L’AMACA del 25/06/2013 (Michele Serra).

Serra riesce a mascherare il sostegno alla CIA con la critica all’individualismo… Capolavoro.
Il problema ovviamente non è se Snowden sia una specie di Che Guevara della privacy, il problema è che lo stato borghese non riesce a conservarsi senza violare spudoratamente le stesse libertà borghesi che proclama.

Triskel182

Difficile dire se lo spione pentito Edward Snowden, in fuga per i cieli del mondo, mi susciti solidarietà oppure ostilità.
Il problema è che non ho capito esattamente chi è. Cioè che cosa egli pensi – al di là di un condivisibile anelito in favore della libertà personale insidiata dalla pervasività dei controlli – dei vincoli sociali nel loro complesso; dei doveri che abbiamo nei confronti della comunità di appartenenza; e soprattutto di quel monopolio statale del potere (anche del potere di controllo) che, per quanto sgradevole e spesso tracimante, è stato un passo di civiltà decisivo nella storia umana.

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Condannato l’alleato del PD (ma per ora non salta il governo)

Per anni abbiamo atteso la notizia della condanna di Berlusconi. Ci siamo immaginati caroselli nelle strade, nuove feste della liberazione, statue innalzate ai giudici che fosse riusciti nell’impresa.

Ad attendere la notizia della condanna di Silvio c’erano oggi, fuori dal tribunale, un centinaio di persone. L’impressione dalle foto è che fossero i pochi reduci disposti a ripetere i festeggiamenti di quando il Nano si dimise. La differenza tra quella notte e questa è che all’epoca prima ci fu l’entusiasmo degli antiberlusconiani, poi il PD fece un governo con Berlusconi. Stavolta sono già al governo insieme. E senza neanche fare la finta del governo tecnico.

Un riassunto delle puntate precedenti indirizzato particolarmente ai compagni e agli amici del PD

Tanto entusiasmo sarebbe da preservare per altre occasioni. Silvio in galera non lo vedremo mai, però vedere finalmente esecutiva l’interdizione dai pubblici uffici sarebbe comunque divertente. Purtroppo questa è una condanna di primo grado, quindi per avere un Silvio ufficialmente ineleggibile dobbiamo aspettare come minimo la sentenza definitiva del processo sui diritti Mediaset. Il governo Letta quindi per ora può indossare la sua migliore faccia di bronzo e andare avanti per un po’.

A meno che Berlusconi non pensi veramente di poter vincere le elezioni politiche, quindi faccia cadere il governo a breve e si vada a votare prima della sentenza. Certo i risultati delle ultime amministrative (che rimangono comunque una cosa diversa dalle politiche) potrebbero aver fatto perdere un po’ di baldanza al Cavaliere.

Rimane aperta un’altra strada. Le carceri italiane, si sa, stanno in condizioni medievali, migliaia di persone detenute in più rispetto alla capienza, celle in cui le persone stanno schiacciate, preminenti politici che rischiano di finire in gattabuia. Quale migliore situazione per un atto di clemenza? Quale momento migliore perchè il Re della Repubblica Napolitano spinga sottobanco per una soluzione che preservi il governo di larghe intese così faticosamente costruito? Quale momento più cruciale per la Merkel per avere stabilità in Italia, evitando una crisi politica dallo sbocco incerto proprio prima delle elezioni federali tedesche in autunno?

Insomma, Berlusconi potrebbe avere ancora delle carte da giocare prima di andare a delle elezioni che portino non si sa dove. D’altronde, i suoi alleati del PD gli hanno sempre offerto ancore di salvataggio insperate, potrebbero stupirci anche questa volta.

[Poi domani salta il governo e io ci faccio una figura di paltra, ma vabbè, in fondo ricordate che questo  un blog di cose scritte, così, tanto per…]

Credit crunch in Cina

Traduzione al volo dello spiegone di Beyond BRICS sulla stretta del credito in Cina. La cosa divertente è che dopo mesi di lamentele sulla crescita sostenuta in maniera artificiale dalla Banca Centrale, quando smette di farlo per un paio di giorni scatta il panico.

