11 tesi sulla sinistra e le europee.


Premessa: che attorno alla cosiddetta lista Tsipras si stiano facendo gli stessi errori che caratterizzarono Cambiare Si Può e Rivoluzione Civile poco più di un anno fa lo sanno anche i sassi. I sassi che si interessano di politica, cioè il 5% della popolazione italiana, a dir tanto.

Il senso di deja-vù è fortissimo. Dopo le elezioni Angelo D’Orsi ha prodotto una brillante analisi della sconfitta delle sinistre basandosi su Machiavelli.

L’idea del post che segue è provare a fare la stessa analisi prima che il danno sia fatto.

1623652_274358269387677_2072305683_n

1. Non si sconfigge l’avversario diretto ignorandolo, o usando contro di lui il fioretto.

Innanzitutto bisognerebbe capire chi sia l’avversario diretto in questa competizione. Se l’avversario diretto è l’Unione Europea austeritaria e liberista, l’avversario diretto non può che essere la grande coalizione che di fatto la regge da un ventennio: il Partito Popolare Europeo e il Partito Socialista Europeo. Qualcuno a sinistra contesta l’esistenza di questa grande coalizione europea citando i pezzi eccentrici di socialdemocrazia europea. Dopo la svolta social-liberista di Hollande in Francia e l’accordo di governo in Germania tra Merkel e socialdemocratici (accordo in cui, dicono i maligni, sarebbe compresa l’ascesa di Shultz alla Commissione Europea) penso che si possano mettere da parte questi scrupoli. Pensare di presentarsi alle elezioni con una lista che guarda di qua e di la è un po’ peggio che usare il fioretto con l’avversario, è abbracciarlo.

2. Mai sottovalutare i contendenti

Nonostante una copertura mediatica assolutamente ostile, il Movimento di Grillo è dato dai sondaggi stabilmente sopra il 20%. Le destre si stanno riorganizzando su posizioni euro-scettiche (almeno nominalmente). Il campo di chi critica l’Europa a queste elezioni sarà affollato. Lo stesso centrosinistra, per quanto sia probabile che perda ancora voti, si è sempre dimostrato in grado di attirare voti dell’ultimo minuto attraverso la sirena del voto utile. In tutto questo, alcuni dei promotori della lista Tsipras sembrano convinti che superare la soglia di sbarramento del 4% sia una passeggiata. ‘nuff said.

3. In una competizione ci si deve differenziare

In cosa si differenzia la lista TsiprasPer il non avere politici di professione a capo della baracca? Non è il marchio di fabbrica del 5 Stelle, quello? Per l’europeismo critico degli appelli intellettuali? La stessa linea “più Europa meno austerità” la stanno assumendo Napolitano e Renzi.
Occore che questo progetto radicalizzi velocemente la propria proposta politica, e che questa radicalizzazione non finisca come quella di Ingroia, rimangiata a pochi giorni dalle elezioni in nome di potrei fare il ministro di Bersani.

4. Vince chi include non chi esclude, chi allarga non chi si chiude

Ed è per questo che è giusto, nonostante mi facciano incazzare come una biscia, includere i rappresentanti della cosiddetta società civile. Però l’inclusività deve essere riservata soprattutto a quello che si muove nella società. Se, per esempio, nella società si muove un sentimento critico nei confronti dell’euro, bisogna provare a includerlo, pena che quel sentimento si rivolga alla Lega Nord.

5. La televisione rimane il primo mezzo di formazione delle opinioni della cittadinanza

Certo, l’handicap di essere invitati in tv col contagocce è difficile da contrastare. Bisogna però massimalizzare quel poco spazio che ci è dato. Non è difficile prevedere che, come nella campagna elettorale di Ingroia, in tv ci chiederanno come mai siamo così interessati a far perdere il centrosinistra e altre cose intelligenti di questi tipo. Non ci si può far incastrare in questo frame comunicativo, bisogna romperlo, ma per romperlo serve quella differenziazione di cui al punto 3 e quella cattiveria di cui al punto 1.

La politica si fa dappertutto

Machiavelli diceva che le milizie mercenarie sono il peggiore degli eserciti, sono le milizie volontarie che vincono le lunghe guerre. Le milizie della sinistra sono i militanti. I militanti della sinistra stanno in parte nei partiti, in parte nelle associazioni e nei movimenti. Demoralizzarli con discorsi anti-partitisti è pericoloso per tutti.
Inoltre, le elezioni hanno questa caratteristica di essere fatte tanto nelle grandi città quanto nella provincia. Se il percorso politico prevede alcune assemblee tra i soliti noti a Milano, Roma e poco altro, il risultato non può essere altro che farla percepire come un’imposizione ai militanti delle periferie. Che si incazzeranno e non faranno campagna elettorale.
7.  Se ci si presenta come “nuovi”, occorre esserlo davvero (o almeno sembrarlo).

