda

26 Febbraio 2016: Irlanda, il figlio prodigo dell’austerità?

4 Marzo: Irlanda: crolla il governo dell’austerità

Stati Uniti

17 Marzo 2016: Il Medioriente di Obama

“Piano B”: cosa resta della strategia della Sinistra Europea?

Per il Collettivo Stella Rossa ho scritto alcune riflessione sulle conferenze per il cosiddetto “piano B”. Doveva essere una riflessione sulle contraddizioni del “piano B” ma in latga parte è risultata una riflessione sulla strategia del Partito della Sinistra Europea.

“L’idea di base era che i singoli governi potessero temporaneamente disobbedire ai trattati europei per resistere il tempo necessario a creare l’alleanza del sud, che i due anni che separavano le elezioni in Grecia da quelle in Portogallo, Spagna e Irlanda potessero essere gestiti con la costruzione di un movimento europeo contro l’austerità, che si creasse un’onda lunga per tutti i partiti di sinistra, che in Francia e in Italia le sinistre assumessero una dimensione tale da essere credibili come forza di governo e che potessero quantomeno influenzare da sinistra i governi di Renzi e Hollande.[…] La strategia delineata dal Quarto Congresso del PEL è evidentemente a un capolinea, molti dei suoi presupposti si sono rivelati falsi, molti dei suoi obiettivi sono falliti. […]

Uno dei problemi che ci pone questo tipo di iniziative è che la linea politica è spesso soggetta alla volubità di alcuni dei leader. Nello specifico, è evidente che Yanis Varoufakis ha cambiato linea più volte nel giro di pochi mesi, da assolutamente favorevole alla permanenza dei paesi periferici nell’Unione Monetaria Europea ad assolutamente favorevole all’uscita arrivando infine a fondare un movimento politico europeo che mira a democratizzare l’Unione Monetaria Europea e le altre istituzioni continentali. L’elaborazione della linea della conferenza è stata chiaramente influenzata dalle ondivaghe posizioni dell’ex ministro greco.”

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Rimane una nota di colore: dopo la conferenza romana del movimento di Varoufakis, Roberto Ciccarelli sul Maniesto ha scritto un articolo, ovviamente apologetico. Il livello di serietà è dimostato dalla confusione tra il Partito della Sinistra Europea e il gruppo parlamentare GUE/NGL. Spesso quando scrivo mi chiedo se debba insistere nello specificare la differenza tra il Partito e il gruppo parlamentare, è molto consolatorio sapere che al Manifesto invece se ne fottono e mischiano le cose a cazzo de cane.

Novità entusiasmanti per la sinistra

Questa volta è diverso.

Questa volta l’unità della sinistra non si fa con gli errori del passato. Non sarà una cosa elettoralista, non sarà ambigua, non sarà un accordo tra gruppi dirigenti. Sarà democratica, una testa un voto, dal basso, vivrà nella società e nel conflitto, sarà chiaramente ancorata alle sinistre radicali in Europa, sarà autonoma dal Partito Democratico

Infatti, “Sinistra Italiana” nasce in maniera partecipata e dal basso, con un percorso particolarmente innovativo: 7 capi di sigle varie fanno delle riunioni a Roma, poi Il Manifesto ci informa che ci sarà un’assemblea nazionale a Roma in cui si arriverà con nome, simbolo e manifesto politico già scritto dai 7 capi suddetti. Poi l’assemblea si fa o non si fa, si fa a settembre, a ottobre, a novembre. No, a novembre si fa l’assemblea di unificazione dei gruppi parlamentari. L’assemblea di “Sinistra Italiana” (il nome ci è stato ovviamente comunicato tramite articolo di Daniela Preziosi sul Manifesto) si farà a gennaio.

Ma come? Gennaio non è tardi? Si discute dopo le mobilitazioni autunnali e invernali?

Ah, ma ci sono le elezioni amministrative. E a Milano SEL vuole fare le primarie e Civati no. E allora meglio chiudere prima la faccenda milanese e poi parlare tutti insieme.

Ma chi ci va all’assemblea di Roma? Ci sono assemblee territoriali?

Eh, no. Pare di no. A Roma ci va chi ci va.

Mica succede che così si riempie il solito teatro con i solito 2-300 frequentatori di assemblee romane?

Eh si, ma adesso è partito, mica vorrai sabotare l’ultima occasione.

Ma non era l’ultima occasione anche la Sinistra Arcobaleno, Cambiare Si Può, Rivoluzione Civile, L’Altra Europa? Mica abbiamo detto ogni volta che eravamo a un bivio?

