“Piano B”: cosa resta della strategia della Sinistra Europea?

Per il Collettivo Stella Rossa ho scritto alcune riflessione sulle conferenze per il cosiddetto “piano B”. Doveva essere una riflessione sulle contraddizioni del “piano B” ma in latga parte è risultata una riflessione sulla strategia del Partito della Sinistra Europea.

“L’idea di base era che i singoli governi potessero temporaneamente disobbedire ai trattati europei per resistere il tempo necessario a creare l’alleanza del sud, che i due anni che separavano le elezioni in Grecia da quelle in Portogallo, Spagna e Irlanda potessero essere gestiti con la costruzione di un movimento europeo contro l’austerità, che si creasse un’onda lunga per tutti i partiti di sinistra, che in Francia e in Italia le sinistre assumessero una dimensione tale da essere credibili come forza di governo e che potessero quantomeno influenzare da sinistra i governi di Renzi e Hollande.[…] La strategia delineata dal Quarto Congresso del PEL è evidentemente a un capolinea, molti dei suoi presupposti si sono rivelati falsi, molti dei suoi obiettivi sono falliti. […]

Uno dei problemi che ci pone questo tipo di iniziative è che la linea politica è spesso soggetta alla volubità di alcuni dei leader. Nello specifico, è evidente che Yanis Varoufakis ha cambiato linea più volte nel giro di pochi mesi, da assolutamente favorevole alla permanenza dei paesi periferici nell’Unione Monetaria Europea ad assolutamente favorevole all’uscita arrivando infine a fondare un movimento politico europeo che mira a democratizzare l’Unione Monetaria Europea e le altre istituzioni continentali. L’elaborazione della linea della conferenza è stata chiaramente influenzata dalle ondivaghe posizioni dell’ex ministro greco.”

Per leggere tutto clicca qui

Rimane una nota di colore: dopo la conferenza romana del movimento di Varoufakis, Roberto Ciccarelli sul Maniesto ha scritto un articolo, ovviamente apologetico. Il livello di serietà è dimostato dalla confusione tra il Partito della Sinistra Europea e il gruppo parlamentare GUE/NGL. Spesso quando scrivo mi chiedo se debba insistere nello specificare la differenza tra il Partito e il gruppo parlamentare, è molto consolatorio sapere che al Manifesto invece se ne fottono e mischiano le cose a cazzo de cane.

Dopo le elezioni in Grecia

Alexis Tsipras ha vinto le elezioni. Ha ottenuto quello che voleva, ora ha un gruppo parlamentare completamente fedele e disposto a seguire la strada del terzo memorandum e conferma la possibilità di formare un governo con la destra dei Greci Indipendenti senza dover nominare ministri del centrosinistra e del centrodestra.

“Con il 50% di astensione non vince nessuno”

La “vittoria” di Tsipras è arrivata al prezzo di un calo della partecipazione alle elezioni, dal 63,62% di affluenza di gennaio al 56,57% di settembre.

Prima ancora di parlare dell’austerità, se si vuole essere minimamente coerenti, non si può fare finta di niente e parlare di “grande vittoria della democrazia e della partecipazione”. Abbiamo passato anni a spiegare la truffa del maggioritario che trasforma una minoranza in una maggioranza, a spiegare che il 40% di Renzi è in realtà il 21,7% degli aventi diritto al voto. Abbiamo contestato l’idea per cui in una democrazia matura vota sempre una minoranza e che “le decisioni sono prese da chi vuole e ha la competenza per partecipare alle elezioni”. Abbiamo sempre detto che nessun cambiamento reale può avvenire senza la partecipazione e soprattutto senza recuperare le masse popolari che si rifugiano nell’astensione perché non trovano rappresentanza nel sistema politico.

Se in Grecia vota poco più che un elettore su due, non possiamo dire cose diverse di quando succede lo stesso in Italia. Il 36,34% di SYRIZA è in realtà il 22,57% degli aventi diritto al voto. Aggiungendo i Greci Indipendenti, il governo rappresenterà il 25,52% degli aventi diritto. Un quarto degli aventi diritto.

Unità Popolare

L’operazione di Unità Popolare s’è fermata sotto la soglia di sbarramento per lo 0,13%, ovvero settemila voti. Anche qui, se si contesta in Italia la soglia di sbarramento come antidemocratica, se si dice che la soglia non solo priva una fetta di cittadini della rappresentanza cui avrebbero diritto, ma spinge anche a votare obtorto collo per i partiti maggiori sotto la spinta del meccanismo antidemocratico del “voto utile”, allora non si può non dire le stesse cose per quanto riguardo la Grecia.

Detto questo, è evidente che Unità Popolare non è riuscita ad accreditarsi come legittimi rappresentante del NO vittorioso al referendum. Chiamando le elezioni anticipate con così poco preavviso Tsipras puntava a impedire alla sinistra di SYRIZA di organizzarsi in maniera efficacie. Era sotto gli occhi di tutti che la sinistra di SYRIZA non fosse un “partito nel partito” pronto a staccarsi e agire autonomamente.

L’attenzione riguardo a Unità Popolare si è concentrata sui “grandi nomi” aderenti. Certamente, il balletto di Zoe Konstantopolou che prima aderisce, poi non aderisce e poi aderisce, non ha fatto bene a Unità Popolare. Certamente, Glezos e Varoufakis che prima dicono che non possono sostenere una lista a favore dell’uscita dall’euro e poi la sostengono, rende l’idea della confusione in cui è stata costruita Unità Popolare.

L’attenzione sui grandi nomi però è sbagliata, tanto più quando si parla di un soggetto politico come Unità Popolare che punta alla lotta e al radicamento popolare. Il vero punto di attenzione dovrebbe essere su quanto Unità Popolare sia in grado di ricomporre tutto quello che è in uscita libera dal processo di disgregazione di SYRIZA. Purtroppo, fino ad ora, non abbastanza. Segnali evidenti sono arrivati durante la costruzione della lista: la coalizione di ultra-sinistra ANTARSYA ha perso alcune frange che hanno partecipato a UP ma si è presentata comunque alle elezioni ottenendo lo 0,85% dei voti, l’organizzazione giovanile di SYRIZA è uscita in blocco ma non ha aderito a UP limitandosi invece a dare indicazione di voto per “tutte le liste anti austerità”, tanti membri del Comitato Centrale di SYRIZA e/o parlamentari hanno rifiutato di candidarsi e sostenere le liste di SYRIZA senza però schierarsi con UP.

Non ho la sfera di cristallo per sapere se il generoso tentativo di Unità Popolare ha le gambe per camminare anche fuori dal parlamento.

Ciò che è sicuro è che ora nel panorama della politica greca l’unica forza politica di sinistra di opposizione all’austerità è il Partito Comunista di Grecia KKE che ha confermato la sua compattezza, prendendo esattamente lo stesso 5,5% delle elezioni di gennaio. Nelle nostre analisi tendiamo sempre a liquidarlo come “settario e ininfluente”. Se la definizione di “settario” si adatta perfettamente alla linea politica del KKE, rimane che avrà pur qualcosa da dire se resta saldo in mezzo agli scossoni che hanno invece tenuto Unità Popolare sotto il 3%.

Il governo del terzo memorandum

Alexis Tsipras ora ha il compito di guidare il governo sotto il terzo memorandum. Dopo la notte del “waterboarding mentale” ci si è dimenticati troppo presto di cosa voglia dire il terzo memorandum.