I banchieri in Cina hanno tirato un sospiro di sollievo dopo che le autorità venerdì (21 giugno) hanno allentato la stretta creditizia, con i tassi in discesa dopo che la People’s Bank Of China, la banca centrale, ha immesso liquidità nel sistema bancario.

Con la banca centrale che mantiene il riserbo sulle sue intenzioni, gli analisti si aspettano che le autorità conservino un controllo fermo sul mercato. Quindi, che succede?

Quant’è pesante la stretta? Senza precedenti. Giovedì (20 giugno) i tassi di mercato a breve termine hanno raggiunto i massimi, con il tasso di riacquisto dei titoli a sette giorni, un indice chiave della liquidità, che faceva un salto di 270 punti fino a 10,8% annuo. Venerdì, è ridisceso di 227 punti base all’8,5%, rimanendo comunque vicino ai livelli record e 3 volte più alto di 2 settimane fa.

E’ stata una sorpresa? Puoi scommetterci. I tassi hanno cominciato a salire all’inizio di giugno prima della Festa delle Barche Drago, com’è normale prima delle fesitività, con le autorità che assorbivano contante mentre l’attività bancaria diminuiva. La bance centrale di solito inverte il processo dopo la fine delle vacanze. Ma questo volta no.

E’ stato intenzionale? Così sembra. La banca centrale non si sbottona, ma i media locali dicono che è tutto finalizzato al controllo della crescita del credito.

Qual’è il problema? Negli ultimi 18 mesi, le autorità hanno lasciato il credito crescere per dar forza a un’economia in rallentamento e, si dice, per appianare la via al cambio dei dirigenti del Partito Comunista. Ma la crescita dei prestiti sembra essere andata oltre a quanto previsto, con un aumento del 60% del capitale finanziario totale (nell’immagine total social financing), la più ampia misura del credito, nel primo quadrimestre. Il credito bancario è in crescita del 22-23% annuo, dal 20% del 2012, spinto dall’aumento delle operazioni bancarie ombra. Le autorità sono preoccupato dall’eccesso di credito, dai prestiti inesigibili e dall’aumento dei prezzi immobiliari.

Quindi, le banche sono a rischio? In un sistema dominato dai prestatori statali, tutto dipende dallo stato. Con i suoi poteri autoritari e le grandi riserve di moneta estera, Beijing può consolidare il sistema, in ogni apparantemente ben finanziato, se possiamo dar credito ai numeri. Il rapporto prestiti/depositi cinese è riportato al 72%, contro il 70% degli USa e del 111% dell’eurozona. Quindi, c’è un rischio trascurabile di collasso del sistema.

La domanda non era quella. Le singole banche sono a rischio? Nessuno lo sa. Dipende da ciò che le autorità vogliono ottenere e da che prezzo sono disposte a pagare. Mentre un pugno di banche controllate dal governo centrale domina il mercato, ci sono dozzine di prestatori controllati dalle autorità provinciali, cittadine ed anche di villaggio. Se Beijing vuole semplicemente rallentare la crescita del credito di qualche punto percentuale, la tattica della paura di questo mese potrebbe essere sufficiente. Ma se vuole realmente forzare le banche a mettersi in regola con i propri affari, inclusi i prestiti immobiliari, a prendersi le responsabilità dei crediti inesigibili e ad adottare pratiche più trasparenti, allora il governo potrebbe decidere di far schiantare alcune banche minori per far capire bene la sua posizione. Il pericolo di questo approccio è che non si può essere sicuri di come vada a finire. Alcune crisi di grandi banche sono iniziate dalle piccoli banche, come nello “scandalo dei risparmi e prestiti“.