Dice che per essere nuovi non bisogna mettere davanti i soliti partiti della sinistra. Ma, fuori dal mondo fatato delle discussioni su internet, neanche gli intellettuali che hanno fondato Lotta Continua nel ’69 sono particolarmente nuovi.
La verità è che, per colpa un po’ di tutti, facce nuove da mandare avanti non se ne hanno, non le hanno i partiti e non le ha lo società civile. Escluso quindi di poter candidare gente raccolta a caso purchè nuova, occorrerebbe rinnovare le modalità in cui si arriva alle elezioni, ma tra appelli degli intellettuali, scazzi su internet e assemblee nei teatri romani, non ci siamo neanche qui. Cosa si è in tempo a fare? Si è in tempo a non adottare la classica retorica europeista di sinistra, ormai decisamente superata dai fatti. Più Europa oggi è sentito come uno slogan fuori dal mondo, figuriamoci fare campagna per gli Stati Uniti D’Europa…
E, a proposito della differenziazione di cui al punto 3, Renzi e Grillo riescono, nel loro campo a farsi passare per nuovi. Noi, invece, sottovalutiamo.

8. La campagna elettorale si fa su temi concreti e in modo semplice

Ecco, il nome di Alexis Tsipras non è un tema concreto. Il nome è una scorciatoia per mettere insieme chi va a fare la campagna elettorale. Quindi, smettiamola di chiamarla lista Tsipras. Personalizzare la campagne elettorale attorno a Tsipras significa inoltre darsi la zappa sui piedi mettendosi in un meccanismo di elezioni presidenziale e favorendo quindi il derby tra socialisti e popolari.
Evitiamo di inerpicarci nei volantini in calcoli sugli effetti del Fiscal Compact. Evitiamo di andare in giro a dire di votarci perchè siamo stati bravi e ci siamo uniti. La gente, giustamente, risponde che con l’unità della sinistra non si mangia.
Parliamo di condizioni materiali di lavoro e di disoccupazione, di come creare lavoro, di come rimettere in sesto le scuole. Certo, sono temi classici, non nuovi, ma sono stati abbandonati troppo spesso. E visto che si tratta di elezioni europee proviamo a dire anche che non permetteremo che le condizioni di vita materiali vengano peggiorate perchè c’è lo chiede l’Europa.

9. In Italia la destra è forte

Il mondo progressista è caduto dalle nuvole quando è venuto fuori che la nuova legge elettorale permetterebbe a Berlusconi, con le debite alleanze, di vincere al primo turno. Ben svegliati.
La destra italiana è oggi un po’ più debole di qualche anno fa, ma continua a rappresentare un coagulo di interessi materiali e di incarognimento ideologico difficile da sciogliere. L’avventura dei forconi ha dimostrato che l’asse Forza Italia-Lega Nord non ha più il monopolio su questo coagulo, ma anche che è ancora largamente maggioritario.
Si può ben scommettere che Berlusconi tirerà fuori qualche coniglio dal cilindro nell’ultima settimana di campagna. L’ICI, l’IMU, l’euro, quel che sarà, il nodo centrale è che Berlusconi ha capito che esiste un elettorato che mette il naso fuori dal suo guscio solo negli ultimi giorni prima delle elezioni e che viene smosso da messaggi chiari e semplici.

10. La sinistra è debole

E quanto di cui al punto 9 la sinistra non l’ha ancora capito, puntualmente commenta le sparate di Berlusconi (e ora di Grillo) con un senso di superiorità che non fa altro che spingere queste persone nelle braccia dell’avversario.
La sinistra è debole perchè ha autodistrutto il suo radicamento sociale, ha autodistrutto le sue organizzazioni, ha rinnegato le sue idee e ha favorito tutti i processi che hanno disgregato i suoi soggetti sociali di riferimento. Che adesso odiano la sinistra (anche qui, sia radical che moderata).
Tre mesi di campagna elettorale non sono abbastanza per rimediare a tutto questo, ma sono quantomeno il periodo in cui più cittadini sono disposti ad ascoltare i discorsi dei politici, il periodo in cui è più facile far ascoltare un discorso di diversità rispetto a quello che sono stati gli ultimi vent’anni. E attenzione, un discorso, testimoniare nella pratica è un discorso di ben più lungo respiro.