Sotto il terzo memorandum il governo greco è costretto a ripudiare le leggi fatte negli ultimi mesi che non siano compatibili con il memorandum, da questa falciata si salvano solo alcuni dei provvedimenti “umanitari”, ma neanche tutti. Sotto il terzo memorandum il commissariamento della Grecia è ancora più stretto. Uno dei punti faticosamente strappati dal governo Tsipras a febbraio era che gli ufficiali della troika non dovevano stare ad Atene a controllare ogni singolo atto, era che le trattative dovevano avvenire a Bruxelles dove il governo greco avrebbe discusso i provvedimenti dopo averli presi. Con il terzo memorandum si torna alla troika ad Atene che, per di più, controlla ogni singolo atto parlamentare prima che sia discusso. Con il terzo memorandum il governo greco deve affidare a un fondo modello-Treuhand (l’istituzione che privatizzò i beni della Germania Est in un’orgia di corruzione e inefficienza) beni pubblici per 50 miliardi di euro, una cifra esorbitante per il valore dei beni pubblici greci, raggiungibile solo mettendo sul mercato, letteralmente, le isole greche.

Tsipras si è ricandidato dicendo che lotterà per far pesare questi provvedimenti agli oligarchi, a chi non ha mai pagato le tasse. Dice che lotterà aspettando che nuovi governi di sinistra prendano il potere negli altri paesi periferici e che questo permetta di riaprire la partita a livello europeo.

È lecito dubitare che questo sia fattibile. Innanzitutto, nonostante il governo SYRIZA-ANEL sia formalmente autonomo, di fatto Tsipras ha resuscitato centrodestra e centrosinistra per coinvolgerli nella costruzione del terzo memorandum dopo il referendum. E il centrodestra e il centrosinistra greci (in parte, anche ANEL) sono esattamente i rappresentanti politici di chi non ha mai pagato le tasse e ha campato per tutta la vita facendo il parassita di uno stato inefficiente.

Ma soprattutto, è lecito dubitare che l’opzione dell’ondata di governi di sinistra sia realistica. In Irlanda, Spagna e Portogallo i numeri brutali dicono che a ora non c’è nessuna possibilità seria per nessun governo di sinistra. Forse con l’unica eccezione della Spagna in cui le vicende dell’indipendentismo catalano potrebbero dare un nuovo scossone allo scenario politico, i numeri indicano dappertutto l’affermarsi di grandi coalizioni in totale accordo con le istituzioni europee.

Infine, è lecito dubitare che “ora che ha una nuova legittimazione democratica” SYRIZA sia nelle condizioni per trattare meglio con l’Europa. Il governo Tsipras è già stato punito per aver cercato di condurre una trattativa vera nel momento di massimo consenso elettorale, abbiamo già visto come il tentativo di aprire le contraddizioni tra Germania e Francia si sia concluso con il governo socialdemocratico francese che ha insaponato la corda con cui il governo cristianodemocratico-socialdemocratico tedesco ha impiccato il governo di sinistra radicale greco. L’idea che ci siano ora le condizioni per riaprire la trattativa su punti reali (certo, magari ora invece di 50 miliardi di privatizzazione l’Europa si limiterà a 49 miliardi) assomiglia più a un pio desidero che a una possibilità data dai rapporti di forza reali.

La sinistra italiana e la Grecia

SYRIZA ha chiesto sostegno agli altri partiti del Partito della Sinistra Europea e a tutte le sinistre con una lettera significativamente firmata dal solo responsabile esteri del partito, dato che nel frattempo il segretario di era dimesso. Lettera in cui tutte le colpe sono state accollate alla minoranza interna, in pieno stile da realismo socialista.

La risposta della sinistra italiana è stata il presentat-arm!

Certamente sarebbe stato da vigliacchi voltare le spalle dopo essere andati a farsi belli ad Atene quando le prospettive sembravano rosee. Ma la reazione della sinistra italiana (dalla segreteria di Rifondazione Comunista all’ARCI passando per SEL e Civati) è stata una cosa diversa dalla solidarietà a una forza politica affine che si trova in grande difficoltà, è stata la strumentalizzazione della vicenda greca per legittimare il processo di ricomposizione di gruppi dirigenti all’interno della Costituente della Sinistra, la famosa “SYRIZA italiana” che viene lanciata ormai a scadenze stagionali da un paio d’anni.

Lo schieramento a sostegno di Tsipras è vissuto alla giornata, cercando di sfoderare trucchetti retorici nuovi (e contraddittori) per star dietro alle notizie del giorno. L’atteggiamento ondivago di alcuni personaggi come Manolis Glezos e Yanis Varoufakis ha messo a dura prova i sostenitori senza se e senza ma di Tsipras. Prima hanno esaltato i responsabili Glezos e Varoufakis che pur in disaccordo con Tsipras non partecipavano a Unità Popolare, salvo poi riesumare le accuse di minoritarismo e scissionismo quando ci si è accorti che Glezos e Varoufakis sostenevano Unità Popolare

Accuse di minoritarismo e scissionismo che curiosamente sono esattamente quelle prodotte dal PDS-DS-PD contro la sinistra radicale che ora le volge contro un pezzo di sinistra radicale greca. Accuse che, va detto, suonano a tratti imbarazzanti quando provengono da dirigenti che per anni hanno prodotto disastri elettorali e organizzativi, dirigenti che hanno prodotto lotte di corrente all’ultimo sangue mentre non si accorgevano che le liste non prendevano voti e le organizzazioni perdevano militanti.

Aldilà del pulpito da cui viene la predica, la verità è che la retorica assunta nel sostegno alla “nuova SYRIZA” è pericolosa, su almeno due punti.

Il primo punto è che se un anno fa sembrava data per assunta l’impossibilità di governare da sinistra l’austerità, ora questa possibilità “rientra dalla finestra” dopo essere stata buttata fuori dalla porta. Quando si dice che anche dentro al pesantissimo programma di austerità imposto alla Grecia si possono trovare spazi per politiche redistributive di sinistra cosa si sta facendo se non riaprire alla possibilità di una nuova alleanza col centrosinistra (possibilità che di fatto viene proclamata come unico orizzonte da Vendola e Civati…)?
Certo, per una parte dei partecipanti al progetto di “Costituente della Sinistra” si tratta di una contorsione retorica e tattica. In altre parole, un giro di parole per giustificare il prolungato sostegno a Tsipras. Ma così facendo si fa mostra di avere una retorica vuota. Retorica vuota che si manifesta anche nelle chiacchere sull’Europa. Sia L’Altra Europa sia la segreteria di Rifondazione Comunista hanno detto che, pur nella sconfitta, il terzo memorandum ha il pregio di dimostrare l’irriformabilità dell’Europa. Anche questo appare però come retorica vuota nel momento in cui non si trae nessuna conseguenza. Se l’Europa non è riformabile, vuole dire che bisogna come minimo cambiare completamente l’approccio alle questioni europee. E invece sia L’Altra Europa sia la segreteria di Rifondazione Comunista persistono a riproporre esattamente le stesse proposte politiche di quando si considerava in qualche maniera la riformabilità dell’Europa. La proposta continua a essere la costruzione della “sinistra di governo” fino a quando non ci sarà una coalizione di governi anti-austerità in grado di riformare l’Europa.

Il secondo punto è quello della democrazia interna. Tsipras ha deciso di sgretolare SYRIZA pur di portare avanti la linea che crede giusta. Non si tratta solo dello scontro con la minoranza di sinistra organizzata, Tsipras è andato alla rottura con il segretario del partito, con la maggioranza del Comitato Centrale, con l’organizzazione giovanile del partito, con la corrente sindacale del partito, con le federazioni e le sezioni territoriali.

