Gli spazi aperti da Lisbona

Prendo questo spazio per fare un piccolo annuncio: sono uscito dalla redazione de La Città Futura. Senza fare troppi drammi, abbraccio i compagni con cui ho lavorato in questi anni (tre anni! ) e spiego perché questa uscita.

Chi ha letto la rivista negli ultimi mesi può aver notato una progressiva divaricazione tra quello che ho scritto io e quello che hanno scritto altri compagni.

La redazione de La Città Futura è sempre stata un collettivo politico, ora, col processo di Potere al Popolo, la sua natura di collettivo politico si sta approfondendo. Tra le questioni che mi allontanano dalla redazione, c’è la questione europea. In particolare, la lettura degli spazi aperti dalla Dichiarazione di Lisbona. La linea editoriale seguita dalla rivista è di critica serrata, mentre io, insieme agli altri compagni che hanno firmato l’appello Avanti sul serio leggiamo la dichiarazione molto più positivamente, come ho scritto anche nell’articolo che ho pubblicato su LCF e che riporto qua sotto. Poi, alcune considerazioni nate dalla discussione con molti compagni e compagne in seguito al balletto Mattarella-Salvini-Di Maio-Conte-Savona-Calenda.

Gli spazi aperti da Lisbona

Verso le due giornate di Napoli di Potere al Popolo, avanza la discussione sull’Europa.

Durante l’evento Marx2018 organizzato dal Partito della Rifondazione Comunista, l’attuale vice-presidente del Partito della Sinistra Europea (SE) Paolo Ferrero ha svolto un lungo intervento pubblico sulla storia del PRC e i suoi compiti, rimarcando la linea assunta da molti anni per la costruzione della cosiddetta “unità della sinistra”. Fin qui, nessuna novità. Discutendo delle europee, Ferrero ha sostenuto che la linea dell’unità della sinistra sia fondamentalmente condivisa dalle altre forze europee e che la Dichiarazione di Lisbona, firmata dagli spagnoli di Podemos, dai francesi di La France Insoumise e dai portoghesi del Bloco de Esquerda, vada proprio in questa direzione.

Secondo Ferrero, il fatto che Podemos dialoghi contemporaneamente con Izquierda Unida (alle ultime elezioni hanno corso insieme nella lista Unidos Podemos, con risultati non brillantissimi) e con la proposta di Mélenchon, sarebbe la dimostrazione che la proposta di unità propria del PRC (e del Partito della Sinistra Europea) starebbe facendo passi da gigante.

La dichiarazione di Lisbona

La Dichiarazione di Lisbona è sottoscritta da tre partiti della sinistra con storie e culture politiche diverse (fra l’altro, uno dei motivi a cui si può imputare una certa debolezza teorica).

Partito Cultura politica Partito della Sinistra Europea Posizione sul governo nazionale Posizione sull’euro
Bloco de Esquerda Fazioni eurocomuniste, trotzkiste e marxiste-leniniste Si Sostegno esterno al governo socialdemocratico A favore dell’uscita
Podemos Populismo di sinistra, minoranza trotzkista No Opposizione al governo di destra Ha sempre evitato di prendere una posizione precisa
La France Insoumise Populismo di sinistra, vari membri appartengono ad altre organizzazioni No Opposizione al governo centrista Piano B

A complicare il quadro si potrebbe aggiungere che molti dirigenti di La France Insoumise sono ancora dirigenti del Parti de Gauche, che fa parte della SE. A prima vista sembrerebbe un processo di convergenza tra forze di sinistra diverse, e Ferrero sembrerebbe avere ragione. In realtà, se appena si allarga lo sguardo alle dinamiche delle sinistre europee negli ultimi anni, il documento di Mélenchon, Iglesias e Martins sembra costruire un contraltare a quella di Varoufakis (che, per la verità, non sembra decollare in alcuna maniera) e anche alla linea stabilita dalla SE all’ultimo congresso, che possiamo riassumere con “unità della sinistra” a livello europeo. In quest’ottica la SE ha organizzato una serie di eventi in cui confrontarsi con forze politiche della famiglia ecologista e con esponenti socialdemocratici, costituendo anche un coordinamento progressista all’interno del Parlamento Europeo.