Disfattista! Questo è il posto in cui stare nonostante tutte le critiche che si possono fare. Lo diceva anche Ingrao che bisogna stare nel gorgo.

Ma Ingrao diceva che bisognava stare nel gorgo per giustificare l’adesione al PDS invece che a Rifondazione!

Appunto, mica vogliamo fare Rifondazione 2.0, non l’hai letto il dibattito sul Manifesto? Ormai è possibile solo un certo tipo di riformismo.

Ma come? Ma chi l’ha stabilito? Mica abbiamo fatto un dibattito largo. Ci sono stati solo degli articoli dei soliti capi. E non erano neanche tutti d’accordo?

Se non ti sta bene così sei un sabotatore, la sinistra unita dal basso, senza ambiguità si fa così o non si fa.

Compagno Ingrao

Ora è solo come la pioggia
Come pioggia nelle strade
Con le radici, con le sua ali
Come un Re di Spade

Solo come un sospiro
Un orizzonte perso di vista
È solo come un gigante
È solo un vecchio comunista

Gang – Le radici e le ali

Come si fa a partecipare al cordoglio per Pietro Ingrao? È morto un compagno della cui statura morale nessuno può dire niente, però anche un compagno che penso abbia sbagliato tutte le scelte degli ultimi 35 anni.

Come si fa a partecipare al cordoglio tra gli elogi e i pianti di coloro che una volta furono i suoi feroci nemici? Come si fa senza assumere la spocchia del professorino che pensa “ah, se ci fossi stato il al suo posto certi errori non li avrei fatti”? Senza scadere nella cele

Non lo so come si fa.

Dopo le elezioni in Grecia

Alexis Tsipras ha vinto le elezioni. Ha ottenuto quello che voleva, ora ha un gruppo parlamentare completamente fedele e disposto a seguire la strada del terzo memorandum e conferma la possibilità di formare un governo con la destra dei Greci Indipendenti senza dover nominare ministri del centrosinistra e del centrodestra.

“Con il 50% di astensione non vince nessuno”

La “vittoria” di Tsipras è arrivata al prezzo di un calo della partecipazione alle elezioni, dal 63,62% di affluenza di gennaio al 56,57% di settembre.

Prima ancora di parlare dell’austerità, se si vuole essere minimamente coerenti, non si può fare finta di niente e parlare di “grande vittoria della democrazia e della partecipazione”. Abbiamo passato anni a spiegare la truffa del maggioritario che trasforma una minoranza in una maggioranza, a spiegare che il 40% di Renzi è in realtà il 21,7% degli aventi diritto al voto. Abbiamo contestato l’idea per cui in una democrazia matura vota sempre una minoranza e che “le decisioni sono prese da chi vuole e ha la competenza per partecipare alle elezioni”. Abbiamo sempre detto che nessun cambiamento reale può avvenire senza la partecipazione e soprattutto senza recuperare le masse popolari che si rifugiano nell’astensione perché non trovano rappresentanza nel sistema politico.

Se in Grecia vota poco più che un elettore su due, non possiamo dire cose diverse di quando succede lo stesso in Italia. Il 36,34% di SYRIZA è in realtà il 22,57% degli aventi diritto al voto. Aggiungendo i Greci Indipendenti, il governo rappresenterà il 25,52% degli aventi diritto. Un quarto degli aventi diritto.

Unità Popolare

L’operazione di Unità Popolare s’è fermata sotto la soglia di sbarramento per lo 0,13%, ovvero settemila voti. Anche qui, se si contesta in Italia la soglia di sbarramento come antidemocratica, se si dice che la soglia non solo priva una fetta di cittadini della rappresentanza cui avrebbero diritto, ma spinge anche a votare obtorto collo per i partiti maggiori sotto la spinta del meccanismo antidemocratico del “voto utile”, allora non si può non dire le stesse cose per quanto riguardo la Grecia.

Detto questo, è evidente che Unità Popolare non è riuscita ad accreditarsi come legittimi rappresentante del NO vittorioso al referendum. Chiamando le elezioni anticipate con così poco preavviso Tsipras puntava a impedire alla sinistra di SYRIZA di organizzarsi in maniera efficacie. Era sotto gli occhi di tutti che la sinistra di SYRIZA non fosse un “partito nel partito” pronto a staccarsi e agire autonomamente.