Personalmente cerco di restare nel quadro di una cultura politica per cui all’interno di un’organizzazione che vuole rimanere unita si deve perseguire la sintesi tra le posizioni: massima democrazia nella discussione, massima unità nell’azione. Poi nella realtà spesso si arretra sul “principio di maggioranza”, tutti fanno quello che decide la maggioranza fatta salva la possibilità per la minoranza di rendere nota la propria posizione. Questo “principio di maggioranza” è quello che è stato rispettato dalla minoranza di SYRIZA durante gli ultimi due anni, inclusa l’azione di governo. Tsipras con la mossa delle elezioni non ha solo rifiutato il principio della sintesi, ha rifiutato il principio di maggioranza andando a elezioni in cui si sarebbe comunque tolta qualunque agibilità alla minoranza.

È questo il tipo di democrazia interna cui allude la Costituente della Sinistra? Una democrazia interna in cui chi non è d’accordo è fuori? Una democrazia interna in cui il gruppo dirigente dell’organizzazione è totalmente autonomo dal resto dell’organizzazione? Una democrazia interna in cui determinate posizioni “euro scettiche” sono messe al bando?

Non si tratta di una questione marginale. Io la vivo dall’interno del PRC, dove sono e dove resto. Come può il PRC partecipare a una costituente che proclama il principio democratico di “una testa un voto”, ma poi, di fatto, legittima il principio leaderista per cui decide tutto la singola persona o un ristrettissimo gruppo dirigente? L’ipotesi che la “SYRIZA italiana” assuma questa modalità è molto più che un’ipotesi, l’abbiamo vista in azione quando sono state formate le liste de L’Altra Europa, liste formate dai sei “garanti” senza nessun tipo di controllo democratico ma con l’approvazione personale di Alexis Tsipras. All’epoca abbiamo dovuto ingoiare il boccone amaro per l’impellenza delle elezioni. Oggi?

Ma si tratta di qualcosa che investe tutta la sinistra che potrebbe essere interessata a una ricomposizione. La questione europea, la questione dell’Unione Monetaria Europea investe trasversalmente tutti i settori della sinistra politica, sindacale e di movimento. In tutti i settori si possono trovare compagni che sono fedeli all’idea degli Stati Uniti d’Europa in maniera religiosa, compagni traghettati ormai a posizioni anti europeiste e un grande spettro di posizioni confuse, dinamiche, in movimento. A questo si risponde dicendo che la linea è “dentro l’euro, a costo di gestire noi l’austerità”?

Ovviamente, questo apre a una domanda ancora più grande: perché facciamo la ricomposizione della sinistra? Si tratta di un obiettivo strategico in sé cui bisogna sacrificare tutte le possibili dissidenze? O si tratta di un mezzo per raggiungere degli scopi?

La sinistra greca e la sconfitta

Per La Città Futura, ho tradotto la lunga intervista del Jacobin Magazine a Stathis Kouvelakis, della Piattaforma di Sinistra di SYRIZA  (quelli che che stanno votando contro l’accordo, per intenderci).

La lotta continua

“voglio aggiungere una riflessione su quale sia il senso di uscire vincitori o sconfitti in un conflitto politico. Penso che, per un marxista, sia necessaria una comprensione storicizzata di questi termini. Da una parte si può dire che si è vittoriosi perché ciò che si è  detto si è dimostrato vero.

È la strategia del l’avevamo detto. Se però non si è capaci di dare una forza concreta alla propria posizione, si è politicamente sconfitti. Se si è senza potere e ci si è dimostrati incapaci di trasformare la propria posizione in pratica di massa, allora ovviamente non si è politicamente vittoriosi. Questa è una cosa.

La seconda cosa è che non tutti sono stati sconfitti alla stessa maniera e nella stessa misura. Voglio sottolinearlo. Penso che sia stato cruciale aver fatto la battaglia interna a SYRIZA.

Lasciami essere chiaro. Quali erano le altre opzioni? Alla prova del periodo decisivo il KKE e Antarsya hanno dimostrato, ovviamente in maniere molto diverse, quanto fossero irrilevanti. Per noi, l’unica scelta alternativa sarebbe stata rompere prima con la dirigenza di SYRIZA. In ogni caso, date le dinamiche nel periodo cruciale tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, saremmo stati marginalizzati.

L’unico risultato concreto che io riesco a vedere sarebbe stata l’aggiunta di un paio di gruppi ai dieci o dodici che compongono Antarsya che sarebbe passata dallo 0,7% all’1%. Questo avrebbe significato offrire SYRIZA a Tsipras e alla maggioranza, o quantomeno alle forze al di fuori della Piattaforma.

Ora nella società greca è chiaro che l’unica opposizione di sinistra a ciò che sta facendo il governo è il KKE. Non si può negare, ma sono totalmente irrilevanti sul piano politico. Non abbiamo parlato del ruolo del KKE durante il referendum, è stata una caricatura della loro irrilevanza. Hanno fatto campagna per un voto nullo, hanno chiesto agli elettori di usare una scheda preparata dal KKE con un doppio no (all’UE e al governo). Queste schede ovviamente non sono state conteggiate come valide e l’operazione è stata un fiasco. I dirigenti del KKE non sono stati seguiti dai loro elettori, circa l’1% degli elettori, o forse meno ha usato la scheda non valida.

Oltre a loro c’è la Piattaforma di Sinistra. I greci sanno, e i media continuano a ripeterlo, che la principale spina nel fianco di Tsipras è Lafazanis con la Piattaforma. Possiamo aggiungere Zoe Kostantopoulou. Penso che sia ciò che abbiamo guadagnato dalla situazione. Abbiamo le basi per un nuovo ciclo, una forza che è stata in prima linea nella battaglia politica e che porta un’esperienza senza precedenti.

Tutti quanti comprendono che sei falliamo questa sfida, per la sinistra non ci sarà altro che un campo di macerie dopo tutto questo.

Da questa prospettiva, dalla prospettiva della ricostruzione della sinistra anticapitalista, senza pretendere di essere di essere l’unica forza ad avere un ruolo da giocare, riconosciamo quale sia la posta in gioco e questo ci da grandi responsabilità su ciò che dobbiamo fare qui e ora.

Per leggere tutto clicca qui

La tragedia greca delle banche

Traduzione di alcuni passaggi dei commenti di Frances Coppola sull’accordo capestro firmato dalla Grecia. Non concordo necessariamente con tutte le valutazioni.

greek bank closed

La grande tragedia delle banche greche, ATTO I: la “sospensione di Schauble”

“Era ovvio che le trattative sarebbero state difficili e l’approccio di forza nella debolezza del governo greco significava che si sarebbe dovuto spingere pericolosamente vicino alla Grexit. La fuga di capitali dalle banche era inevitabile. Permettere che la Grecia diventasse completamente dipendente da una banca centrale controllati dai creditori dell’eurozona, ed essa stessa creditrice, è stato un grave errore nella strategia greca. Avrebbe dovuto imporre il controllo di capitali molto prima. Se l’avesse fatto, le condizioni monetarie della Grecia sarebbero state lo stesso di ristrettezza ma le banche sarebbero potuto rimanere aperte.

Il mancato controllo dei capitali anticipato è pero sintomatico di un errore più ampio. Il governo greco si è spinto fino all’orlo della Grexit pensano che i creditori dell’eurozona non avrebbero osato spingere di più. La notte di domenica [tra il 12 e il 13 luglio] il bluff è stato scoperto e non ci sono state contro mosse. [Il governo greco] non era preparato alla possibilità che si dovesse fare l’impensabile e lasciare l’Euro.

La mancanza di un “piano B” ha lasciato il governo greco senza altre opzioni che ritirarsi accettando le richieste dei creditori. Ho criticato i metodi usato per sconfiggere il primo ministro greco Alexis Tsipras, ma il risultato finale era inevitabile. Non avrebbe potuto accettare il piano di “Grexit temporanea” proposto dal tedesco Wolfgans Schauble. Farlo sarebbe stato catastrofico per l’economia greca. “Non abbiamo le riserve estere per una Grexit” ha spiegato poi [Tsipras], e ha ragione e coloro che pensano che la “sospensione” sarebbe stata meglio, sbagliano.

