Immigrazione: una (sotto)specie di dibattito

L’anno scorso, su La Città Futura, ho dialogato, in maniera piuttosto disfunzionale, con Ugo Boghetta sull’uso del termine “invasione” e, in generale, sulla questione dell’immigrazione. Nel frattempo è successo il diluvio universale.

Boghetta ha abbandonato Eurostop insieme a Formenti e Porcaro per fondare Rinascita, che si aggiunge alla galassia “sovranista”.

Qui di seguito riporto il dibattito. Credo che da un anno a questa parte si sia avverata la facile profezia: la parole hanno un peso, le parole ti usano, chi ha voluto usare la parola “invasione” pensava di usare ed è stato usato. E dopo un anno, penso ormai che certe formule di gentilezza e riconoscimento politico siano del tutto superate.

Ma non è successo solo questo. In mezzo c’è stato, deo gratias, Potere al Popolo. E in mezzo è cominciato un percorso per cambiare il discorso che facciamo sull’immigrazione senza subire l’egemonia del nemico.

Il momento più grosso di questo percorso è stato, per ora, la manifestazione del 16 giugno di USB e Potere al Popolo. Il discorso corrente sugli immigrati è costituito da due poli: quello per cui gli immigrati sono, appunto, gli invasori e quello per cui sono i poveretti da accogliere con pietà cristiana. Occasionalmente spunta la figura del campione vincente. Il nostro compito ora dovrebbe essere far emergere nella realtà e nell’immaginario una quarta figura: quella del lavoratore che lotta. Una figura che fa saltare il banco e spazza via ogni scemenza sull’esercito industriale di riserva o la sostituzione etnica.

Caro Boghetta, l’invasione è un’altra cosa

Immigrazione, “invasione”, europeismo e atlantismo: una risposta alla lettera di Indipendenza e Costituzione.

Ugo Boghetta è il primo firmatario – insieme ad altri membri dell’associazione Indipendenza e Costituzione – di un appello dal titolo “Di chi è la colpa dell’invasione”, una “Lettera aperta ai Senatori e Deputati per la convocazione di un dibattito parlamentare per verificare le responsabilità di Napolitano e Berlusconi.

Questo appello riporta molti aspetti interessanti ma è stato criticato per l’uso del termine “invasionein riferimento ai flussi migratori in entrata nel nostro paese. Sgombero immediatamente il campo da una polemica inutile: non sto facendo una caccia al “rossobruno”, la storia politica di Boghetta parla da sola e la caccia alla strega rossobruna è troppo spesso una scusa per non affrontare le contraddizioni interne a quello che rimane del movimento comunista in Europa. Inoltre, nell’appello è chiarissimo che i migranti sono visti come parte lesa.

Quella che voglio articolare è una critica all’uso del termine “invasione”, poiché credo che quel termine finisca per vanificare tutto ciò che di condivisibile e utile c’è nell’appello, crea contraddizioni interne al discorso ed espone un’area che non ha un’adeguata solidità teorico-politica a pericolose derive.

Contro il termine “invasione”

Ci sono diversi validi motivi per cui il termine “invasione” è inaccettabile:

    1. Il termine “invasione” è leghista. Con un intervento su facebook, Boghetta ha difeso la scelta del termine come tecnico: “Il fatto è che quando, per lungo tempo, ed in modo sempre più massiccio, masse sempre più grandi entrano senza diritto in un altro paese il termine esatto è: invasione”, e fa notare che nell’appello i migranti sono indicati come vittime della situazione. Il problema è che l’uso delle parole in politica non è neutro e ci sono parole che hanno assunto significati precisi, parole che il campo progressista non può – ora, nelle condizioni attuali – contendere all’egemonia di destra: invasione, federalismo, merito, solo per fare alcuni esempi. La parola “merito” ci ricorda quanti compagni abbiano provato a usarla e sono finiti a essere usati.
    2. Il termine “invasione” usato per i flussi migratori oscura l’unica vera invasione avvenuta: quella della Libia da parte delle forze imperialiste. Anche in questo caso, usare la parola del nemico porta a usarla come il nemico. La destra blatera di invasione e nasconde sotto il tappeto le vere invasioni per cui ha lavorato: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria ecc, ecc.
    3. Le teorie marxiste sulle migrazioni affermano essenzialmente che i flussi migratori seguono il percorso inverso al flusso imperialista di capitali (e di guerra). Nella difesa dell’appello, si dice che i migranti sono essenzialmente ceto medio urbano affascinato dal livello di vita europeo trasmesso dai media. Una tesi, questa, molto vicina alla micro-teoria dei sociologi dell’immigrazione liberali [1]. Aldilà della composizione di classe, si afferma essenzialmente che il fenomeno migratorio sia determinato da un’analisi di costi e benefici (percepiti) eseguita da singoli individui che razionalmente scelgono il comportamento (percepito come) più vantaggioso. Mentre giustamente si pone il problema dell’imperialismo ai danni dell’Italia, ci si dimentica dell’imperialismo ai danni dei paesi di origine dell’attuale ondata migratoria.