L’attenzione riguardo a Unità Popolare si è concentrata sui “grandi nomi” aderenti. Certamente, il balletto di Zoe Konstantopolou che prima aderisce, poi non aderisce e poi aderisce, non ha fatto bene a Unità Popolare. Certamente, Glezos e Varoufakis che prima dicono che non possono sostenere una lista a favore dell’uscita dall’euro e poi la sostengono, rende l’idea della confusione in cui è stata costruita Unità Popolare.

L’attenzione sui grandi nomi però è sbagliata, tanto più quando si parla di un soggetto politico come Unità Popolare che punta alla lotta e al radicamento popolare. Il vero punto di attenzione dovrebbe essere su quanto Unità Popolare sia in grado di ricomporre tutto quello che è in uscita libera dal processo di disgregazione di SYRIZA. Purtroppo, fino ad ora, non abbastanza. Segnali evidenti sono arrivati durante la costruzione della lista: la coalizione di ultra-sinistra ANTARSYA ha perso alcune frange che hanno partecipato a UP ma si è presentata comunque alle elezioni ottenendo lo 0,85% dei voti, l’organizzazione giovanile di SYRIZA è uscita in blocco ma non ha aderito a UP limitandosi invece a dare indicazione di voto per “tutte le liste anti austerità”, tanti membri del Comitato Centrale di SYRIZA e/o parlamentari hanno rifiutato di candidarsi e sostenere le liste di SYRIZA senza però schierarsi con UP.

Non ho la sfera di cristallo per sapere se il generoso tentativo di Unità Popolare ha le gambe per camminare anche fuori dal parlamento.

Ciò che è sicuro è che ora nel panorama della politica greca l’unica forza politica di sinistra di opposizione all’austerità è il Partito Comunista di Grecia KKE che ha confermato la sua compattezza, prendendo esattamente lo stesso 5,5% delle elezioni di gennaio. Nelle nostre analisi tendiamo sempre a liquidarlo come “settario e ininfluente”. Se la definizione di “settario” si adatta perfettamente alla linea politica del KKE, rimane che avrà pur qualcosa da dire se resta saldo in mezzo agli scossoni che hanno invece tenuto Unità Popolare sotto il 3%.

Il governo del terzo memorandum

Alexis Tsipras ora ha il compito di guidare il governo sotto il terzo memorandum. Dopo la notte del “waterboarding mentale” ci si è dimenticati troppo presto di cosa voglia dire il terzo memorandum.

Sotto il terzo memorandum il governo greco è costretto a ripudiare le leggi fatte negli ultimi mesi che non siano compatibili con il memorandum, da questa falciata si salvano solo alcuni dei provvedimenti “umanitari”, ma neanche tutti. Sotto il terzo memorandum il commissariamento della Grecia è ancora più stretto. Uno dei punti faticosamente strappati dal governo Tsipras a febbraio era che gli ufficiali della troika non dovevano stare ad Atene a controllare ogni singolo atto, era che le trattative dovevano avvenire a Bruxelles dove il governo greco avrebbe discusso i provvedimenti dopo averli presi. Con il terzo memorandum si torna alla troika ad Atene che, per di più, controlla ogni singolo atto parlamentare prima che sia discusso. Con il terzo memorandum il governo greco deve affidare a un fondo modello-Treuhand (l’istituzione che privatizzò i beni della Germania Est in un’orgia di corruzione e inefficienza) beni pubblici per 50 miliardi di euro, una cifra esorbitante per il valore dei beni pubblici greci, raggiungibile solo mettendo sul mercato, letteralmente, le isole greche.

Tsipras si è ricandidato dicendo che lotterà per far pesare questi provvedimenti agli oligarchi, a chi non ha mai pagato le tasse. Dice che lotterà aspettando che nuovi governi di sinistra prendano il potere negli altri paesi periferici e che questo permetta di riaprire la partita a livello europeo.

È lecito dubitare che questo sia fattibile. Innanzitutto, nonostante il governo SYRIZA-ANEL sia formalmente autonomo, di fatto Tsipras ha resuscitato centrodestra e centrosinistra per coinvolgerli nella costruzione del terzo memorandum dopo il referendum. E il centrodestra e il centrosinistra greci (in parte, anche ANEL) sono esattamente i rappresentanti politici di chi non ha mai pagato le tasse e ha campato per tutta la vita facendo il parassita di uno stato inefficiente.