La situazione dovrebbe essere letta in maniera corretta come una crisi degli scambi esteri. La Grecia sta usando una valuta straniera come valuta  domestica e gli emettitori stranieri della valuta estera hanno chiuso i rubinetti, l’unica fonte di valuta sono i guadagni dal commercio e i prestiti internazionali. La Grecia ovviamente non è nelle condizioni di ottenere prestiti dai mercati internazionali, quindi rimangono solo i guadagni da commercio. Ma la Grecia ha in deficit sulla bilancia commerciale e importa beni essenziali come cibo e carburante. Quindi, anche con le banche chiuse, c’è ancora una fuoriuscita di euro dall’economia greca.

[…]

Il fatto è che la “sospensione di Schauble” sarebbe il risultato peggiore per la Grecia. Anche una grexit permanente, con tanto di uscita dall’UE, sarebbe preferibile perchè almeno permetterebbe di fare default sui debiti denominati in euro. Ma porterebbe comunque a un crollo degli scambi esteri data la dipendenza dalle importazioni. La Grexit è letale fino a quando le esportazioni greche restano così deboli.”

La grande tragedia delle banche greche, ATTO II: la rapina 

1. Le banche greche stanno riaprendo per le sole transazioni. Il limite ai prelievi rimarrà probabilmente per tutta l’estate, limitando la capacità effettiva dei greci di ammassare contanti. Probabilmente rimarranno i controlli di capitale che impediscono di portare i soldi all’estero rimarranno.

2. Al governo greco viene chiesto di dare massima priorità alla legislazione per attuare la direttiva europea Bank Resolution & Recovery. Una volta attuata, la risoluzione delle banche includerà il bail-in dei creditori chirografari

3. In autunno, la Banca Centrale Europea/Meccanismo di Vigilanza Unico condurrà una nuove revisione della qualità degli assett per determinare la loro solvibilità. La maggior parte delle stime sul deficit di capitale si aggira attorno ai 15 miliardi di euro, escludendo le Attività per Imposte Anticipate (DTA), una forma di capitale molto usata dalle banche greche e che la BCE ha già annunciato di voler gradualmente eliminare. Se la BCE dovesse escludere le DTA dalla definizione CET1, allora il conto totale sarebbe almeno il doppio.

4. Una volta conosciuto il risultato di questa revisione della qualità degli assett, le banche greche verranno ricapitalizzato dal Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM). Questo implica l’uso del servizio di ricapitalizzazione diretta dell’ESM che non sarà disponibile fino a gennaio 2016. Fino ad allora le banche dovranno essere sostenute dalla Liquidità di Emergenza (ELA) mentre i limiti al ritiro di contanti e il controllo dei capitali rimarranno in vigore per prevenire l’ammassamento o la fuga di capitali. I greci quindi hanno davanti la prospettiva di restrizioni all’accesso e all’uso dei fondi almeno fino alla fine dell’anno.

Ci sono due conseguenze significative dell’uso del servizio di ricapitalizzazione diretta dell’ESM.

Primo, la ricapitalizzazione dell’ESM è nei fatti la nazionalizzazione delle banche greche da parte dei creditori dell’eurozona, scavalcando la sovranità greca. Una volta che le banche saranno ricapitalizzate e, presumibilmente, alleggerite dai prestiti non performanti, dovrebbero essere rivendute al settore private. I ricavi della vendita dovrebbero andare a ripagare i prestiti dell’ESM. Il fondo di privatizzazione degli assett quindi include implicitamente tutte le banche greche. Non molti sembrano averlo capito.

Secondo, la ricapitalizzazione diretta dell’ESM richiede il bail-in dell’8% dei crediti. Silvia Merler spiega su Bruegel le implicazioni per i correntisti e gli azionisti delle banche greche:”Il bail-in necessita del taglio pieno dei subordinated/other bonds, il taglio pieno dei bond senior non garantiti e anche un taglio dei depositi non assicurati tra il 13% e il 39% di tre banche su quattro. Questo porterebbe tutte le banche oltre la soglia del 4,5% del CET1 e due banche sopra la soglia dell’8%. Il restante deficit di capitale sarebbe coperto dall’ESM e dalla Grecia, ma i contributi greci sarebbero sospesi. L’ESM avrebbe effettivamente un ruolo molto contenuto“.

[…]

I creditori non sono dell’umore per dare un qualsiasi allentamento alla Grecia. Il fatto che si stanno prendendo misure per impedire che i depositi lascino il sistema bancario in ogni quantità suggerisce l’intenzione sia di fare il bail-in. Se ho ragione, il potenziale risultato economico sarebbe terribile per la Grecia.

 […]

Il bail-in dei depositi delle imprese e degli individui greci sarebbe il segnale più chiaro che la ripresa dell’economia greca non è sull’agenda di nessuno. Sarebbe una gigantesca rapina ai redditi del settore privato.

Sospetto che Alexis Tsipras pensasse che qualcosa del genere fosse in programma nel momento in cui ha insistito che parte dei proventi delle privatizzazioni andasse in nuovi investimenti. Ma sarebbe davvero abbastanza per controbilanciare le perdite delle imprese e delle famiglia greche a seguito di un bail-in draconiano?
Più lo guardo, più l’accordo mi sembra cattivo. In effetti, mi sembra che sia stato disegnato per danneggiare considerevolmente l’economia greca. Quando questo diventerà palese, i greci probabilmente cambieranno idea sul restare nell’euro. Temo sia questo il punto. In una maniera o nell’altra, la Grecia è sulla via d’uscita dall’Eurozona.
per leggere tutto clicca qui e qui