Furbizia orientale

A proposito di personaggi intoccabili…

Quasi a Occidente

SaidSisScriveva Edward Said, nel 1978, in Orientalismo:

Sebbene infatti non sia più possibile venir presi sul serio dal pubblico dotto (e neanche da quello non dotto) disquisendo di “mentalità negra” o di “psicologia dell’ebreo”, si può ancora esserlo pretendendo di indagare intorno alla “mentalità musulmana” o al “carattere degli arabi”.

Trentacinque anni dopo, le sue parole sono ancora attuali, dal momento che, in un’aula di giustizia italiana, si attribuiscono alle origini orientali il cinismo e la spregiudicatezza di una giovane marocchina. Durante la propria requisitoria al “Processo Ruby” infatti, il PM Ilda Boccassini pronuncia la seguente frase:

per assurdo, in questa situazione, la minore extracomunitaria, persona, lo ripeto, intelligente, furba, di quella furbizia proprio orientale, delle sue origini, sfrutta… riesce a sfruttare il proprio essere extracomunitaria.

Un accostamento discutibile, leggiamo sull’edizione online di Repubblica; una semplice gaffe per il sito della Stampa e del Corriere. In realtà è molto…

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Gli intoccabili: Il razzismo di Sartori.

Esiste una categoria di persone che durante gli ultimi vent’anni sono riuscite a ricostruirsi una verginità politica, erano reazionari, destrorsi portatori delle peggiori nostalgie, amici degli imperialisti, boiardi democristiani. Poi un giorno hanno deciso che a loro Berlusconi stava sulle balle e così si sono conquistati un vitalizio sicuro come Grande Vecchio Intoccabile protetto da tutta la cultura per bene, cioè, da Repubblica e dal Corriere (il Grande Vecchio può essere omesso per chi non abbia ancora superato i 70 anni). Alcuni di questi sono stati talmente abili da aver iniziato la Seconda Repubblica come berlusconiani e poi essersi costruiti un pedigree da antiberlusconiani.

“Berlusconi va ringraziato, nel ’94 ci salvò dalla Sinistra di Occhetto e avviò la rivoluzione liberale in Italia” Super Mario Monti, 1994 style.

Giovanni Sartori è da tempo diventato un Grande Vecchio Intoccabile. Accantonato lo studio dei sistemi politici, Sartori è diventato un tuttologo il cui parere è richiesto e incontestato su ogni argomento delle scibile umano, e da giornali e tv diffonde il suo senso comune da reazionario sena che nessuno gli dica bah.

Daltronde, qua si tratta di dare del Sultano a Berlusconi, non di mettersi a fare i puntigliosi sul fatto che il suo schema interpretativo dei sistemi politici riporti come “totalitario” il governo nazista di Hitler e solo come “autoritario” quello fascista di Mussolini. Mica che il termine “totalitario” sia stati inventato dagli antifascisti italiani per indicare proprio il Duce, eh…

E come tutti i reazionari, non può farsi mancare quella punta di razzismo spacciata per realismo. Dalle pagine del giornale borghese per eccellenza, il Sartori s’è schierato contro la cittadinanza ai bambini nati in Italia con gli stessi argomenti utilizzati dai peggio leghisti: roba in cui si da la colpa al terzomondismo della sinistra che orfana del Sol Dell’Avvenire si sfoga dando la cittadinanza a chiunque, per poi passare a criticare la retorica sugli imprenditori stranieri perchè aprono “un negozietto da quattro soldi” e “poi quanti sono gli immigrati che battono le strade e che le rendono pericolose?”.

Un Bossi qualsiasi non avrebbe detto nulla di diverso. Il suo intervento contro la Kyenge si avventura nel consigliare alla signora ministro di comprare un vocabolario per imparare il significato della parola meticcio. Dice l’illustre vecchio trombone che l’Italia non è un paese meticcio (come sostenuto da Kyenge) perchè non si sono mescolate etnie.

