No, il peggio non era Marini.
Quando PD e PdL si sono messi d’accordo per eleggere Marini Presidente della Repubblica, ho scritto che il peggio non era la figura di Marini in sé, e nemmeno l’accordo politico tra i due partiti. Il peggio era che la reazione della “base del PD” contro l’accordo restava tutta sul piano politicista. Quello che è successo nei giorni successivi ha tristemente confermato. Le simpatie coagulate attorno alla figura di Rodotà non hanno fatto fare passi in avanti. Abbiamo assistito a giornate in cui militanti spaesati si chiedevano perché il PD non lo potesse votare, non rendendosi conto della differenza tra le elaborazioni di Rodotà in tema di beni comuni, uscita dall’austerità, laicità e rappresentanza sindacale e la linea del PD di liberalizzazioni, fedeltà all’austerità, sostegno alle scuole clericali e sostegno alla linea anti sindacale di Marchionne. E Rodotà non è certamente un estremista
Matteo Pucciarelli descrive così una giornata di discussione nei circoli democratici milanesi tra militanti ed eletti:
La rassegnazione da una parte, il politicismo da un’altra, perché dopotutto «è un governo guidato da uno dei nostri», e poi «abbiamo eletto un presidente della Camera che è nostro, un presidente del Senato che è nostro, un presidente della Repubblica che è nostro». Tutta la rabbia era diretta al capire chi fossero i 101 franchi tiratori – il che è pure giusto, ma non mi pare la questione dirimente. Una rimozione totale e collettiva sul fatto che le promesse di alternativa, di cambiamento, di «mai più governi con la destra», di Italia Bene Comune, di decenni di battaglie fossero stato letteralmente buttate al macero. Non un cenno per dire: scusate, ma la democrazia serve ancora? Cosa siamo andati a votare a fare se tutto è rimasto come era? Con quale coraggio scendiamo a patti con chi fino a un mese prima manifestava contro i giudici fuori dal Palazzo di Giustizia? E Stefano Rodotà, perché Rodotà no?
Già, perché non Rodotà?
Rodotà è fondamentalmente un moderato, partito dai Radicali, è stato indipendente nelle liste del PCI e dagli anni ’90 ha sempre preferito il PDS-DS-PD a Rifondazione Comunista. È un moderato che pensa che i diritti vadano affermati con un nuovo diritto, più che con la lotta di classe. Eppure per il PD questo neanche il vecchio professore moderato va bene, perché nella sua moderazione Rodotà ha preso posizioni precise: con la FIOM, per i beni comuni, contro l’austerità. Il PD invece ha sempre sostenuto Marchionne, s’è accodato solo all’ultimo momento ai referendum sull’acqua ed ha provato poi a sabotarne l’applicazione e, soprattutto, non intende mettere in discussione l’austerità.
Oggi, la base del PD (con le ovvie e lodevoli eccezioni, che non sembrano però in gradi di battere alcun colpo) sembra addirittura incapace di leggere queste palesi divergenze politiche. Il peggio non era Marini, il peggio era e rimane il terribile scollamento tra la realtà la piccola minoranza che in buona fede cerca di fare politica nell’unico partito di rilievo rimasto “a sinistra”.
Intendiamoci.
Non credo che l’elezione di Rodotà (o di Prodi con Rodotà Presidente del Consiglio) avrebbe aperto le porte al governo di grande cambiamento promesso dal PD in campagna elettorale. Penso che fossero parole vuote e che sotto una sottile patina di cambiamento il programma elettorale prometteva la continuazione dell’austerità con qualche aggiustamento cosmetico.
Penso però che Rodotà Presidente della Repubblica sarebbe stato qualcosa di positivo, un Presidente molto più vicino allo spirito della Costituzione di quanto lo sia Napolitano (o Marini, o la Finocchiaro o qualsiasi altro possibile candidato del PD). Sarebbe stato importante se Rodotà avesse potuto definire, da Presidente, la convenzione per la riforma costituzionale un rischiosissimo attacco ai principi costituzionali.
Ovviamente è un ragionamento per assurdo, oggi Rodotà non è Presidente proprio perché in Parlamento esiste una maggioranza che vuole far uscire definitivamente la Costituzione dal suo spirito originale, cominciando dalle riforme costituzionali, possibilmente con l’introduzione di un semi presidenzialismo alla francese.
Questa maggioranza comprende anche i giovani turchi, la cosiddetta “ala sinistra del PD”, che dopo aver giurato e spergiurato di essere nemici irriducibili del governissimo e dell’austerità, si sono accomodati sulla poltrona, più precisamente sulla poltrona di vice ministro dell’economia occupata da Stefano Fassina.