Aldilà del lavoro sulle singole questioni, normale in un’istituzione del genere, si tratta di un tentativo di portare alle prossime europee un’alleanza di sinistra su posizioni di riforma dell’Unione Europea simili, per non dire identiche, a quelle praticate dal governo Tsipras. Per quanto il testo di Lisbona non sia avanzato, contiene due elementi importanti:

  1. Indica come strumento una serie di lotte comuni sul piano europeo e sul piano nazionale
  2. Indica come obiettivo la difesa delle sovranità dei popoli europei

Per quanto non venga nominato il “piano B”, è evidente lo scartamento rispetto al piano retorico della sinistra europeista. Basta ricordare, per esempio, per quanto tempo la discussione interna alla sinistra è stata dominata dall’idea che l’organizzazione sul piano nazionale sarebbe inutile e che bisognerebbe invece costruire il partito (il sindacato, il movimento) su scala europea. E basta ricordare che la parola sovranità è stata bandita con l’accusa di rossobrunismo (strumentale nove volte su dieci), col brillante risultato di aver regalato spazio ai fascisti veri.

Da Lisbona a Napoli

Insieme ad altri compagni membri del CPN del PRC, durante l’incontro Marx2018, ho firmato un documento in cui esprimiamo apprezzamento per la scelta di Potere al Popolo di aderire alla Dichiarazione di Lisbona. Già durante la campagna elettorale per le politiche si è manifestato un apprezzamento di Potere al Popolo per la linea di Mélenchon sull’Europa. Penso che l’adesione a questa dichiarazione sia un buon primo passo per la discussione sull’Europa interna a PaP che, com’è noto, sarà uno dei principali tavoli su cui si lavorerà a Napoli. Un primo passo che pone PaP al di fuori della linea asfittica della SE.

Ovviamente un buon primo passo non basta, soprattutto non può essere un passo solo tattico. Non ho la sfera di cristallo per sapere se Podemos si evolverà in maniera conseguente, ma di sicuro dovremo farlo noi. Nominare le lotte sul piano nazionale e l’attuazione delle sovranità dei popoli europei ha come conseguenza assumere almeno il profilo del Piano B. Dico “almeno” per un motivo. La vicenda del governo Tsipras dovrebbe essere una lezione importante per tutti noi (e non è un caso che la SE si sia rifiutata di trarre conclusioni da questa vicenda). Abbiamo visto un governo di sinistra radicale essere eletto promettendo la fine dell’austerità, restando nell’Unione Europea e nell’Unione Monetaria. Sappiamo bene com’è andata.

L’economista Lapavitsas, all’epoca nel comitato centrale di SYRIZA e ora fuoriuscito, insieme al collega tedesco Flassbeck, avevano in effetti avvertito che si sarebbe arrivati a dover scegliere tra l’attuazione di un programma a favore delle classi popolari e la permanenza nell’UE. Nel loro libro Against The Troika (pubblicato nel 2015 da Verso Books), i due economisti consideravano una serie di passaggi tecnici necessari per un’eventuale uscita da sinistra, ma specificavano anche che non si tratta solo di tecnica, ma anche di politica. Senza un’adeguata preparazione di massa all’idea che si possa rompere con l’Unione Europea e senza un’adeguata preparazione sul perché si debba rompere, ci si trova disarmati di fronte al momento della rottura. Anche con lo straordinario risultato del referendum in tasca, Tsipras non avrebbe potuto davvero muoversi con la rottura perché aveva costruito la sua posizione sul giuramento che mai e poi mai avrebbe rotto.

Per questo, secondo me, la linea del Piano B può essere una buona linea da portare agli elettori. Una linea che nomina un nemico da combattere e prepara alla possibilità della rottura. Nelle condizioni di arretramento politico e debolezza organizzativa in cui dobbiamo operare, riuscire ad assumerla non sarebbe poco.

Considerazioni post assemblea di Napoli e post delirio istituzionale.

Alcuni compagni considerano una discussione inutile, fuorviante, quella che si tiene dentro Potere al Popolo sull’Europa. Ovvero: dato che non abbiamo la possibilità di governare un’uscita dall’UE, non dovremmo porci questo problema, limitare a dire che siamo contro l’UE.

Io penso che invece sia utile che PaP faccia questa discussione, che sia utile la maniera in cui questa discussione è stata scoperchiata a Napoli.

Breve riassunto: ci sono due posizioni, entrambe confermano la lettura dell’irriformabilità dell’UE, della necessità della rottura. Una posizione dice che bisogna costruire la forza politica (sociale, sindacale, partitica, di movimento) dei movimenti operai a livello europeo fino a far saltare gli assetti dell’UE. L’altra posizione dice che la rottura può essere fatta in vari momenti e in varie direzioni (collaborazione tra stati europei, collaborazione tra stati euro mediterranei e così via). Quindi, a condizioni che ora non sono prevedibil, anche la possibilità di una rottura unilaterale. Nell’ottica degli obiettivo del movimento politico e sociale che PaP vuole essere, bisogna sabere che abbiamo nemici interni e nemici esterni.