Ma soprattutto, è lecito dubitare che l’opzione dell’ondata di governi di sinistra sia realistica. In Irlanda, Spagna e Portogallo i numeri brutali dicono che a ora non c’è nessuna possibilità seria per nessun governo di sinistra. Forse con l’unica eccezione della Spagna in cui le vicende dell’indipendentismo catalano potrebbero dare un nuovo scossone allo scenario politico, i numeri indicano dappertutto l’affermarsi di grandi coalizioni in totale accordo con le istituzioni europee.

Infine, è lecito dubitare che “ora che ha una nuova legittimazione democratica” SYRIZA sia nelle condizioni per trattare meglio con l’Europa. Il governo Tsipras è già stato punito per aver cercato di condurre una trattativa vera nel momento di massimo consenso elettorale, abbiamo già visto come il tentativo di aprire le contraddizioni tra Germania e Francia si sia concluso con il governo socialdemocratico francese che ha insaponato la corda con cui il governo cristianodemocratico-socialdemocratico tedesco ha impiccato il governo di sinistra radicale greco. L’idea che ci siano ora le condizioni per riaprire la trattativa su punti reali (certo, magari ora invece di 50 miliardi di privatizzazione l’Europa si limiterà a 49 miliardi) assomiglia più a un pio desidero che a una possibilità data dai rapporti di forza reali.

La sinistra italiana e la Grecia

SYRIZA ha chiesto sostegno agli altri partiti del Partito della Sinistra Europea e a tutte le sinistre con una lettera significativamente firmata dal solo responsabile esteri del partito, dato che nel frattempo il segretario di era dimesso. Lettera in cui tutte le colpe sono state accollate alla minoranza interna, in pieno stile da realismo socialista.

La risposta della sinistra italiana è stata il presentat-arm!

Certamente sarebbe stato da vigliacchi voltare le spalle dopo essere andati a farsi belli ad Atene quando le prospettive sembravano rosee. Ma la reazione della sinistra italiana (dalla segreteria di Rifondazione Comunista all’ARCI passando per SEL e Civati) è stata una cosa diversa dalla solidarietà a una forza politica affine che si trova in grande difficoltà, è stata la strumentalizzazione della vicenda greca per legittimare il processo di ricomposizione di gruppi dirigenti all’interno della Costituente della Sinistra, la famosa “SYRIZA italiana” che viene lanciata ormai a scadenze stagionali da un paio d’anni.

Lo schieramento a sostegno di Tsipras è vissuto alla giornata, cercando di sfoderare trucchetti retorici nuovi (e contraddittori) per star dietro alle notizie del giorno. L’atteggiamento ondivago di alcuni personaggi come Manolis Glezos e Yanis Varoufakis ha messo a dura prova i sostenitori senza se e senza ma di Tsipras. Prima hanno esaltato i responsabili Glezos e Varoufakis che pur in disaccordo con Tsipras non partecipavano a Unità Popolare, salvo poi riesumare le accuse di minoritarismo e scissionismo quando ci si è accorti che Glezos e Varoufakis sostenevano Unità Popolare

Accuse di minoritarismo e scissionismo che curiosamente sono esattamente quelle prodotte dal PDS-DS-PD contro la sinistra radicale che ora le volge contro un pezzo di sinistra radicale greca. Accuse che, va detto, suonano a tratti imbarazzanti quando provengono da dirigenti che per anni hanno prodotto disastri elettorali e organizzativi, dirigenti che hanno prodotto lotte di corrente all’ultimo sangue mentre non si accorgevano che le liste non prendevano voti e le organizzazioni perdevano militanti.

Aldilà del pulpito da cui viene la predica, la verità è che la retorica assunta nel sostegno alla “nuova SYRIZA” è pericolosa, su almeno due punti.

Il primo punto è che se un anno fa sembrava data per assunta l’impossibilità di governare da sinistra l’austerità, ora questa possibilità “rientra dalla finestra” dopo essere stata buttata fuori dalla porta. Quando si dice che anche dentro al pesantissimo programma di austerità imposto alla Grecia si possono trovare spazi per politiche redistributive di sinistra cosa si sta facendo se non riaprire alla possibilità di una nuova alleanza col centrosinistra (possibilità che di fatto viene proclamata come unico orizzonte da Vendola e Civati…)?
Certo, per una parte dei partecipanti al progetto di “Costituente della Sinistra” si tratta di una contorsione retorica e tattica. In altre parole, un giro di parole per giustificare il prolungato sostegno a Tsipras. Ma così facendo si fa mostra di avere una retorica vuota. Retorica vuota che si manifesta anche nelle chiacchere sull’Europa. Sia L’Altra Europa sia la segreteria di Rifondazione Comunista hanno detto che, pur nella sconfitta, il terzo memorandum ha il pregio di dimostrare l’irriformabilità dell’Europa. Anche questo appare però come retorica vuota nel momento in cui non si trae nessuna conseguenza. Se l’Europa non è riformabile, vuole dire che bisogna come minimo cambiare completamente l’approccio alle questioni europee. E invece sia L’Altra Europa sia la segreteria di Rifondazione Comunista persistono a riproporre esattamente le stesse proposte politiche di quando si considerava in qualche maniera la riformabilità dell’Europa. La proposta continua a essere la costruzione della “sinistra di governo” fino a quando non ci sarà una coalizione di governi anti-austerità in grado di riformare l’Europa.