Per questi tre motivi, l’uso del termine “invasione” e la difesa di quel termine rischia di offuscare ciò che di positivo riporta la lettera aperta ai parlamentari italiani. In particolare:

    1. La sacrosanta messa sotto accusa di Napolitano e del suo ruolo di “uomo di Washington”;
    2. La sacrosanta messa sotto accusa di Berlusconi. Seppure minoritaria (ma nel nostro ambiente, anche le cose minoritarie purtroppo hanno un peso relativo), serpeggia l’idea di un Berlusconi eroe dell’indipendenza contro il golpe europeo. Certo, nell’autunno 2011 c’è stato un golpe europeo. Bisogna però intendersi, Berlusconi è stato rimosso in quanto non più in grado di eseguire gli ordini, non perché fosse all’improvviso diventato un campione degli interessi popolari e nazionali. Insieme all’idea del “Berlusconi antimperialista”, va spazzato il campo da tutte le illusioni sul “Salvini antimperialista” e sulla destra antimperialista. L’alleanza rossobruna contro l’imperialismo non esiste. La destra antimperialista non esiste.
    3. Il riconoscimento che si potesse fare altro. L’obbedienza cieca al patto atlantico non è un destino segnato. É una scelta politica continuamente riconfermata dalle classi dominanti del nostro paese.

Viviamo in un’epoca di grande confusione e spesso gli strumenti che abbiamo ereditato dalla “tradizione di sinistra” della seconda repubblica non sono adeguati. Una “revisione” di quella tradizione è necessaria sotto molti temi. L’atlantismo, l’europeismo, la riverenza nei confronti del capo dello stato sono questioni che vanno profondamente riviste. E sì, anche il dogma della libera circolazione va rimesso in discussione. D’altronde, in forme diverse, una certa revisione viene intrapresa da Corbyn, dai sindacati e dai comunisti britannici, viene intrapresa da Melenchon, viene intrapresa anche da compagni italiani al di sopra di ogni sospetto, come Emiliano Brancaccio. Ma no, l’invasione è una cosa diversa. Illuderci di poter ribaltare ora e subito l’uso delle parole del nemico non ci aiuterà.

[1] Per un confronto scientifico delle teorie sulle migrazioni, si veda Massey, Arango, Hugo, Kaouaouci, Pellegrino e Taylor, Theories of International Migration: A Review and Appraisal, in Population and Development Review, Vol. 19, No. 3, 1993

Liberscambismo, immigrazione e imperialismo

Ancora una risposta a Boghetta.

Da molti anni è diffusa una poesia (la leggende vuole che sia apparsa per la prima volta come graffito sui muri di Monaco) che recita: “La tua auto è giapponese e il tuo caffé è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano. La tua pizza è italiana e la tua camicia è hawaiana. Le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine. Cittadino del Mondo, non rimproverare il tuo vicino di essere straniero.”

In poche righe, la poesia riassume la contraddizione della sinistra di fronte all’immigrazione: dato che c’è la libera circolazione di merci e capitali, ci deve essere anche la libera circolazione degli individui. Questo primo punto è palese. Il secondo punto è nascosto: ovviamente parlare di libera circolazione delle persone è un eufemismo per parlare di libera circolazione della forza-lavoro.

Negli ultimi tempi sono almeno due gli avvenimenti politici di primo livello che hanno messo in crisi la retorica da “Cittadino del mondo”: la Brexit e il ciclo elettorale francese.

In entrambi i casi le forze di sinistra hanno rotto con la tradizionale accettazione del binomio “libera circolazione dei capitali – libera circolazione della forza-lavoro”.

L’ha fatto Melenchon che rivendica una gestione realistica delle forze dei flussi in ingresso e soprattutto ha preso posizione sulla necessità di combattere guerra e povertà nei paesi di origine. Una posizione non scontata per una sinistra francese che ha difficoltà a fare i conti col proprio imperialismo Per un certo periodo di tempo, queste prese di posizione di Melenchon gli hanno garantito una pessima stampa su alcuni organi della sinistra, tutta impegnata a cercare di offuscare l’immagine del tribuno del popolo con la consueta accusa di rossobrunismo.