Pensieri confusi

  • Siamo stati sconfitti
  • Fin’ora abbiamo sempre usato la figura retorica di “privatizzare il Partenone”. Ora è realtà. La Grecia non ha imprese di stato per 50 miliardi da privatizzare, soprattutto non dopo cinque anni di cura deflazionistica. Ovviamente, non il Partenone in sé, ovviamente non i grandi siti archeologici. Ma le isole con reperti archeologici non “sviluppati”, si. È un’idea brutalmente primitiva: “Avete voluto giocare con l’idea dei civilizzati greci contro i barbari teutonici? Bravi, adesso vi beccate il saccheggio”.
  • 11709715_10153470629249042_1662071930598955898_nLa Grexit non è messa al di fuori dell’orizzonte degli eventi. I motivi di potenziale uscita dall’area euro rimangono tutti: l’Unione Monetaria Europea va in direzioni diverse e tutti noi sappiamo che non saranno le riforme anti corruzione a far convergere l’economia greca e quella tedesca. Anzi. Tutti noi sappiamo che il modello tedesco delle privatizzazioni che viene imposto alla Grecia è un’orgia di corruzione e inefficienza (vedi Anschluss di Vladimiro Giacché). Ora la BCE dovrebbe in teoria tornare a fare quello che ha fatto negli scorsi cinque anni: tenere il paziente in coma farmacologico. Ma alla prossima turbolenza…
  • Tutti i ragionamenti fatti sulla possibile uscita dall’Unione Monetaria Europea includevano una qualche inclusione dei paesi BRICS. In varie forme, da chi pensava a linee di credito alternative a chi diceva che se proprio bisognava privatizzare porti e areoporti era meglio venderli a russi e cinesi. In ogni caso, pare che russi e cinesi siano stati piuttosto freddini. Forse (dico “forse” per intendere “forse”, non ho la risposta) a Putin fa più comodo una Grecia dissidente dentro l’UE che non un paese mezzo distrutto fuori. L’unica materializzazione dell’aiuto russo è stato il contratto per il gasdotto Russia-Turchia-Grecia. I cinesi sono stati latitanti. Forse il governo cinese trova più urgente far sgonfiare la bolla delle proprie borse che contribuire a creare una potenziale crisi economica mondiale con la Grexit. La Cina peraltro in questo momento è impegnata a fare il debt-swap ad alcune delle sue amministrazioni locali.
  • Ci siamo (noi, la sinistra italiana) legati mani e piedi alla vicenda greca, anzi, al destino individuale di Alexis Tsipras, con punte di parossismo come vedere italiani che chiedono l’espulsione dei membri dissidenti di SYRIZA. E in tutto questo non siamo riusciti a costruire uno straccio di movimento di solidarietà alla Grecia. 200 persone in piazza a Milano che ballano il sirtaki non sono un movimento. Abbiamo costruito una lista che si chiama “L’Altra Europa con Tsipras” e non siamo riusci neanche a farci notare come qualcuno che vale la pena di chiamare quando si parla di Grecia. In compenso siamo riusciti a far passare che i referenti italiani del NO al referendum sono Grillo e Salvini.
  • Non è vero che il referendum è come se non ci fosse stato. Abbiamo voluto dargli un significato che Tsipeas diceva chiaramente che non aveva. Abbiamo voluto pensare che quando Tsipras diceva che il NO serviva a trattare e a scongiurare la Grexit stesse bluffando. E invece faceva sul serio.
  • Sempre sul referendum, la società è talmente abituata all’idea che la politica in Europa funzioni col pilota automatico che non riconosce più un conflitto vero. Il fatto che Tsipras abbia perso quel conflitto viene letto come prova che era una buffonata per far finta verso la propria opinione pubblica di lottare mentre in realtà aveva già in mente l’accordo. Oppure, da un punto di vista politicistico, per disarmare la sinistra interna di SYRIZA.
  • C’è un pezzo di sinistra che dice che “aveva ragione il KKE” a dire che non bisognava neanche provarci perché tanto era tutto già scritto. Una bella consolazione, ma anche questo è “pilota automatico”. Se tutto è già scritto ci rimane da fare solo retorica aspettando che prima o poi arrivi dall’esterno un conflitto che smembri l’Unione Europea.
  • Nel frattempo l’Unione Europea si smembra sotto i nostri piedi. Non solo per i motivi strutturali economici ma anche per motivi sovrastrutturali ideologici. Anni di propaganda sulla colpa dei popoli della periferia europea hanno convinto i popoli del centro europeo. E adesso bisogna pagare pegno all’opinione pubblica che pensa che non si debba dare più un euro ai fannulloni greci. Vagli a spiegare che quei soldi servono a salvare le banche dei virtuosi tedeschi.
  • En passant, questo tipo di propaganda fa breccia a sinistra come a destra. Gente che si proclama di cultura antagonista e non capisce questa cose. Problemi dell’analfabetismo economico.
  • Poi, ci sono gli analfabeti economici che nascondono il loro analfabetismo economico dietro l’accusa agli altri di economicismo.
  • Dov’è la CGIL? È a fare un convegno sull’Europa con la fondazione di ricerca dell’SPD.
  • Non mi piace la categoria politica di tradimento, è una categoria che spesso viene usata per tagliare corto sull’analisi dei rapporti di forza e sulle opzioni realmente possibili, è una categoria che spesso non tiene conto del fatto che quando si apre un conflitto lo si può perdere anche facendo tutto bene, o sbagliando in perfetta buonafede. Però è una categoria che calza a pennello alla socialdemocrazia, in particolare quella tedesca: wer hat uns verraten? Sozialdemokraten!
  • Quello che è successo è la dimostrazione pratica che l’Europa non è riformabile, dentro l’Unione Europea, o quantomeno dentro l’Unione Monetaria Europea (e per chi è dentro l’eurozona, sono la stessa cosa) c’è solo austerità e politiche pro-capitale (stavo per scrivere “politiche liberiste”, ma il capitale è capacissimo di diventare statalista quando gli conviene).
  • Se fossi un cittadino inglese, cosa mi dovrebbe trattenere dal votare contro l’UE al referendum?
  • Però se l’Unione Europea è irriformabile vuol dire che ci dobbiamo fare un ragionamento serio su come se ne esce.
  • Tsipras non ha accettato questo accordo devastante perchè è un cagasotto, ha accettato perché è stato messo di fronte all’opzione “o firmi o ti buttiamo fuori a calci in culo e nel giro di due giorni finite le medicine negli ospedali e la gente comincia a crepare”.
  • Come se ne esce?

Grecia, alcune brutte giornate

Un paio di pubblicazioni sul sito del Collettivo Stella Rossa sulla Grecia.

Una versione leggermente rivista del libro di Flassbeck e Lapavitsas:

Against the Troika: la politica della Grexit

Un riassunto della questione “nuovo piano di bailout proposto da Tsipras”, che pare abbia avuto un discreto successo:

Grecia, una brutta giornata

Mentre scrivo, pare che sia stato “offerto” alla Grecia un “accordo” riassumibile così: “Ci fa piacere che abbiate abbassato la cresta con il vostro piano, ma son bruscolini. Dateci la gestione fiduciaria di 50 miliardi di beni dello stato greco, se poi voi non fate le riforme come diciamo noi (riforme molto più in profondità di quelle che avete proposto), allora ci mettiamo noi a privatizzare i beni di cui abbiamo la gestione.
Oppure, la Grexit, con qualche aiuto umanitario”.

Ora, nelle cose che ho detto, scritto e fatto negli ultimi mesi ho sempre detto che bisognerebbe astenersi dal dare troppo peso alle voci che escono dai summit riservati e ancora di più bisognerebbe astenersi dal lanciarsi in predizioni sul futuro.

Però

Però così è Grexit punto e basta. Non nel senso che mi auguro che il governo di SYRIZA mandi affanculo Merkel e Schauble e i pezzenti europei che permettono che anche solo si discuta di una cosa del genere. Certo, me lo auguro.

Ma, soprattutto, non credo che nessun governo democratico possa fare qualcosa del genere. Neanche un governo di “unità nazionale” che comprenda metà del gruppo di SYRIZA, la stragrande maggioranza di Neo Demokratia, il PASOK e To POTAMI. Per gestire una roba del genere ci vogliono i colonnelli.

8014191900706

Grecia: rottura o compromesso

Articolo per il Collettivo Stella Rossa:

Decifrare la trattativa tra l’Unione Europea e il governo di Alexis Tsipras è sempre più difficile. I round di trattativa falliscono uno dopo l’altro e il 30 giugno scadono il “programma di salvataggio”e un ingente prestito del FMI. Nel frattempo la società greca torna a mobilitarsi.

 

[…]

Non possiamo sapere ora se questa vicenda si concluderà con l’accordo o con la rottura. Quello che sappiamo è che tutte le possibilità sono sul tavolo, anche quelle che fino a poco tempo fa venivano pubblicamente escluse perché “anti europeiste”.

La solidarietà con l’unico governo europeo che prova a sfidare il dominio dell’Europa capitalista e anti democratica è obbligatoria. Altrettanto obbligatoria dovrebbe essere l’onestà intellettuale, senza nascondere sotto il tappeto le enormi contraddizioni e difficoltà. Per sostenere la solidarietà col popolo greco serve consapevolezza. Le illusioni, invece, finiscono sempre per produrre delusioni e, di conseguenza, disimpegno.