Ora, se il pluripremiato vecchio reazionario sapesse qualcosa del dibattito su come diavolo si definisce un’etnia, si terrebbe alla larga da dichiarazioni così perentorie. Esistono almeno una decina di definizioni e molte di essere stabilirebbero l’Italia come paesi meticcio. Dovrebbe bastare un solo clamoroso esempio come quello delle popolazioni slave, un pozzo di scienza come Sartori non dovrebbe farsi ingannare dall’italianizzazione forzata imposta dal fascismo, dietro a nomi (e storia, e territorio) italianizzati non dovrebbe essere difficile per nessuno distinguere un’etnia.

Ma non finisce qui.

Sartori si sente anche in dovere di fare un paragone storico con il subcontinente indiano che vale la pena di riportare in toto.

Mai sentito parlare, signora Ministra, del sultanato di Delhi, che durò dal XIII al XVI secolo, e poi dell’Impero Moghul che controllò quasi tutto il continente Indiano tra il XVI secolo e l’arrivo delle Compagnie occidentali? All’ingrosso, circa un millennio di importante presenza e di dominio islamico. Eppure indù e musulmani non si sono mai integrati. Quando gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale se ne andarono dall’India, furono costretti (controvoglia) a creare uno Stato islamico (il Pakistan) e a massicci e sanguinosi trasferimenti di popolazione. E da allora i due Stati sono sul piede di guerra l’uno contro l’altro. 

Se avessi scirtto delle fregnacce nel genere in un esame, mi avrebbero defenestrato

Se avessi scirtto delle fregnacce nel genere in un esame, mi avrebbero defenestrato

Il problema principale sarebbe che certi tipi di identità sono stati introdotti in India solo dal censimento del colonialismo inglese, ragionare come se gli “islamici da integrare” in Italia nel 2013 siano gli stessi dell’Impero Moghul del 1500 è come pensare di avere con i turisti tedeschi in vacanza sul Lago di Como lo stesso rapporto che si aveva coi lanzichenecchi. E daltronde neanche gli Hindu sono gli stessi di 500 anni fa. Questo, oltre ad essere un errore storiografico, è espressione di quel tipo di orientalismo che vuole proiettare sui paesi orientali le immagini tipiche dell’immaginario orientale, in questo caso l’immagine delle società orientali come società identiche a se stesse nei secoli.

Ma ancora più grave è la ricostruzione delle vicende moderne. Nella foga di dimostrare la non integrabilità delle popolazioni di religione islamica, Sartori addossa tutta la colpa della separazione tra India e Pakistan ai musulmani stessi. I dirigenti della Lega Musulmana, Ali Jinnah in testa, hanno avuto la loro dose di responsabilità ma quello che è successo non sarebbe successo se non fosse stato per la decisione dell’Impero Inglese di disimpegnarsi immediatamente dall’India e di lasciare dietro di se non uno ma due stati. Ma perchè venne fatto questo? Perchè il nascente Pakistan serviva a fare da contraltare conservatore alle tendenze socialisteggianti che serpeggiavano nell’indipendentismo e che Nehru avrebbe attuato coi piani quinquennali. Inoltre, costituendo il Pakistan su base etnica si creava un cuscinetto col cosidetto Pakistan Orientale (l’attuale Bangladesh) nei confronti della Cina, dove si cominciava a capire che la guerra civile evolvesse a favore dei comunisti e non dei nazionalisti. In parole povere, gli inglesi non furono obbligati a dividere India e Pakistan. Decisero di farlo.

E tanto per essere precisi, la violenza etnica che si scatenò e che dure tuttora fu tuttaltro che unidirezionale, islamici e hindu si ammazzarono a vicenda e continuano a farlo tuttora. Solo che l’immagine dell’hinduismo come un’estensione del pacifismo gandhiano impedisce agli occidentali di vedere quando sono i nazionalisti hindu a scatenare tremende violenze contro i musulmani.

E non è neanche la prima volta che Sartori produce una performance imbarazzante parlando di India. Già nel 2009, sempre parlando in maniera pacata ed equilibrata dell’integrazione degli islamici, Sartori produceva un’uscita notevole come: Si avver­ta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi pa­ciosi, pacifici; e la maggio­ranza è indù, e cioè poli­teista capace di accoglie­re nel suo pantheon di di­vinità persino un Mao­metto.