11. Che fare?

Pensare di ricostruire un soggetto politico della sinistra attraverso una competizione elettorale è lo stesso errore fatto dall’Arcobaleno nel 2008, da Sinistra e Libertà e dalla Federazione della Sinistra nel 2009, da Cambiare si Può e da Rivoluzione Civile nel 2012/2013. Le elezioni sono elezioni, si tratta di provare ad eleggere alcuni rappresentanti in un parlamento dai poteri limitati, si tratta di dare un segnale di solidarietà alla Grecia e agli altri paesi della periferia europea attraverso la candidatura di Tsipras.
Se andranno male non sarà stata l’ultima occasione, la storia va avanti e si sono trovate nuove occasioni quando la sinistra era composta da poche migliaia di persone in galera, in clandestinità o in esilio.
Se andranno bene, se si eleggerà qualcuno, potrà essere un passo avanti. Chi cercheremo di far eleggere sarà un pur stimabile professore o un rappresentante di lotte? Sarà impegnato nella difesa e nella promozione degli interessi delle classi popolari?

Machiavelli concludeva Il Principe incitando i Medici a seguirne i consigli per unire l’Italia contro il barbaro dominio straniero. Ora si tratta di liberarsi dal barbro dominio del capitale. 

7 pensieri su “11 tesi sulla sinistra e le europee.

  1. Concordo con ciò che hai scritto.
    Mi devi spiegare, però, perché hai parlato di Europa e non dell’Euro!
    Prova a leggere questo

    http://goofynomics.blogspot.it/2014/01/i-lettori-di-copertine-e-il-contenuto.html

    Veramente voi di Rifondazione volete ignorare l’Euro?
    Anzi, correggo: veramente i tuoi colleghi vogliono continuare ad ignorare l’Euro?
    Veramente pensate che non ci sia legame tra l’euro e l’austerità?
    Vi fanno tanto schifo le parole sovranità monetaria?
    La Lega Nord li supererà presto a sinistra, se non l’ha già fatto.

    • Io sono tendenzialmente convinto che l’UE sia irriformabile, e con essa l’euro. E ne sono ancora più convinto dopo aver parlato ieri con un influente economista di sinistra pro euro. Tanto che nel congresso del PRC ho sostenuto un documento che tra le altre cose si collocava nella posizione no-euro. Siamo stati minoranza, come compromesso la posizione del PRC è che valutiamo l’uscita dall’euro come una possibilità nel caso non si possa formare un blocco di paesi in grado di ricontrattare tutto da capo, che è la posizione di Syriza e di tutti i partiti mediterranei che sostengono Tsipras.

      Ma non sono ancora convinto che sul passaggio elettorale la cosa più remunerativa sia impugnare la bandiera dell’uscita dall’euro come punto porgrammatico caratteristico. Non tanto per non spaventare la casalinga di Voghera che tanto l’Europa e l’euro gli stanno già sul cazzo (vedi punto 4), ma perchè si rischia, essendo comunque ancora lontano dal governo, di dare fiato a quelle posizioni che Brancaccio chiama gattopardesche http://www.youtube.com/watch?v=AxHOBeL–FU
      In cui l’uscita dall’euro verrebbe realizzata senza controllo dei capitali, senza nazionalizzazioni e in definitiva senza sovranità monetaria. Da quel che capisco, la mossa su Banca D’Italia serve anche ad evitare che nel caso di euroexit si possa recuperare la sovranità in tempi rapidi.

      • Mi fa piacere la tua posizione no-euro. Secondo Bagnai, comunque, l’uscita dall’Euro non fa paura alla Germania (per Germania intendo l’alta borghesia tedesca) mentre quello che le fa realmente paura è l’uscita di alcuni paesi europei dal mercato unico europeo. Al momento ci sta solo spremendo per gettarci via e saccheggiarci (comprare le nostre aziende alla svendita dopo l’uscita) quando saremo esauriti. Non abbiamo speranza di ricontrattare niente.