Per leggere tutto clicca qui
Uno finisce di scrivere a mezzogiorno e alle 6 di sera è già successo di tutto. Tsipras ha proposto a Merkel e Hollande di trovare un accordo a livello di capi di stato, non a livello tecnico. Merkel e Hollande hanno rifiutato (grande, compagno Hollande, sei sempre il migliore). I creditori hanno proposto di estendere il bailout di altri 4 mesi con qualche cambiamento (sostanzialmente la stessa cosa fatta a febbraio) e i greci hanno rifiutato.
In tutto questo bisognerebbe veramente evitare di gridare ogni mezz’ora al tradimento definitivo o alla vittoria finale. Non per altro, ci si fa un po’ la figura dei pirla.

Grecia: un accordo a cui non crede nessuno

Traduzione del pezzo di Paul Mason sull’accordo di lunedì 22 tra Grecia e Eurogruppo. 

L’accordo che la Grecia vuole firmare con Bruxelles ha tre parti: bilancio, debito e investimenti pubblici. Nella frenesia delle trattative dell’ultimo minuto, condotte sotto la minaccia di una fuga dalla banche e del controllo dei capitali, i media sono stati ossessionati solo dal bilancio.

Manifestazione filo-europea ad Atene. Via.

Manifestazione filo-europea ad Atene. Via.

Il quotidiano greco Kathimerini ha pubblicato la proposta greca integrale di bilancio per il 2015-2017, preparato dai negoziatori di Syriza con l’obiettivo di raggiungere i surplus di bilancio imposto dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Centrale Europa (BCE). Uno dei ministri che ha presentato la proposta me l’ha descritta come “terribile”.

Per evitare altri tagli ai servizi e alle pensioni Syriza si prepara a colpire il mondo degli affari, i consumatori e i lavoratori dipendenti con un misto di tasse più alte e contributi più alti sulle pensioni. Inoltre porterà l’età pensionabile a 67 anni nei prossimi 10 anni, limitando pesantemente gli incentivi al pre pensionamento.

La proposta soddisfa le principali richieste dei creditori, nonostante questo si sta ancora contrattando sulla precisa struttura dell’IVA, sulle pensioni e sulla “riforma del mercato dei prodotti”, che è la maniera in cui l’FMI chiama la sua ossessione per le farmacie e le panetterie.

La proposta ha provocato la rabbia dei conservatori greci che fino a pochi giorni fa chiedevano un accordo, l’indignazione degli elettori di Syriza più di sinistra e la manifestazione di 5000 pensionati comunisti. Ma il problema è più grande.

Tutto ciò che abbiamo visto finora suggerisce che non funzionerà.

I creditori, come mi ha detto uno degli esperti partecipanti alle trattative, “non fanno macroeconomia”. I modelli usati nelle negoziazioni dall’Unione Europea dice che se imponi 8 miliardi di euro di tasse in più a un’economia in recessione, questa si ristringerà al massimo di 8 miliardi di euro, ma potrebbe anche crescere.

L’esperienza dell’austerità greca (e questo progetto di bilancio è semplicemente austerità di sinistra), dimostra però che bisogna considerare gli “effetti moltiplicatori”. Il FMI ha già ammesso che il suo modello è sbagliato e che l’effetto negativo del taglio di un euro potrebbe non essere mezzo euro, più probabilmente sarebbe un euro e mezzo.

La ragione per cui il FMI e l’UE stanno provando a tenere duro su questioni come l’IVA e le panetterie è che sospettano che un passaggio da duri tagli di spesa e un duro aumento redistributivo delle tasse avrà lo stesso risultato generale: l’economia calerà e il debito sarà più alto.

Ma un programma redistributivo è tutto ciò che Syriza può dare ai suoi elettori. I greci sapevano, quando facevano la proposta, che ci sarebbe bisogno di decine di miliardi di ristrutturazione del debito e decine di miliardi di fondi strutturali dall’UE per attutire il colpo.

Ma I creditori stanno resistendo. Quando si tratta del debito, come mi ha detto uno dei partecipanti alle trattative, i creditori “sono in guerra l’uno con l’altro”. Il FMI vuole cancellare dei debiti, la BCE no.

La proposta discussa è di trasferire 27 miliardi di debito greco nei confronti della BCE a un programma chiamato ESM in cui le scadenze sono tra svariati decenni e i tassi di interesse bassi.

Da quello che so, senza un chiaro impegno sul taglio del debito, i greci non possono firmare l’accordo. Alla stessa maniera, sono determinati ad ottenere dalla Commissione Europea un accordo per sbloccare i fondi strutturali per lo sviluppo.

Sono arrivati a Bruxelles preparati a fare un accordo sul bilancio e sul debito, ma pronti ad andarsene innescando un Armageddon finanziario se non dovessero ottenere nulla.

Non è petulanza. Sanno che senza un chiaro cambiamento sul debito e sui fondi strutturali, il programma sulla tassazione non funziona e in ogni caso non riuscirebbero a farlo approvare a Syriza.

La pressione degli elettori di Syriza è forte, ma variabile. I pensionati e il Partito Comunista protesterebbero in maniera forte sulle pensioni e la privatizzazione dei porti.

Ma le giovani generazioni radicalizzate sono più concentrate sulle questioni sociali: vogliono stipendi più alti, lavori più sicuri, il diritto alle unioni civili e la cittadinanza agli immigrati di seconda generazione. Vogliono la polizia epurata dai fascisti e lo stato epurato dai corrotti. Sono anche assuefatti all’idea della imprenditoria start-up, al lavoro autonomo e all’arrangiarsi con vari lavori, non necessariamente in regola.

Credono che l’unico partito che possa portare avanti questo programma di pulizia e modernizzazione sia Syriza.

La reazione della vecchia generazione, dentro e fuori Syriza, sarebbe di andare al default e lottare. La reazione dei più giovani (non importa quanto odino il FMI e la BCE) potrebbe essere di accettare le tasse alte e le scuse dei dirigenti di Syriza e spingerli a fare almeno la rivoluzione sociale minore che hanno promesso. Mandare in galera politici e affaristi corrotti, dopo tutto, non costa niente.

Ma tutto questo è accademia se Yanis Varoufakis non torna da Bruxelles con un accordo che sia accettabile, accettabile anche per se stesso. E senza un taglio del debito, è impossibile fare un accordo accettabile.

Galbraith, la Grecia e la malafede dell’Europa

Oggi parrebbe essere il giorno decisivo per la Grecia (l’ennesimo giorno decisivo, a meno che non diventi decisivo il meeting di sabato…). Fatto sta che la fine di giugno si avvicina e con essa il default sui debiti verso il Fondo Monetario Internazionale, mentre il ritiro di capitali si intensifica e la borghesia greca alza il tiro al grido di “no alla stalinismo in Grecia”.
Nell’attesa di sapere cosa accadrà, una traduzione dell’intervento del noto economista critico James K. Galbraith, apparso originariamente su American Prospect, sulla malafede dell’Europa. Perchè a essere cattivi non sono solo i tedeschi.

Malafede. Perchè un reale taglio del debito greco non è tra le possibilità

I lettori della stampa finanziaria possono essere scusate se pensano che nelle trattative tra Grecia e Europa ci sia un partner inaffidabile, il nuovo governo greco, e un partner responsabile, il fronte comune dei maggiori governi e delle istituzioni dei creditori, intenzionato a perseguire politiche razionali e l’interesse comune europeo.

Il punto di vista di Atene è diverso. L’11 giugno ho assistito a una seduta della commissione parlamentare d’inchiesta sul debito greco con la deposizione di Philippe Legrain, già consigliere dell’allora presidente dell’UE José Manuel Barroso. Legrain è un tecnocrate, un economista e una persona molto riservata. Parlò in maniera tranquilla.

Secondo Lagrein il peccato originale nella faccenda greca è stato commesso nel maggio 2010, quando fu chiaro che il paese era insolvente. All’epoca i funzionari del FMI era convinti che il debito greco dovesse essere ristrutturato e che il taglio non fosse solo necessario ma anche giusto, dato che debitori inaffidabili sono sempre accoppiato a creditori inaffidabili e che i creditori sono parzialmente compensato per il rischio della perdita.