Il secondo punto è quello della democrazia interna. Tsipras ha deciso di sgretolare SYRIZA pur di portare avanti la linea che crede giusta. Non si tratta solo dello scontro con la minoranza di sinistra organizzata, Tsipras è andato alla rottura con il segretario del partito, con la maggioranza del Comitato Centrale, con l’organizzazione giovanile del partito, con la corrente sindacale del partito, con le federazioni e le sezioni territoriali.

Personalmente cerco di restare nel quadro di una cultura politica per cui all’interno di un’organizzazione che vuole rimanere unita si deve perseguire la sintesi tra le posizioni: massima democrazia nella discussione, massima unità nell’azione. Poi nella realtà spesso si arretra sul “principio di maggioranza”, tutti fanno quello che decide la maggioranza fatta salva la possibilità per la minoranza di rendere nota la propria posizione. Questo “principio di maggioranza” è quello che è stato rispettato dalla minoranza di SYRIZA durante gli ultimi due anni, inclusa l’azione di governo. Tsipras con la mossa delle elezioni non ha solo rifiutato il principio della sintesi, ha rifiutato il principio di maggioranza andando a elezioni in cui si sarebbe comunque tolta qualunque agibilità alla minoranza.

È questo il tipo di democrazia interna cui allude la Costituente della Sinistra? Una democrazia interna in cui chi non è d’accordo è fuori? Una democrazia interna in cui il gruppo dirigente dell’organizzazione è totalmente autonomo dal resto dell’organizzazione? Una democrazia interna in cui determinate posizioni “euro scettiche” sono messe al bando?

Non si tratta di una questione marginale. Io la vivo dall’interno del PRC, dove sono e dove resto. Come può il PRC partecipare a una costituente che proclama il principio democratico di “una testa un voto”, ma poi, di fatto, legittima il principio leaderista per cui decide tutto la singola persona o un ristrettissimo gruppo dirigente? L’ipotesi che la “SYRIZA italiana” assuma questa modalità è molto più che un’ipotesi, l’abbiamo vista in azione quando sono state formate le liste de L’Altra Europa, liste formate dai sei “garanti” senza nessun tipo di controllo democratico ma con l’approvazione personale di Alexis Tsipras. All’epoca abbiamo dovuto ingoiare il boccone amaro per l’impellenza delle elezioni. Oggi?

Ma si tratta di qualcosa che investe tutta la sinistra che potrebbe essere interessata a una ricomposizione. La questione europea, la questione dell’Unione Monetaria Europea investe trasversalmente tutti i settori della sinistra politica, sindacale e di movimento. In tutti i settori si possono trovare compagni che sono fedeli all’idea degli Stati Uniti d’Europa in maniera religiosa, compagni traghettati ormai a posizioni anti europeiste e un grande spettro di posizioni confuse, dinamiche, in movimento. A questo si risponde dicendo che la linea è “dentro l’euro, a costo di gestire noi l’austerità”?

Ovviamente, questo apre a una domanda ancora più grande: perché facciamo la ricomposizione della sinistra? Si tratta di un obiettivo strategico in sé cui bisogna sacrificare tutte le possibili dissidenze? O si tratta di un mezzo per raggiungere degli scopi?

Per un manifesto dei comunisti e delle comuniste di Rifondazione

L’adesione può essere segnalata inviando una mail a alternativaprc@gmail.com e specificando nome, cognome ed eventuale incarico.

Europa. La vicenda greca è destinata ad avere profonde ripercussioni innanzitutto sul popolo greco, ma anche sulle sinistre comuniste ed anticapitaliste europee. L’umiliante diktat imposto alla Grecia, conferma e rende ancor più evidente agli occhi di milioni di persone la natura irriformabile di questa Europa a trazione tedesca. Al tempo stesso evidenzia una pesante sconfitta, più esattamente la capitolazione, del governo Tsipras, eletto proprio su un programma contro l’austerità e i trattati europei, e l’assenza di una iniziativa adeguata della sinistra anticapitalista a livello europeo in grado di sostenere l’esperienza greca. Le stesse forze del GUE/SE hanno mostrato in merito forti limiti di ruolo e di iniziativa.