Cosa Sartori intenda con “indigeni”, è difficile saperlo, ciò che è certo è che di buddisti in giro per l’India all’epoca di cui parla Sartori ce n’erano ben pochi, il buddismo era uscito dal subcontinente indiano e aveva fatto fortuna altrove. Fra l’altro, una delle vie di penetrazione dell’Islam è stata proprio la conversione di parte della popolazione buddista, alla faccia dei luoghi comuni perpetrati da Sartori sull’Islam guerrafondaio e sul buddismo naturalmente pacifista.

Che l’hinduismo possa assumere nel proprio pantheon Maometto è fondamentalmente un’altra fantasia orientalista di Sartori, evidentemente nel suo immaginario una religione politeista è una specie supermercato dei cinesi in cui trovi un po’ di tutto.

In pratica, il discorso di Sartori è razzista su più livelli. E’ razzista contro il ministro Kyenge che in quanto nera di pelle non saprebbe l’italiano, è razzista verso la popolazione musulmana bollata come “non integrabile” ed è razzista (e ignorante) nella visione della storia dei paesi orientali. Un bel terno per uno che la wikipedia italiana vanta come uno dei maggiori esperti mondiali di scienza politica.

Daltronde, sono i vantaggi di essere intoccabili.

P.s.: tutto questo ovviamente non significa parlare bene della Kyenge ne del governo Letta. Parlerò bene della Kyenge quando avrò abolito la Bossi-Fini e la Turco-Napolitano.

P.p.s.: ovviamente il prossimo post sugli intoccabili sarà dedicato a Emma Bonino.

Dazi sui pannelli fotovoltaici? Il problema è la Germania, non la Cina

Keynes blog

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Se l’Italia non crea filiere industriali per le tecnologie avanzate (come i pannelli fotovoltaici) dovrà importarle peggiorando il proprio deficit commerciale

di Daniela Palma, da Greenreport.it

Infine sono puntualmente arrivati: i dazi sui pannelli fotovoltaici importati dalla Cina annunciati dalla Commissione nell’autunno scorso, sono divenuti realtà (ancorché “provvisoria”, stando ai comunicati ufficiali). L’applicazione sarà graduale (11,8% fino al 6 agosto e 47,6% successivamente), mentre si afferma che l’Europa continuerà sulla linea del dialogo con l’economia del dragone per delineare i contorni di una rinnovata partnership commerciale nel settore. Anche se il tempo stringe, poiché entro dicembre l’Ue deciderà se imporre eventuali dazi definitivi.

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Cos’è successo alle amministrative?

Il mio professore di economia, sant’uomo che inneggiava al Ministero della Pianificazione mentre spiegava il Modello di Solow , diceva sempre che i dati da soli non significano nulla se non sono sostenuti da una teoria esplicativa.

Ah, il Gosplan, ah, la nostalgia.

Ah, il Gosplan, ah, la nostalgia.

La teoria esplicativa messa insieme dai giornali borghesi è semplice: l’elettorato premia l’operazione di responsabilità del PD e punisce gli oppositori del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord. Una lettura tutta politicista e che per di più si basa in buona parte sulla comparazione diretta tra elezioni politiche ed elezioni amministrative. Ovviamente se non si trattasse del M5S nessuno sarebbe talmente pirla da comparare due tipi di elezione completamente diversi, per sistema elettorale e per approccio degli elettori al voto. Un discorso completamente diverso sarebbe capire quanto le vicende nazionali influiscono sul voto locale.

Proviamo quindi a usare un’ipotesi interpretative del voto che tenga conto a) del fatto che si tratta di un voto locale b) della crisi e dell’austerità.

Rispetto al voto politico che è sempre più trainato dai capi nazionali dei vari schieramenti, il voto locale è ancora legato alla presenza di strutture territoriali in grado di fare campagna elettorale sul territorio. In questo senso s’è sempre spiegata la maggiore forza del centrosinistra rispetto al centrodestra.