Una sana dose di realtà per chi ha passato gli ultimi mesi a sperare che Fassina si rivelasse una specie di Melenchon in salsa italiana. Alla fine, è stato più simile a Bombacci.
Bombacci, quello che aderì alla Repubblica di Salò continuando a considerarsi un socialista.
L’unico a marcare un minimo di dignitosa distanza è Civati. Ma non più che un atto simbolico.
Miti da sfatare.
Rimane la classica domanda: che fare?
Dando per scontata l’impossibilità di agire in sostegno di questo governo, rimane un po’ di sana, dura, opposizione di classe. È già chiaro che dietro alle promesse di cambiamento della Riforma Fornero si nasconde un peggioramento nel senso di più precarietà, solo per fare un esempio. Occorre rompere l’apatia e organizzare il conflitto sociale anche fuori dalle grandi giornate di mobilitazione e sciopero, occorre costruire una forza politica organizzata e radicata (e per quel che mi riguarda, comunista) che non sia in balia dell’1% in più o in meno alle elezioni.
Ma per fare questo è necessario liberarsi di alcuni miti.
1) Il mito del rimbalzo. È stato il mito di cui Rifondazione è stata prigioniera negli ultimi anni, l’idea che una volta toccato il fondo, sia in termini di consenso sia di condizioni materiali di vita delle classi popolari, ci sia una ripresa automatica del conflitto sociale o del consenso per le sinistre. La realtà ci ha insegnato che i partiti della sinistra possono restare a sguazzare in un misero 2% e che all’aumentare della crisi non aumenta la lotta, aumenta la rassegnazione.
Vah come rimbalziamo bene, vah che roba
2) Il mito dell’album Panini. È il mito che Sinistra e Libertà ha provato ad agitare convocando la manifestazione dell’11 Maggio: mettiamo insieme le figurine di Vendola, Rodotà, Barca, Cofferati e Landini costruiremo una gran bella squadra sinistra. A parte che metà dei personaggi hanno già risposto picche, non fa altro che riproporre un’aggregazione di leader (con i loro pregi e i loro difetti) senza mettere in campo un progetto di organizzazione e radicamento. Un po’ come abbiamo fatto con Rivoluzione Civile: tanti bei nomi, tante buone intenzioni, risultati imbarazzanti.
Mi dai Miccoli in cambio di Cremaschi?
3) Il mito della FIOM. Intendiamoci, sostenere la FIOM è un dovere di tutti, non esiste dissenso rispetto alle scelte tattiche di Landini che possa giustificare il mancato sostegno alla manifestazione del 18 Maggio o alle altre iniziative che saranno messe in campo. Detto questo, la FIOM è un sindacato e non può sostituire la politica. Può organizzare una manifestazione nazionale ogni due anni che sia anche politica, può produrre una buona proposta di legge sulla rappresentanza sindacale e può indicare dei temi come la riconversione ambientale e pacifica delle produzioni. Ma la FIOM ha dei limiti su due piani. Prima di tutto è una categoria, e un conflitto generale non può coinvolgere solo i metalmeccanici, in questo senso è evidente l’insufficienza sia delle altre categorie CGIL sia dei sindacati di base. In secundis, è un sindacato, può occuparsi di tante cose ma al centro ha la difesa dei suoi lavoratori, non può abbandonare questo lavoro per ragionare dell’euro, della politica estera, della gestione dei comuni e di come tenere insieme tutto questo. Quello è il compito della sinistra politica.
Via, una bella foto con un po’ di bandiere rosse ci sta sempre bene
4) Il mito di Beppe. No. Grillo non farà quello che noi non siamo stati in grado di fare. Di fronte alla prima occasione per organizzare una manifestazione a Roma contro la rielezione di Napolitano, il Movimento 5 Stelle s’è pavidamente tirato. Che sia stato perché temeva di non poter controllare la manifestazione come un suo comizio o per le pressioni che pare siano arrivate direttamente dal Ministro Cancellieri, la sostanza è che alla mobilitazione è stata preferita una conferenza stampa. Grillo non sarà il nuovo soggetto che solleverà il conflitto generale che siamo stati incapaci di sollevare noi, perché semplicemente non gli interessa. Gli interessano tanti piccoli conflitti locali da capitalizzare nel momento elettorale.
Roba da matti, dobbiamo fargli un culo così. Ma non questa domenica che al ministro gli scoccia
Il peggio potremmo essere decisamente noi, se rimarremo prigionieri di questi miti.