        Riguardo le giuste paure di Brancaccio, secondo Bagnai sono cose che accadranno realmente se la sinistra non si sveglia e se lascerà alla destra gestire l’uscita dall’euro.
        Io ho paura: temo che saranno pazzoidi fascisti e pazzoidi liberisti a gestire l’uscita dall’euro.
        La posizione della Lega Nord sarà anche no-euro, ma dal punto di vista della laicità dello stato stanno al paleolitico (considera che io sono ateo e condivido le posizione dell’UAAR). Se non ci fosse questo problema, sarei quasi propenso a votare la Lega alle europee. Anzi, forse la voterò comunque.

        Secondo me, in termini elettorali, bisogna fornire risposte al problema principale: 10% e passa di disoccupazione e 40% e passa di disoccupazione giovanile. Il resto, al confronto, sono chiacchiere. Come si fa a dare risposte a questi problemi senza parlare dell’euro, senza parlare della deindustrializzazione in corso in Italia (vedi Fiat ed ElectroLux), senza parlare del fatto che se non puoi svalutare la moneta devi svalutare i salari?

        Infine, non sottovalutiamo la casalinga di Voghera: potrà essere ignorante, ma non stupida. Anche le casalinghe di 70 anni con la quinta elementare hanno capito che con l’euro il loro potere di acquisto si è dimezzato e dire questo non è demagogia, non è populismo, è la schifosissima realtà, purtroppo.

  2. La nostra lotta per L’Europa (e per l’Italia) e’ quella contro il capitale. L’euro In questa lotta e’ una quisquiglia.

    • Rispetto la scelta dell’anonimato, ma devo precisare che dal pannello di controllo di WordPress posso vedere i dati di accesso.

      Certo che la nostra lotta è contro il capitale a livello europeo, ma pensare che l’euro sia solo uno strumento tra i tanti è, in questo momento, un errore madornale.
      L’euro è una politica economica. Quando Lafontaine ha sollevato la questione dell’euro, la Linke ha commissionato alla Rosa Luxemburg Stiftung un rapporto sulla questione. Gli economisti della RLS Flassbeck e Lavapitsas hanno concluso che se anche la Germania tornasse a reflazionare i salari del 2% annuo, gli squilibri dell’area euro continuerebbero per almeno un trentennio portando all’esplosione o all’impoverimento permanente di molti paesi prima che si raggiunga un equilibrio. Le conclusioni degli economisti sono state che la soluzione più razionale sarebbe la scomposizione dell’area euro su base consensuale. Perchè allora Linke non ha adottato la linea no euro? Perchè come ha concluso il direttore della RLS Candeias, attualmente la classe operaia tedesca dall’uscita dall’euro ha qualcosa da perdere. Ha da perdere una piena occupazione che è di merda, che è fatta coi mini job, ma è pur sempre una piena occupazione e guardando i paesi periferici i lavoratori si tengono stretta una piena occupazione di merda.
      Il nostro problema è che hanno ragione sia Flassbeck/Lavapitsas sia Candeias!

      Perchè l’euro è una politica economica che divide i lavoratori d’Europa. Quando noi dicevamo “euro si, Maastricht no” pensavamo che sull’immediato avremmo avuto le mani un po’ più legate nel fare politiche pro-labour ma nel lungo termine avremmo unito i proletariati europei. Invece ora ci troviamo coi proletariati europei sconfitti sia nel centro sia nella periferia ma divisi tra di loro. E questo si ripercuote sulle sinistre. A livello politico la Sinistra Europea qualcosa tiene insieme, ma non è un caso se i paesi più periferici producono il KKE, il PCP e l’AKEL che sono risolutamente per l’uscita dall’euro. Ma proprio la vicenda di Die Linke ci dice che ci sono fratture interne alla SE che non dipendono dalla volontà dei leader ma dalla situazione di classe. Stessa cosa i sindacati, lo “sciopero generale europeo” è stato uno sciopero generali di Francia, Spagna, Portogallo e Grecia (con l’imbarazzante buco italiano…). La stessa frattura si manifesta a livello di movimenti col fallimento del 10+10 di Firenze, i movimenti del sud europa e del nord non comunicano.

      Io penso che l’uscita dall’euro non debba essere brandita come uno slogan elettorale, ci sono troppe cose complicate e troppe possibili ricadute (altrimenti starei col KKE e il suo giro di micro partitini). Ma non ragionare di euro ci castra. E non ragionare di euro rischia di portarci davanti al fatto compiuto con noi che ancora ripetiamo “europa dei popoli, stati uniti d’europa”

  3. Pingback: 11 tesi sulla sinistra e le europee

  4. Pingback: Io voto l’Altra Europa con Tsipras | Soldato Kowalsky

Lascia un commento