C’è poi una terza linea, che non ha una sua raprresentazione dentro PaP, ma ha echi in vari ambienti che si dichiarano marxisti leninisti. Potremmo chiamarla la linea del “classe contro classe” del 21esimo secolo, più o meno come quella del KKE in Grecia: conta solo la lotta per la costruzione del socialismo, qualunque ragionamento sull’UE è un ragionamento su una sovrastruttura, l’uscita dall’UE in ogni caso non porterebbe al socialismo quindi non è di interesse. (Ci sarebbe la quarta, quelli innamorati di Salvini e Di Maio, ma stendiamo un velo pietoso su questi ex compagni).

A me pare che la prima, pur parlando di irriformabilità e rottura, confermi la linea Tsipras: andiamo al governo in tanti paesi europei fino a quando abbiamo la massa critica per riformare l’UE. Non mi dilungo su questa.

Seconda linea: a me pare una linea che ci permette di agire, oggi, in Italia, nella frammentazione delle classi popolari.
Alcuni dei motivi li ho già detti nell’articoli, provo a elaborare di nuove

Questioni di prospettiva

  1. Perché è una linea che nomina un nemico identificabile, sarà banale, ma senza un nemico non si aggrega nulla. Le classi popolari che sono state disgregate e hanno un livello bassissimo di coscienza, se non nessun livello, hanno bisogno di vedere un collegamento tra le proprie condizioni di vita e il nemico.
  2. Perché è una linea che nomina un’alternativa internazionalista. L’area euromediterranea divide immediatamente il campo rispetto a Salvini. Ma anche, per dire, risptto a Calenda che dice che l’alternativa è tra Europa e Africa.
  3. Perché nascondere la testa sotto la sabbia negli ultimi anni ci ha solo fatto male. Da una parte abbiamo perso compagni verso l’europeismo. Dall’altra verso ogni possibile tendenza di follia para nazionalista.
  4. Perché una rottura dell’Unione è una possibilità, magari non quella più probabile, ma può succedere. Più probabili sono cambiamenti importanti nell’architettura dell’Unione (Europa a più velocità, etc etc). Chiaramente non siamo nella posizione, ne ora ne tra sul medio periodo di governare questi processi, in compenso siamo nella posizione per farci travolgere da questi processi. Non credo che limitarsi a dire “l’Europa così com’è non va” sia abbastanza. In questo senso, basta vedere quello che sta succedendo nel Regno Unito e il totale travolgimento di questo tipo di posizioni all’interno della Brexit. Questo ovviamente non significa che la Brexit è un processo progressivo, significa che chi ha provato a fare lo scoglio che resiste alla marea, si è rivelato invece un rottame in balia delle correnti.

Questioni di contingenza

  • L’elettorato è arretrato, ma non è composto da scemi. Hanno visto perfettamente cos’è successo in Grecia, hanno visto cosa succede quando si promette insieme di fare il bene del popolo e di mantenere la prospettiva europea. Non è un caso se la corsa delle sinistre radicali si è interrotta dopo la capitolazione di Tsipras. Forse riprende a muoversi ora, su altri binari.
  • Non siamo isolazionisti, ci sono forze europee a cui ci stiamo collegando che hanno la possibilità di contare qualcosa nei processi nazionali e internazionali. Legarci a loro ci dà la possibilità di crescere. Attenzione: non per l’idea sciocca che facciamo gli amici di Melenchon quindi avremo grande visibilità, ma perché ci permette di stare attaccati a dei movimenti reali che, in quanto tali, devono fare i conti con la realtà. Come noi, in Francia, Spagna, Portogallo e così via devono avere a che fare con classi popolari frammentate di ricomporre, stare con chi prova a fare questo processo di ricomposizione ci serve per crescere politicamente al nostro interno.
  • La Crisi Mattarella ci pone di fronte a un fatto: i trattati europei, da domenica scorsa, sono fonti di diritto pari alla nostra Costituzione e, anzi, la stessa idea di mettere in discussione i trattati deve essere trattata come eversiva. Aldilà della discussione in punta di diritto, questo è un elemento che ora entra prepotentemente nella percezione popolare e ci rimane.