Per di più, in queste elezioni spesso il centrodestra ha presentato candidati sindaco diversi per Popolo della Libertà, Lega e destrorsi vari mentre Berlusconi ha avuto fin da subito chiaro che non era il caso di mettere la faccia su una sconfitta annunciata.

Un ragionamento simile può essere fatto anche per il Movimento 5 Stelle, ancora più dipendente del PdL dalla presenza del capo e completamente disarticolato sul territorio. Le stesse comparsate di Grillo sono state in tono minore (a Roma, dove pure ha preso un dignitoso 12,4%, ha concluso la campagna elettorale in Piazza del Popolo e non a Piazza San Giovanni) mentre quelle degli altri maggiorenti del partito sono state deludenti, basti pensare che a Sondrio Vito Crimi ha parlato davanti a una trentina di persone.

Trenta persone LETTERALMENTE. Contando anche la gigantografia del Beato Rusca sulla facciata della Banca Popolare

Trenta persone LETTERALMENTE. Contando anche la gigantografia del Beato Rusca sulla facciata della Banca Popolare

La stessa Lega, che si vantava di essere l’ultimo partito con una struttura leninista, ha avuto una botta non indifferente, probabilmente dovuta anche al fatto che la campagna faraonica che ha portato Maroni alla Presidenza della Lombardia ha svuotato le casse e ha obbligato i candidati sindaci alle nozze coi fichi secchi. (Incidentalmente, sarebbe interessante capire in che maniera la sconfitta leghista in giro per il nord est modifichi gli equilibri nelle varie fondazioni bancarie a partecipazione pubblica).

Il centrosinistra invece sembra guadagnare (o meglio, perdere meno degli altri) grazie al lavoro di strutturazione fatto da Bersani sul PD.

Ma, appunto, più che vincere, il centrosinistra perde meno degli altri, ma come il centrodestra perde quasi ovunque sia in termini di voti assoluti che in termini percentuali. Su 20 città capoluogo che hanno votato, il centrodestra non s’è riconfermato in nessun comune, il resto è stato vinto dal centrosinistra che si presenta in vantaggio ai ballottaggi di Messina, Ragusa e Siracusa. Dei comuni dove il centrosinistra era già al governo, solo a Vicenza e a Isernia il consenso aumenta sia in termini percentuali che di voti assoluti. A Sondrio e Pisa aumenta in percentuale ma diminuisce in voti assoluti, mentre negli altri comuni perde ovunque. Caso a parte quello di Massa, l’unico in cui ad un sindaco di Rifondazione succede un sindaco di tutto il centrosinistra.

Possiamo quindi fare l’ipotesi che, in questa fase, si sia inceppata la capacità/possibilità dell’amministrazione di usare i propri poteri per creare consenso (sia in maniera legale, attraverso la buona amministrazione, sia attraverso il clientelismo). La crisi svuota le casse dei comuni, tutto il ballo del governo nazionale sulle tasse riversa il peso sulle tasche degli enti locali e, dulcis in fundo, il patto di stabilità impedisce di spendere anche a chi in teoria avrebbe i soldi.

Con questi criteri d’interpretazione (a cui andrebbe aggiunta come minimo uno studio sull’astensione, in quali sezioni aumenta, in quali fasce d’età, in quali fasce di reddito etc etc), si può arrivare alla conclusione che, più che una vittoria del PD perché ha fatto il governo Letta-Alfano, si tratta di una “meno sconfitta” in cui le dinamiche nazionali hanno pesato più sul centrodestra che sul centrosinistra. Il tanto strombazzato tracollo del 5 Stelle invece rimane un pio desiderio di chi spera di tornare rapidamente al bipolarismo, pur non ottenendo risultati esaltanti (a meno di sorprese al ballottagio di Ragusa) è praticamente l’unico a poter vantare di crescere ovunque. Certo rimane la domanda di quanto possa reggere un partito costituito da due capi solitari e da una piccola base di militanti iper attivi che però fanno cose a caso.