Corbyn invece ha avuto con le elezioni la possibilità reale di gestire l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Nel mondo labourista c’è stata una discussione aperta che ha portato infine al compromesso presentato come programma elettorale: il Labour ora è per una Brexit in cui le “quattro libertà di movimento dell’Unione Europea” (capitali, beni, servizi, persone) non siano più assolute ma contrattate. Nel Regno Unito ideale di Corbyn ci sarebbero ancora lavoratori europei in UK e lavoratori inglesi in Europa. Secondo le parole di Corbyn: “Quello che non ci sarà, è l’importazione in massa di lavoratori sottopagati dai paesi dell’Europa Centrale per distruggere le garanzie, in particolare nel settore edile”. Per il sindacato UNITE; va rigettato lo scambio tra libera circolazione delle persone e libera circolazione delle merci, i lavoratori stranieri dovrebbero poter essere assunti solo in settori coperti da contratto collettivo, in maniera di non fare concorrenza salariale al ribasso.

Alcune risposte a Boghetta

Qui arrivo al botta e risposta con Ugo Boghetta, iniziato con un mio intervento su La Città Futura a proposito dell’uso del termine “invasione” e proseguito con una risposta di Boghetta sulla sua bacheca Facebook.

Nel mio intervento parlo della necessità di rivedere il dogma della libera circolazione, Boghetta si chiede se mi sia dimenticato di parlare esplicitamente di libera circolazione delle persone “per dimenticanza, pudore o ipocrisia”. Nessuna delle tre, semplicemente la libera circolazione va messa in discussione in toto: capitali, beni, servizi e persone. Non è un caso che gli architetti dell’UE abbiano messo insieme le quattro libertà di movimento. Se quella che si intende perseguire è una politica pro-lavoro, vanno messe in discussione tutte e quattro. Mettendo in discussione solo la libertà di movimento delle persone, in effetti, si produce la situazione italiana, in cui i flussi in entrata sono teoricamente bloccati ma di fatti continuano al di fuori della legalità.

E qui arrivo alla seconda risposta a Boghetta. Il mio rilievo sulle teorie marxiste delle migrazioni viene liquidato come “onanismo”. Penso che ci sia un possibile equivoco. Il mio rilievo non serve a negare che gli immigrati in arrivo siano principalmente “classe media urbana”. È del tutto evidente, e fa parte anche del bagaglio culturale italiano, che gli spostamenti di lunga distanza richiedono risorse economiche e anche un minimo di risorse culturali. Quello che discuto è l’idea che questa “classe media urbana” decida di migrare nel nostro paese o in Europa seguendo l’abbaglio dello stile di vita visto in televisione. Se andiamo a vedere quali sono i paesi di provenienza di chi entra in Europa, scopriamo che l’idea classica marxista per cui le migrazioni seguono il percorso dell’imperialismo è ancora valida: Siria, Afghanistan e Iraq. E ancora, per l’Italia è la Nigeria, un paese in cui l’imperialismo italiano ha qualcosa da dire.

Il problema che sollevo non è la composizione sociale dell’immigrazione, ma la sua causa. In pratica, il problema è riconoscere l’imperialismo sia che prenda la forma delle bombe o delle imprese petrolifere. Se si vuole agire veramente sulle cause dell’immigrazione, bisogna agire sull’imperialismo.

Invasione o immigrazione di massa

Nel mio primo intervento ho sostenuto che l’uso della parola “invasione” offuschi la questione dell’imperialismo e che, essenzialmente, faccia correre il rischio a chi la usa di porsi sullo stesso piano di discorso della Lega Nord.

Boghetta non ha risposto direttamente. Ha fatto però notare che nessuno ha proposto un termine alternativo. È fuori di dubbio che un cambio di passo sulla questione dell’immigrazione necessiti anche di un cambio di passo nell’uso delle parole.

La costruzione di un termine alternativo dovrebbe però passare per un lungo lavoro scientifico collettivo. Su questo, posso limitarmi a notare che né Corbyn né Melenchon hanno adottato un termine usato dallo UKIP o dal Front National. Entrambi parlando di immigrazione di massa. Penso che per ora limitarci a usare la parola italiana che descrive il fenomeno senza portarsi dietro significati leghisti, potrebbe essere un buon inizio. Nel frattempo, dovremmo provare a capire come incidiamo sull’imperialismo.