Mentre dobbiamo rilanciare con forza la mobilitazione in solidarietà con il popolo greco, occorre fare chiarezza sulla perdente illusione di modificare questa Europa, occorre aprire una riflessione profonda sulla nostra strategia e su cosa significa lottare adesso contro questa Europa ed i suoi trattati, senza escludere, ma ponendo all’ordine del giorno il tema della rottura ed uscendo da formule generiche ed illusorie, come la “disubbidienza ai trattati”.

La linea della segreteria Ferrero viene duramente smentita dalla vicenda greca: altro che “contingente necessità”, questa impone un concreto cambiamento di linea e di gruppo dirigente per impedire la scomparsa di un ruolo utile del PRC, nonostante il generoso lavoro di tanti circoli e federazioni del partito.

Il progetto de “l’Altra europa con Tsipras” non ha rappresentato un reale processo di costruzione di una coalizione di sinistra in grado di opporsi efficacemente al Governo Renzi e alle politiche di austerità, e adesso viene utilizzato solo come strumento per dar vita ad un nuovo contenitore con Civati e Vendola, senza tener conto delle posizioni espresse più volte da queste forze che hanno l’obiettivo strategico di rifondare il centrosinistra, ovvero una “grande SEL” finalizzata ad un nuovo Ulivo, una “terra di mezzo” che ci riporterebbe allo stesso punto da cui è iniziata la crisi di Rifondazione..   Dopo varie esperienze fallimentari, occorre assumere la consapevolezza che i temi dell’alternativa di sistema, della sovranità popolare, della ricomposizione di un blocco sociale alternativo e la necessità di un ampio schieramento di sinistra a livello nazionale ed europeo non sono affrontabili con scorciatoie politiciste e con progetti deboli come la “costituente di sinistra”, che rischiano di naufragare al primo reale problema posto dal conflitto di classe, essendo privi di un programma di rottura con la gestione capitalistica della crisi e di un effettivo radicamento sociale.

Anche il tema del governo, posto con una certa insistenza a immagine di Syriza, non può essere risolto, bypassando la questione complessa della ricostruzione di un adeguato consenso di massa, dell’internità ai conflitti e dunque di un lavoro sociale e politico effettivo che faccia la necessaria chiarezza sulle prospettive senza seminare pericolose illusioni di tipo elettorale e produrre nuove sconfitte.

La proposta della “costituente di sinistra”, che dovrebbe decollare dal prossimo ottobre/novembre, rappresenta una preoccupante involuzione della linea del partito, rispetto alle stesse conclusioni del Congresso di Perugia, linea divenuta ormai incerta ed in balia di ipotesi politiche prive di un adeguato respiro strategico e ambigue rispetto al centrosinistra, una linea che nei fatti mette a serio rischio l’esistenza stessa del PRC come partito comunista autonomo, radicato socialmente e capace di proposta politica.

Gli stessi risultati elettorali delle ultime regionali, con il forte aumento dell’astensionismo, la consistente perdita in voti e percentuali del PD, la crescita del voto populista e reazionario alla Lega, la tenuta del M5S, evidenziano ancora una volta la mancanza di un chiaro riferimento a sinistra, in grado di intercettare il disagio sociale di ampi settori popolari colpiti dalla crisi e togliere spazio al populismo fascio-leghista.

La “costituente di sinistra” si rivela un’ipotesi priva di concretezza e di un reale spazio riformatore nell’attuale contesto segnato dalla crisi: infatti Renzi non rappresenta un incidente di percorso, ma lo sviluppo/accelerazione delle precedenti politiche del PD, con l’abbandono definitivo di ogni legame con una cultura democratica e costituzionale. Egli rappresenta lo strumento più utile al capitalismo ed ai poteri forti per gestire la crisi a loro favore con l’attacco ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, ai beni comuni, alla democrazia e alla Costituzione, con il taglio della spesa sociale, con l’aumento delle spese militari per nuove guerre. Inoltre, il drammatico flusso migratorio di uomini e donne verso l’Europa, diretta conseguenza dello sfruttamento e delle guerre portate avanti dall’occidente capitalistico, si scontra con il colpevole disinteresse e la palese incapacità dell’Europa di rispondere in modo dignitoso a tale fenomeno, un vero e proprio respingimento, mentre la destra fascista e xenofoba alimenta e diffonde pericolosi focolai di guerra tra poveri all’interno dei ceti popolari colpiti dalla crisi.