Primavere arabe, quel vento venuto da lontano (Sapere aprile 2013)

Calchi Novati sulle primavere arabe.
L’interwebz è pieno di interpretazioni a senso unico sulle rivolte che si sono susseguite negli ultimi anni sulle spone sud-est del Mediterraneo.

I giornali borghesi hanno accolto le rivolte (quasi tutte) come il trionfo della liberal democrazia mentre a sinistra ci si è divisi a chi pensava che la grande nazione araba si stesse sollevando per il socialismo e chi vede il complotto della CIA e di Israele dietro a qualsiasi movimento sociale.

La realtà è molto più complessa, per fortuna esiste gente seria come Calchi Novati, a sinistra si dovrebbe prendere l’abitudine a leggere quello che scrivono le persone serie invece di perdere mesi dietro a personaggi ambigui come i La Grassa o i vari StatoPotenza…

Sestante

Primavere arabe, quel vento venuto da lontano

Gian Paolo Calchi Novati

Troppo semplicistico liquidarle complessivamente come una improvvisa “voglia di Occidente”. Le rivoluzioni del Nord Africa sono mosse da forze di segno diverso, partono da premesse storiche diverse e perseguono fini diversi

I processi di cambio intervenuti nel Nord Africa fra il 2010 e il 2012 vengono da lontano e d’altra parte sono un’opera in progresso. Le elezioni hanno sollevato problemi nuovi e dubbi sul significato delle realizzazioni dopo tanto travaglio. In Egitto, il paese destinato a riprendere la leadership del mondo arabo, i Fratelli musulmani si trovano davanti a scelte che possono condizionare l’intero sistema. Lo sfacelo in Libia ha riversato in tutto il Sahel armi e armati che hanno rinvigorito i movimenti jihadisti già in attività sul bordo del Sahara. Sarebbe azzardato parlare dunque per le “primavere arabe” sia di obiettivi raggiunti che di aspettative tradite. Quanto più l’“innamoramento”…

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Le imprese di stato in Cina dovranno assumere più laureati.

[Era un po’ che avevo lasciato perdere le segnalazioni/traduzioni al volo di cose asiatico/cinesi. Forse è ora di ricominciare regolarmente. 
Nel caso specifico, dal Congresso del PCC gli osservatori liberisti aspettano trepidanti riforme che rilancino l’economia con meno interventismo statale. Per ora, ad ogni liberilazzazione su un versante continua a corrispondere interventismo su un altro.]

Economic Observerer – Le imprese di stato cinesi dovranno assumere più laureati.

Circa 7 milioni di studenti si laureeranno negli istituti di educazione superiore cinesi quest’anno. Negli ultimi anni i media interni sono stati pieni di servizi quanto grame siano le prospettive di lavoro.

Il Beijing Times di ieri (4 maggio) comunque ha pubblicato qualcosa che potrebbe offrire nuove speranze a chi è alla ricerca di un lavoro. Il paper riportava che gli uffici del Ministro dell’Educazione Cinese e la Commissione per il Controllo e l’Amministrazione dei Beni di Proprietò Statale hanno recentemente pubblicato una nota in cui si istruiscono le imprese di stato ad assumere più laureati che negli anni precedenti.

La nota dice che le imprese di stato dovrebbero aumentare il numero di assunti laureati di un numero ragionevole per andare incontro alle proprie esigenze nei prossimi 3-5 anni.

La nota sottolinea anche che le imprese di stato non dovrebbero discriminare per genere, per registrazione hukou, qualifiche o per istituzione educativa durante il processo di assunzione.

Le imprese statali sono inoltre istruite a prendere in considerazione le prospettive di impiego di laureati di minoranze nazionali e dovranno offrire più opportunità ai laureati di Tibet, Qinghai e Xinjiang.

[Ovviamente nessuna “quota di produzione”, ma interventismo vecchio stile per riassorbire nelle imprese statali gli investimenti fatti sull’università.]