La ristrutturazione non c’è stata. Invece un trio di francesi – al FMI, alla BCE e all’Eliseo, sostenuti da Angela Merkel – decisero di far finta che il problema greco fosse temporaneo e che ci fosse una crisi finanziaria più larga da affrontare e che il più grosso salvataggio della storia non dovesse mirato a salvare la Grecia ma a ridurre l’esposizione delle banche francesi e tedesche verso gli altri stati europei, con la quota maggiore indirizzati ai contribuenti tedeschi.

Perchè il FMI c’è stato, facendo il più grosso prestito della sua storia (32 volte la quota della Grecia) contro i dubbi dei suoi funzionari e le obiezioni di molto membri non europei? Perchè l’allora Managing Director, Dominique Strauss-Kahn, voleva diventare il Presidente della Francia.

Nello stesso momento, la Banca Centrale Europa di Jean-Claude Trichet comprava titoli greci per circa 27 miliardi, alzandone il prezzo. Perchè? Per sostenere i creditori originali, in larga parte banche francesi.

Facendo questo i poteri europei evitarono di imporre perdite alle grandi banche. Con le sue azioni Trichet bloccò la BCE nel rifiuto di accettare perdite sui titoli greci e aggirà, per non dire che ruppe, il mandato legale della BCE.

Uno dei principi di base della finanza è: non si fanno nuovi prestiti a chi è in bancarotta. Di fronte all’insolvenza, si deve ristrutturare il debito. I funzionari del FMI e i membri del board che lo sapevano furono scavalcati. I leader europei si unirono in una grande menzogna: fare finta che il debito greco fosse sostenibile. Nel 2010 i rappresentanti all’FMI di Francia, Germania e Olanda promisero (sulla base della finzione) che le loro banche avrebbero mantenuto i loro debiti greci. Nei fatti, vendettero tutto quello che poterono

Nel 2010 il governo greco avrebbe potuto ristrutturare il suo debito, secondo la legge greca, ma non lo fece. Quando la ristrutturazione avvenne nel 2012, fu secondi i termini dei creditori, cioè con la perdita del 60% del valore dei fondi pensione greci e questo è uno dei principali motivi per cui le pensioni greche sono messe così male oggi.

Nel 2010 la Grecia dovette ingoiare un programma di austerità che sarebbe stato – come promesso da Poul Thomson del board del FMI – “duro, difficile e doloroso”. Anche se il programma conteneva un “aggiustamento fiscale” senza precedenti pari al 16% del PIL, prevedeva anche che la Grecia avrebbe avuto una caduta del PIL di solo il 5%, seguito da una ripresa dall’inizio del 2013. Nel frattempo il rapporto debito/PIL sarebbe dovuto salire 150% nel 2013 per poi scendere. Nei fatti, la diminuzione del PIL greco fu 5 volte più grande e il rapporto debito/PIL è oggi al 180%. E non c’è stata nessuna ripresa.

Venne poi chiesto a Legrain venne chiesta un’opinione sugli economisti che fecero queste previsioni e sugli ufficiali che le diffusero. Su questo punto la testimonianza fu incerta. Fu incompetenza? Panico? Ideologia? Il testimone non lo sapeva. Forse, suggerì, qualcuno di loro “nella loro stupidità” pensò che avrebbe funzionato. In ogni caso “nessuno ha pagato per i propri errori”.

Il signor Thomson continua a prender le decisioni all’FMI che – anche se ora sostiene la necessità di un taglio del debito – continua a chiedere lo stesso insieme di tagli deflazionari che viene ufficialmente chiamato come “riforme”. Tra questi ci sono riduzioni selvagge delle pensioni minime, che arriverebbero a ridurre di un terzo dei pagamenti che sono già di soli 12 euro al giorno.

Nel frattempo, secondo un report della Franfurter Allgemeine Zeitung del 14 giugno, la Commissione Europea si prepara ad alleggerire le richieste di tagli alle pensioni in cambio di tagli alla spesa militare greca? Chi ha affossato questo accordo? Secondo la FAZ, l’FMI. Se all’FMI pensano che sarebbe più far pressione sul governo greco per mettere alla fame il suo popoli, non hanno proprio prestato attenzione. O, più probabilmente, data la chiara divisione e lo scompiglio tra i creditori, il FMI ha deciso che non vuole un accordo e che quindi altre trattative sono inutili.

Mentre il FMI insiste che la Grecia deve soddisfare ogni condizione posta, le cose sono diverse andando verso nord e verso est. Per l’Ucraine, secondo un’affermazione del 12 giugno della signora Lagarde  riportata da ZeroHedege, il FMI “potrebbe prestare all’Ucraina anche se l’Ucraina non può ripagare i propri debiti. Tanti saluti alla sostenibilità del debito e per il principio base per cui non si concedono nuovo prestiti a chi è già in bancarotta.

I lettori americani sono abituati a vedere la Germania, i tedeschi e la cancelliera Angela Merkele e il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble come i cattivi di questa storia, ma questo è una sottostima del ruolo giocato in penombra dai Rasputin di Parigi. E anche di quello dello Svengali di Francoforte, Mario Draghi, che nel momento in cui scrivo minaccia il sistema bancario greco. Minacce che, nei prossimi giorni, potrebbero provocare proprio ciò che Draghi promise di evitare a qualunque costo. [Cioè, la fine dell’Euro]

 

 

Flassbeck e Lapavitsas: Against the Troika

Il libro di Flassbeck e Lapavitsas esplora le possibilità di un governo di sinistra alla guida di un paese dell’Eurozona e le possibilità di un governo di sinistra nell’uscita dall’Eurozona. Scritto prima della vittoria elettorale di Tsipras, è interessante leggerlo alla luce dei primi mesi del governo di sinistra ad Atene, mentre il “piano B” comincia a essere discusso.

Against_the_Troika-max_221-6b91e23baf0c5205ff22a1b461656abf

Heiner Flassbeck e Costas Lapavitsas – Against the Troika: crisi and austerity in the Eurozone – Versobooks – 144 pp – 14 euro/3 euro digitale

 

Flassbeck e Lapavitsas, insieme, non fanno esattamente l’immagine del no-euro come ce lo si immagina in Italia. Il libro Against the Troika: crisi and austerity in the Eurozone è difficilmente accusabile di populismo grillino o leghista, presenta un’argomentazione economica solida, ovviamente altri economisti pro-euro avranno argomenti per ribattere, ma si viaggia lontani dai terreni tipo “fuori dall’euro c’è il Paradiso Terreste, perché si”. È anche un libro europeista, l’argomento più emozionale è che l’attuale assetto sta disgregando l’Unione Europea ed è meglio fare ora un passo indietro per poter tornare in futuro a costruire un’Unione vera, d’altronde Flassbeck era consigliere di Lafontaine quando quest’ultimo era ministro delle finanze della Germania e costruiva materialmente l’Unione Monetaria Europea. Infine, è un libro internazionalista, sfidando così il luogo comune che vuole ogni messa in discussione dell’euro un cedimento alla nostalgia reazionaria delle piccole patrie; è scritto da un greco e da un tedesco e presenta testi aggiuntivi del giornalista inglese Paul Mason, del leader della Linke Oskar Lafontaine e del leader di Izquierda Unida Alberto Garzon.