L’uscita dal PD di esponenti della sinistra è un fatto importante che dobbiamo valorizzare con l’azione comune su battaglie concrete, ma per un’uscita da sinistra dalla crisi non c’è spazio per progetti fragili o solo per fini elettorali, né per illusioni riformiste. Occorre ricostruire una proposta dal chiaro profilo anticapitalista in grado di riconquistare credibilità ed egemonia sulla base di un programma e di un effettivo radicamento nei conflitti, modificare gli attuali rapporti di potere, ricomporre un blocco sociale e delineare un’alternativa di sistema. Occorre anche una profonda discussione sul carattere del nuovo capitalismo che non si basa solo sul dominio economico, ma affonda le radici sulle vite di donne e uomini, colonizzandone i corpi, il senso comune e la coscienza di sé.

Su questo terreno si colloca oggi il ruolo autonomo, utile e non settario, il progetto e l’identità di una forza comunista, come il PRC, se è vero che il comunismo rappresenta il movimento reale che abbatte e trasforma lo stato di cose presente. Fuori da questa prospettiva di classe, c’è solo ondeggiamento opportunistico, subalternità, perdita di autonomia, cessione di sovranità e dunque liquidazione del partito.

Costruire subito un vasto fronte di opposizione al Governo Renzi ed alle politiche di austeritàdella Troika rappresenta il terreno concreto per costruire una coalizione sociale e politica della sinistra di alternativa, capace di promuovere ed essere interna ai conflitti sociali. In questo ambito, occorre restituire al PRC una reale capacità di interlocuzione, di iniziativa e di protagonismo politico.. Solo sulla base di concrete convergenze su contenuti e pratiche comuni, saranno possibili forme di coordinamento che riconoscano la pluralità e l’autonomia dei diversi soggetti ed anche credibili esperienze di unità d’azione sul terreno elettorale.

Quale forma e percorso debba avere questo processo è proprio il tema su cui tutto il partito deve discutere e produrre concrete esperienze nei territori. Infatti la complessità del variegato fronte di resistenza alla crisi non può essere rappresentata da un soggetto politico unico a cui cedere sovranità, ma da un’ampia e plurale convergenza di soggetti sociali e politici unita da:

  1. un programma di fase che abbia al centro i bisogni sociali nella crisi, da costruire in stretta connessione con i movimenti ed i conflitti di classe, definendo concrete campagne a partire dalla questione centrale del lavoro e della riduzione di orario (stop precarietà e lavoro volontario, no Jobs Act, tutela del salario, pluralismo e democrazia sindacale), ai basilari diritti sociali e contro qualsiasi guerra tra poveri (diritto alla casa e alla salute, difesa dei redditi e del sistema pensionistico, reddito di cittadinanza, ruolo democratico della scuola pubblica, pubblicizzazione dei beni comuni), alla difesa della Costituzione e contro le logiche maggioritarie della legge elettorale, fino alla mobilitazione contro la Nato e la BCE;
  2. una comune pratica e presenza nelle lotte per sviluppare il radicamento e il ruolo politico;
  3. una chiara collocazione al di fuori e contro l’orizzonte del centrosinistra con o senza Renzi, a livello nazionale e locale.

Come dimostra la rottura in corso all’interno di Syriza, non è la formula del soggetto politico “una testa, un voto” che garantisce l’unità, ma solo la condivisione di un chiaro programma politico.

La crisi strutturale del capitalismo ripropone l’attualità della questione comunista e rilancia la necessità della rifondazione di un partito comunista capace di svolgere un ruolo propulsivo e di riaggregare le tante soggettività comuniste oggi disperse, su un profilo, una proposta politico-programmatica ed una forma partito all’altezza della crisi attuale, in grado di interpretare e raggiungere i nuovi soggetti sociali…

Rifondazione del partito e costruzione di un ampio movimento anticapitalista e antimperialista sono le due priorità, tra loro dialetticamente connesse, su cui deve lavorare il PRC in questa fase per uscire dalla marginalità e dalla crisi politico-organizzativa di questi anni, per rimettersi in movimento con la società e delineare una prospettiva socialista all’altezza dei nostri tempi.