L’Unione fallita

L’argomentazione principale di Against the Troika era già stata esposta dagli autori in un’analisi pubblicata sul sito della Fondazione Rosa Luxemburg, e viene esposta nel libro in maniera appena appena più discorsiva. Senza pretendere di farle giustizia, si può riassumere così: per Flassbeck e Lapavitsas l’idea della cooperazione monetaria non è sbagliata in sé, anzi, è necessaria e al di fuori di qualsiasi forma di cooperazione monetaria sarebbe impossibile per un governo progressista garantire che i propositi progressisti non vengano spazzati via dalla prima turbolenza internazionale (Capitolo 2.1). Il problema dell’Unione Monetaria Europea è però che è stata basata sui pregiudizi ideologici monetaristi della Banca Centrale Europea per cui l’unico metodo per governare l’inflazione sarebbe solo e soltanto la leva monetaria (Cap 2.2) escludendo così il governo di salari e profitti e quindi la possibilità di attuare una convergenza tra i vari paesi europei in una crescita coordinata dei salari e della produttività del lavoro (Cap 2.3-5). A questo si aggiunge che la BCE è venuta meno ai propri compiti di sorveglianza sulla Germania, essendo quest’ultima colpevole di aver tenuto la propria inflazione (e quindi i salari) più bassa dell’obiettivo comune europeo, un’infrazione che per gli autori è ben più grave della mancanza di rigore dei paesi periferici, che sono invece stati vigilati duramente dalla BCE (Cap 3)

Fuori dall’euro?

Per gli autori un qualunque governo di sinistra nei paesi della periferia (discorso diverso per i paesi semi-periferici, cioè Italia e Francia) si troverebbe di fronte a una “triade impossibile”, tre cose impossibili da sostenere contemporaneamente: la ristrutturazione del debito, l’uscita dall’austerità e la permanenza nell’Unione Monetaria Europea; le regole di quest’ultima sono fatte in modo che lo stato non possa effettuare gli interventi economici (per esempio, intervenire sul sistema bancario per affrontare le perdite dei privati in merito alla ristrutturazione del debito) necessari ai primi due punti (Cap 7.2).

Non è difficile leggere in questo una facile previsione di quello che è successo in questi mesi di governo Tsipras, non a caso Costas Lapavitsas (ora anche parlamentare) è l’economista di riferimento della Piattaforma di Sinistra, l’area di SYRIZA che giudicava irrealistica l’ipotesi dell’accordo onorevole già da prima delle elezioni . Quali sono quindi le alternative? Il libro affronta due possibili scenari di uscita, uno consensuale (cap 7.3) in cui l’Europa per evitare ulteriori conflitti negozia l’uscita e fornisce anche della liquidità per il tempo necessario ad Atene a sistemare la nuova emissione di moneta, uno conflittuale (cap 8) in cui ci sarebbe molto meno tempo. Il libro non nasconde certo i problemi dell’uscita, ma apre anche alla possibilità che un’uscita dall’Eurozona di un paese periferico potrebbe essere usata per tornare a sfruttare la manodopera ora disoccupata a fini di consumo interno e usare il disavanzo verso l’estero, ironicamente causato dall’austerità, per rifornirsi sul mercato internazionale dei beni difficili da produrre all’interno come medicinali e carburante. Un ritorno a un impiego così massiccio della manodopera potrebbe portare, soprattutto, a un mutamento dei rapporti sociali e alla possibilità di riaprire l’idea di un cambiamento reale della società a lungo termine. Per fare tutto questo, sia “consensualmente” sia “conflittualmente”, sono però necessarie delle premesse, desumibili dalla crisi cipriota: a) recupero delle capacità tecniche di battere moneta; b) doppia circolazione monetaria già in atto; c) controllo dei movimenti dei capitali. Per fare questo sono necessarie competenze tecniche che i tecnici cresciuti nell’era dell’euro non hanno, quindi è necessario richiamare in servizio tecnici dell’epoca della dracma e importarne da paesi esteri che detengono il know-how (leggasi, dalla Russia).

Ma, e qui sta per la mia lettura l’importanza del libro, un’eventuale Grexit non è solo questione di possibilità economiche e tecniche, non è una medaglietta da appuntarsi al petto durante una disquisizione accademica. Non è, per dirla con Mao, un pranzo di gala. È un fatto politico. Per gli autori i tre punti “tecnici-preliminari” servono anche e soprattutto a mobilitare l’opinione pubblica, alla battaglia politica, a preparare all’idea che l’uscita, specie quella conflittuale, deve essere affrontata in maniera determinata, sapendo per quanto possibile a cosa si va incontro.

E qui sorge un problema grosso: la linea elettorale di SYRIZA non è stata quella di preparare l’opinione pubblica all’uscita dall’euro, anzi, è stata quella di insistere, insistere, insistere sul compromesso onorevole coi creditori, tanto da negare la stessa esistenza di un “piano B”. E SYRIZA aveva le sue ragioni per farlo. Per Stathis Kouvelakis:” credo che l’egemonia ideologica della classe dominante in Grecia sia stata basata sul progetto europeo, sull’idea che aderendo al processo d’integrazione la Grecia sarebbe diventata un paese moderno, un “paese europeo sviluppato”, e sarebbe definitivamente e irreversibilmente entrata nel club delle società europee occidentali più sviluppate e avanzate. Io credo che sia una specie di fantasia di longue durée della Grecia come nazione indipendente: diventare una parte accettata dell’Europa occidentale. Nel primo decennio dopo l’entrata dell’euro è sembrato che questa fantasia fosse diventata realtà.” L’Unione Monetaria Europea (termine col quale sarebbe bene cominciare a riferirsi all’euro, per evitare di cadere nella trappola per cui si identifica la moneta unica con l’idea di Europa a qualunque livello) è stata e rimane per molti greci (specie della “classe media” che si è rivolta a SYRIZA dopo il fallimento delle grandi coalizioni) una forza simbolica-politica enorme, uscirne prima che una questione di fattibilità economica è questione di rinunciare al sogno di diventare tutti come la Germania. Ma è un sogno che forse sta cominciando a declinare. Per quanto possano valere i sondaggi, la maggioranza dei greci è ancora favorevole a rimanere nell’Eurozona, ma quando si chiede se è a tutti i costi, l’opinione pubblica si divide a metà. Sapendo che questo non verrà comunque deciso dal popolo greco, la questione diventa: SYRIZA sarebbe capace di organizzare il sostegno popolare nel caso dovesse trarre il dado e uscire dall’euro? O verrebbe piuttosto travolta, trovandosi il doppio danno di avere la Grexit gestita dalle destre?

SYRIZA, dopo aver mantenuto la barra sulla linea ufficiale per mesi, si sta muovendo su questo fronte. Il giornalista Paul Mason sostiene, da febbraio, che ci sia un’ondata di radicalizzazione dentro SYRIZA, anche tra chi non appartiene alle correnti radicali organizzate nella Piattaforma di Sinistra. Ora è anche la presidente del parlamento Zoe Konstantopoulou a prendere posizioni radicali sul debito che potrebbero portare alla rottura, mentre le posizioni di Lapavitsas vengono discusse apertamente su AVGI, l’organo ufficiale di SYRIZA.

La questione dell’uscita dall’euro viene, in Italia, usata come un derby tra tifoserie opposte che commentano le varie opzioni proposte dagli economisti, spesso senza capirle fino in fondo (piccola nota a margine: quanti hanno capito che Bagnai sostanzialmente propone lo “spirito del 1992-1993”?). Ma il punto non è solo studiare ciò che dicono i modelli economici, il punto è capire che  euro o exit sono opzioni che devono vivere dentro società particolari. Se non si capisce che la Grexit (o la proposta di uscita dell’Italia, o di qualunque paese) è un fatto politico e non tecnico, si può continuare a illudersi di essere quelli più di sinistra, quelli più anti imperialisti, quelli più rivoluzionari, ma ci si sta solo baloccando con delle ricette per l’osteria dell’avvenire.