A tal fine, insieme all’approfondimento di comuni storie e basi ideologiche, occorre unire una profonda riflessione sui limiti dell’esperienza comunista di questi anni, un aggiornamento dell’analisi di fase e l’avvio di una nuova presenza dei comunisti nella società, così da evitare scorciatoie autoreferenziali o concepite sulla base di un’identità astratta.

Con questa prospettiva sarà possibile ricostruire il senso di appartenenza e la militanza di tanti compagni/e oggi demotivati da scelte e modalità di lotta politica interna inaccettabili.

La ripresa del conflitto e un concreto piano di reinsediamento sociale del partito, l’entrata in campo di nuove esperienze e generazioni saranno determinanti per invertire la tendenza e riaggregare i comunisti e le comuniste, ma questa nuova fase deve essere avviata da subito con l’attivazione di un ampio processo di democratizzazione e con un reale cambiamento nello stile di lavoro che sappia unire dialettica e pluralismo interno, condizioni essenziali per una gestione collegiale del partito.

È fondamentale in questo senso che si tenga al più presto la Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti/e in modo democratico, plurale e trasparente.

In questa fase diventa essenziale riprendere un percorso di formazione politica volto a costruire in modo diffuso analisi, critica e pratica politica, a ristabilire un nesso profondo tra teoria e prassi, tra condizione sociale e coscienza politica. A tal fine è necessaria la ripresa del conflitto di genere, strettamente connesso al conflitto di classe, contro il maschilismo e la concezione patriarcale, presente anche nel partito a tutti i livelli. Non si tratta di assegnare quote alle donne, ma di cambiare i tempi e le modalità della politica, di riconoscere l’autodeterminazione, la differenza e la passione politica delle compagne.

Il profondo rinnovamento politico, culturale, di genere e generazionale, di cui il PRC ha urgente bisogno, rende necessario – prima che sia troppo tardi – anticipare il congresso del partito per la ridefinizione della linea e dei gruppi dirigenti a tutti i livelli.

(Testo approvato nel corso della Scuola di formazione politica di Poggibonsi, su cui raccogliere ulteriori firme tra i compagni/e di Rifondazione Comunista a tutti i livelli, a partire dai circoli, diffondendo il documento e promuovendo la discussione e l’iniziativa politica.

Poggibonsi (SI), 29 agosto 2015

Primi firmatari (in ordine alfabetico):

Imma Barbarossa – CPN del PRC

Luca Cangemi – CPN del PRC

Stefano Grondona – CPN del PRC

Daniele Maffione – CPN del PRC

Marco Nebuloni – CPN del PRC

Gianluigi Pegolo – CPN del PRC

Bruno Steri – CPN del PRC

Sandro Targetti – CPN del PRC

Arianna Ussi – CPN del PRC

 

 

Grecia: rottura o compromesso

Articolo per il Collettivo Stella Rossa:

Decifrare la trattativa tra l’Unione Europea e il governo di Alexis Tsipras è sempre più difficile. I round di trattativa falliscono uno dopo l’altro e il 30 giugno scadono il “programma di salvataggio”e un ingente prestito del FMI. Nel frattempo la società greca torna a mobilitarsi.

 

[…]

Non possiamo sapere ora se questa vicenda si concluderà con l’accordo o con la rottura. Quello che sappiamo è che tutte le possibilità sono sul tavolo, anche quelle che fino a poco tempo fa venivano pubblicamente escluse perché “anti europeiste”.

La solidarietà con l’unico governo europeo che prova a sfidare il dominio dell’Europa capitalista e anti democratica è obbligatoria. Altrettanto obbligatoria dovrebbe essere l’onestà intellettuale, senza nascondere sotto il tappeto le enormi contraddizioni e difficoltà. Per sostenere la solidarietà col popolo greco serve consapevolezza. Le illusioni, invece, finiscono sempre per produrre delusioni e, di conseguenza, disimpegno.

Per leggere tutto clicca qui
Uno finisce di scrivere a mezzogiorno e alle 6 di sera è già successo di tutto. Tsipras ha proposto a Merkel e Hollande di trovare un accordo a livello di capi di stato, non a livello tecnico. Merkel e Hollande hanno rifiutato (grande, compagno Hollande, sei sempre il migliore). I creditori hanno proposto di estendere il bailout di altri 4 mesi con qualche cambiamento (sostanzialmente la stessa cosa fatta a febbraio) e i greci hanno rifiutato.
In tutto questo bisognerebbe veramente evitare di gridare ogni mezz’ora al tradimento definitivo o alla vittoria finale. Non per altro, ci si fa un po’ la figura dei pirla.